Un «social compact», ovvero «un pacchetto di proposte sui temi del lavoro, delle pensioni e della sanità. Una terapia shock contro le disuguaglianze, con un investimento di risorse, le stesse che il governo ha buttato via negli ultimi anni» senza riuscire a correggere le diseguaglianze; una manifestazione a settembre contro «terrorismo, guerra e razzismo»; il reale impulso ai comitati promotori del ’nuovo partito’, con l’avvio – stavolta davvero – del «processo costituente» superando «la dimensione pattizia dell’inizio», per un soggetto nato da un gruppo parlamentare e non da un «moto di popolo». È il programma che illustra il deputato Alfredo D’Attorre all’inizio dell’assemblea nazionale aperta di Sinistra italiana, ieri al Centro congressi Frentani di Roma. Alla fine, nel tardo pomeriggio, lo riepiloga per punti il senatore Peppe De Cristoforo, aggiungendo l’affidamento dell’individuazione delle regole del congresso al comitato esecutivo. In mezzo c’è un’assemblea affollatissima – oltre 500 le presenze – e appassionata – oltre 150 le richieste di interventi, sul palco in ordine alfabetico, scelta bizzarra resa necessaria da qualche intoppo organizzativo. Il cui senso è: Sinistra italiana parte, riparte, stavolta parte davvero.
I lettori e le lettrici del manifesto la notizia l’hanno letta altre volte. Ma i molti inciampi dall’evento Cosmopolitica di febbraio a oggi sembrano tutti ormai alle spalle: le amministrative sono andate, non benissimo, un pezzo dell’area «dialogante con il Pd» molla, come hanno fatto in sostanza il sindaco Massimo Zedda e il senatore Luciano Uras, a capo di 300 militanti sardi che hanno chiesto il ritorno a Sel. Dal palco Nicola Fratoianni fa la mossa di riaprire il dialogo ma a patto «di non tornare indietro», se i 300 chiedono di tornare al centrosinistra «rimuovono le politiche di Renzi, dal jobs act alla scuola». Insomma la richiesta respinta.
Discorso diverso per Sergio Cofferati. Anche lui ha lasciato Sinistra italiana criticando un gruppo dirigente che «si chiude e non si confronta». L’ex segretario Cgil invece viene evocato e invocato a più riprese. La sua non è una critica solitaria: «Non dobbiamo pensare che tutto va bene se non si discute», avverte Michele Piras.
Infatti D’Attorre non nega i problemi. «Il nostro messaggio è apparso sfocato, senza capacità di attrazione, non è il tempo di mettere la polvere sotto il tappeto né di fare difese d’ufficio, oggi non siamo all’altezza del nostro compito, dobbiamo correggere la rotta». Rilanciando Sinistra italiana, non tornando indietro. E questo vale anche per le alleanze: l’idea di un ritorno al vecchio centrosinistra è bocciata da tutti (in ogni caso la nuova legge elettorale non lo consentirebbe). Invece l’esigenza di «ricostruire un campo progressista» per qualcuno c’è. Ma è un punto di discussione. E a parere di molti rimandarlo a dopo il referendum rischia di aumentare le ambiguità. Fratoianni, possibile segretario e premiato dall’applausometro, esclude l’alleanza fra «sistemici» proposta da Dario Franceschini (che comunque si riferisce al centrodestra più che a sinistra) e rilancia il sistema proporzionale, vecchia fiamma di un’area che invece da anni e fin qui aveva convintamente sostenuto il ritorno al Mattarellum, per il quale ha anche tentato un ripristino via referendum. Proporzionale sarebbe bello, ma «serve una proposta che parli a un’area più larga», replica il capogruppo alla Camera Arturo Scotto. Quello che è certo è che l’Italicum, continua Scotto, «va abbattuto per via parlamentare e per via referendaria».
Il referendum, cuore di molti interventi. Tutti d’accordo nel lavorare pancia a terra alla vittoria del No. Ma per alcuni anche in questa sacrosanta battaglia c’è lo spettro del Pd e il sospetto che ci sia chi voglia disfarsi di Renzi per ritornare al vecchio centrosinistra. Obiezione respinta da Ciccio Ferrara: «Che c’è di male a dire che si deve abbattere il governo Renzi e così riconquistare un campo?La campagna per il No dobbiamo farla perché ci dà forza e spazio. Cgil e Fiom non ci vedono interlocutori credibili». Per Fassina il campo che va riconquistato è quello del popolo che ha rotto «con la sinistra storica»: «Lasciamo stare Renzi e il Pd e insediamo il nostro partito nel popolo delle periferie», quello che a Roma come altrove ha votato 5 stelle. «Non è possibile ricostruire la sinistra, serve reinventarla», spiega il ’disobbediente’ Luca Casarini, cui la platea riserva un applauso affettuoso: condannato per un’occupazione di case, gli è stata concessa la libertà provvisoria dopo un mese di domiciliari. Ma c’è un rischio forte per Angela Lombardi: «Non è detto che la sinistra rinasca con noi».
Applauditissimo Lorenzo Falchi, giovane sindaco di Sesto Fiorentino eletto grazie a un esodo in massa dei voti del Pd. E ancora alla lettera «F» Marco Furfaro chiede il ritorno alla battaglia sul «reddito minimo garantito che ci hanno sfilato i 5 stelle» e «alla centralità della questione ecologica». Altro tema delicato e sottovalutato: c’è sconforto nell’ala ambientalista per quella che Eriuccio Nora chiama «rischio di un arretramento sulla questione ecologica, che in Sel era costitutiva».
DANIELA PREZIOSI
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