Noi ci preoccupiamo, giustamente, del clima di odio, disprezzo, crudeltà che divampa nel Paese, che fa persino attivare l’Alto commissariato dell’ONU sui diritti umani per i tanti episodi di violenza razzista e xenofoba che si manifestano da nord a sud dello Stivale.
Noi ci preoccupiamo di una umanità perduta o comunque molto vicina all’estinzione come valore morale dell’umanità stessa intesa come processo biologico-sociale-politico e morale dentro i nostri corpi, stretti e avviluppati da una sempre minore agibilità dei diritti, espressione persino dei doveri.
Noi ci preoccupiamo di una Italia dove i salari sono i più bassi d’Europa, dove il lavoro è una variabile dipendente in modo assoluto dal profitto e dove ogni parvenza di pubblico nell’economia è l’ago nel pagliaio, la sicurezza di un tratto distintivo dell’economia formatasi con un liberismo ultratrentennale che ha minato i capisaldi dello stato-sociale.
Noi ci preoccupiamo di un Paese dove le donne muoiono a centinaia ogni anno per mano sempre della crudeltà, della violenza domestica, di stupratori, criminali, sfruttatori e moderni papponi: ci preoccupiamo della recrudescenza del pratriarcalismo dentro le mura di casa, del concetto regressivo dell’uomo come “capo” della famiglia e assistiamo ai grandi giorni in cui si celebra proprio la famiglia come nucleo fondativo di una società cristiana che non può, non deve giammai perdere quei valori che iniziano laddove vengono negati quelli di tutti coloro che non si professano cattolici, cristiani o semplicemente, banalmente eterosessuali.
Noi ci preoccupiamo di una stagione della cultura che non può forse nemmeno più dirsi tale, visto che la cultura – che anche prima era merce, era “di Stato” ed era borghese – se è fatta in televisione viene subito soppiantata dalle urla dei salotti della politica che diventano “terza” o “quarta” camera dello Stato, quando molti italiani nemmeno sanno che le Camere sono due.
Noi ci preoccupiamo dello sdoganamento di contrapposizioni sociali e morali che un tempo erano relegate nella stanza della vergogna storica italiana: il vanto d’essere fascisti, razzisti è libertà di espressione. La si vede per le strade e le vie dei paesi: prende la forma di pestaggi contro i migranti, contro gli omosessuali, contro gli antifascisti e i democratici come ai tempi di Gobetti, Matteotti e Gramsci. La si vede nella tracotanza di chi ha la presunzione di reinventare il fascismo del nuovo millennio rifacendosi al manifesto di Verona, alle origini sociali di un regime omicida, criminale, guerrafondaio.
Noi ci preoccupiamo di quanto ancora potrà reggere la Costituzione che difende l’equilibrio dei poteri, quando in seno al governo sono sempre più evidenti i segnali di insofferenza verso l’indipendenza dei vari ambiti di gestione della cosa pubblica. Non possiamo nemmeno più riderci sopra, seppure amaramente, pensando di dire che il ministro dell’Interno si chiama così non perché si occupa anche delle questioni interne oltre che di quelle esterne, internazionali, marittime, magari anche aeree, del lavoro, delle pensioni, dei trattati con l’Europa e così via…
Noi ci preoccupiamo di tutto ciò, assistiamo ad una discesa agli inferi del Paese, lo scriviamo qui su Internet, su Facebook, twittiamo, urliamo, ridiamo, ci adombriamo e ci imbronciamo. Riceviamo tanti “like”, ci compiaciamo di piacere e ci preoccupiamo meno di trasportare tutta questa santa indignazione laica per le vie e le piazze d’Italia.
Rimane tutto su Internet oppure su Whatasapp: la politica si fa lì. Ci si scambia dei messaggi, si approva, si contesta a seconda di ciò che si dice e poi fattivamente si fa ben poco, molto poco, quasi niente.
Qualche manifestazioncina di protesta, qualche “flash-mob” improvvisato ventiquattro ore prima con un tam tam su Whatsapp (appunto) ma nessuna comunicazione verbale, nessun tono della voce che ne incontra un altro.
E così anche a noi di sinistra pare logico costruire i nuovi soggetti politici aggregativi e aggreganti tramite le “piattaforme” del web, facendo votare i simpatizzanti e gli iscritti mediante il tasto sinistro del mouse.
Click! E la democrazia diretta dei grillini si estende anche a sinistra.
Noi ci preoccupiamo della deriva a destra e del neofascismo nel Paese che cresce, si sviluppa e ci avviluppa tutte e tutti, ma noi stessi abbiamo già assimilato quella incultura, quella ignoranza e quel disprezzo per la democrazia e per la Costituzione che diciamo di volere difendere.
Pensare di eleggere i propri portavoce mediante una linea diretta, come se il Parlamento non fosse necessario (e qualcuno in campagna elettorale l’ha detto che, tutto sommato, correre alle elezioni non è poi così importante…), come se un organismo di controllo, delegato e deputato a ciò, non servisse è un errore che mai nella storia della sinistra e del progressismo italiano era stato fatto.
Ebbene, noi ci preoccupiamo dell’autoritarismo che si eleva a livelli mai visti dal dopoguerra ad oggi, nemmeno sotto i governi del fu centrodestra, ma il problema siamo prima di tutto noi: noi comuniste e comunisti che non sappiamo dare una risposta al metodo organizzativo di un Quarto polo che deve essere costruito ma non a tutti i costi e che non può prendere le sembianze di Potere al popolo!.
Potere al popolo! ha la funzione di coinvolgere settori di sinistra libertaria, comunista e magari anche frange anarcoidi ad avvicinarsi ad un percorso comune per rimettere sul tappeto la lotta senza se e senza ma al neoliberismo e al capitalismo. Può e deve avere questa funzione ma non può pensare di attribuirsi il ruolo di unico soggetto a sinistra con la presunzione di coinvolgere altre culture e altre forze soprattutto con le regole di funzionamento interno che intende darsi.
I comunisti e le comuniste hanno il dovere di non emarginarsi, di chiamare tutte le culture antiliberiste alla collaborazione per mettere in essere una formazione politica e sociale che guardi alle preoccupazioni elencate prima non dal punto di vista della ragione propria ma dal punto di vista del torto della maggioranza della popolazione.
Occorre capire senza semplificare: sappiamo benissimo che la crisi delle coscienze, lo spostamento a destra degli umori e i voti di pancia nascono nelle crisi economiche. Ma ciò non basta, non ci offre la possibile soluzione per far riemergere una domanda di uguaglianza che è la unica, vera ragione per cui dobbiamo lottare e, al contempo, ridare fiato ad un’altra domanda: quella di sinistra. La prima è necessaria per la seconda, ma senza la seconda anche la prima rimane vaniloquio, esercizio dialettico per gli addetti ai lavori. E niente più.
Dunque, occorre che Rifondazione Comunista esca da Potere al popolo!, vi si collochi accanto come osservatrice politica e sostenitrice come sostenitrice è di tante altre esperienze sociali che sono nate in tanti anni per tante differenti lotte e in momenti non certo facili della vita del Paese: a cominciare dalla grande onda dei movimenti di Genova.
Uscire da Potere al popolo! vuol dire chiarire che Rifondazione Comunista non vuole egemonizzare alcun percorso ma semmai partecipare con PaP alla costruzione del Quarto polo, così come deve volere e ricercare il dialogo con forze politiche presenti nelle istituzioni sia locali sia nazionali, escludendo chiaramente chi vuole con tutta evidenza ripercorrere vie di aggregazione che porterebbero alla mortificazione ennesima del concetto stesso di “sinistra”.
Ritrovare un senso, ridare un significato alla “rifondazione comunista” come fenomeno politico non esaurito e non esauribile dentro un’esperienza certamente nuova ma lontana culturalmente dalla forma-partito che non è una bestemmia ma una necessità organizzativa per i comunisti, che rifuggono piattaforme web come forma di democrazia diretta e democrazia diretta se questa vuol dire elezione diretta del proprio “capo” o “capa”.
Cari compagni, care compagne, i vecchi congressi saranno anche retrò, saranno anche d’antan, ma sono il luogo veramente democratico – con tutti i limiti che possono manifestare – per stabilire quella dialettica politica che ha fatto crescere tante e tanti di noi, ormai quarantenni, che siamo troppo vecchi per abbracciare il plebiscitarismo di sinistra e troppo giovani per abbandonare il metodo gramsciano, persino quello assembleare delle vecchie Internazionali marxiane, aperte, sciolte, rimesse in piedi e poi un po’ archiviate per uno strano pudore venuto a galla su una ingiustificata resipiscenza.
Usciamo da PaP, camminiamo accanto a PaP, costruiamo insieme il Quarto polo della sinistra di alternativa. Così la penso, così ve l’ho scritta. Scusate se sono stato prolisso, ma come avrete ormai capito, non ne posso fare a meno…
MARCO SFERINI
14 settembre 2018
foto tratta dalla pagina nazionale Facebook di Rifondazione Comunista