“Solo così vinceremo, non combattendo ciò che odiamo, ma salvando ciò che amiamo“.
La citazione è cinematografica e mi perdonerete se non ho fatto ricorso ai sacri testi del marxismo per esprimere una frase degna magari di una nota particolare per descrivere ciò che ritengo sia opportuno sottolineare in questa delicata fase di separazione tra Rifondazione Comunista e Potere al Popolo!.
Ma mi sembrava doveroso affermare che vale di più l’amore dell’odio e che per quest’ultimo proprio non deve esserci spazio tanto nei nostri commenti quanto nelle nostre analisi più approfondite in merito a quanto è avvenuto.
Faccio spesso riferimento al canzoniere del proletariato di tanti anni or sono per rinverdire concetti e presupposti su cui anche oggi dovremmo “rifondarci” tanto come Partito quanto come singoli comunisti che devono rialfabetizzarsi, riprendere in mano una cultura della politica che sia anche istruzione ma soprattutto acquisizione della consapevolezza di cosa vuol dire oggi essere (e non sembrare) comunisti.
Errori ne commettiamo tutti, anche per presunzione, per ingenuità, per pregiudizio: siamo esseri umani e abbiamo tutti i difetti di altri esseri umani che non sono progressisti, di sinistra o comunisti ma che, bensì, sono fascisti, di destra estrema, neonazisti persino.
Dunque, il preservarci da queste pericolose derive dell’animo umano dentro un contesto sociale, politico ed economico che fa proliferare la crudeltà, l’odio e il disprezzo verso le differenze costruendole su pregiudizialità razziali, ideologiche e anti-morali, oltre che incivili, è già una grande conquista di cui ognuno di noi può andare fiero: nel mezzo del degrado politico di Stato, bisogna rimanere immuni dalla contaminazione di voglia di autoritarismo e dell'”uomo forte” che da tante parte viene avanti.
Per questo ogni esperienza sociale e politica che contrasti questo panorama di deperimento della democrazia repubblicana, di annichilimento dei diritti tutti e di sovvertimento carsico della Costituzione, è utile e ragionevole.
Per questo Rifondazione Comunista, come ho già avuto ampiamente modo di scrivere, può e deve camminare accanto ad altre formazioni politiche sia movimentiste come Potere al Popolo! sia di vocazione più marcatamente istituzionale come Sinistra Italiana e Possibile.
Del resto, Rifondazione stessa nasce nel 1991 per evitare la scomparsa dell’opzione comunista, sia di movimento sia di Partito, nel Paese e c’è riuscita fino a poco tempo fa: fino a quando le esigenze, per così dire, del “voto utile” e del contrasto delle destre, che rappresentavano comunque solo una parte del blocco borghese liberista, ha costretto anche la sinistra di alternativa a schierarsi “per il bene del Paese”.
La favola del centrosinistra differente dal centrodestra sul piano delle politiche economiche è ormai assegnata al giudizio della storia: almeno così dovrebbe essere, perché qualcuno in LeU tenta ancora di dimostrare che vi è la necessità di una ricomposizione tra centro e sinistra e che la rinascita di questo mostro bicefalo (che ha mortificato i vecchi valori tanto del centro quanto della sinistra) sia la via maestra da intraprendere per scavalcare le destre al governo e riportare la giustizia sociale (caso mai se ne sia vista l’ombra nelle politiche dei governi di centrosinistra) in Italia ad un livello di compromesso tra classe proletaria moderna e borghese.
Chiarito che il centrosinistra non può essere un obiettivo finalizzato alla ricostruzione della soggettività collettiva della sinistra, quindi della ricerca e del ritorno di una interazione tra partito e massa su quella domanda di uguaglianza che tanto manca e che deve essere la struttura su cui possa poggiare la domanda di sinistra che parimenti è tendente oggi all’inesistente, è altrettanto ormai chiaro che nemmeno soluzioni apparentemente democratiche e “dal basso” ma verticistiche forse per troppa dedizione ai propri princìpi di rivoluzionamento dei metodi organizzativi politici del “passato”, possono essere un viatico per unire ma finiscono col lacerare le strutture già esistenti.
Quanto avvenuto in queste ore tra Rifondazione Comunista e Potere al Popolo! non può essere descritto come il risultato di un percorso perverso innestato dal PRC fin dal novembre dello scorso anno col solo scopo di guardare soltanto alle elezioni politiche e niente altro.
Se questa è la considerazione che avevano le compagne e i compagni dell’Ex OPG di Rifondazione Comunista, sono allora comprensibili le scorrettezze avvenute in questi giorni su una vicenda, quella degli statuti contrapposti, che è davvero risibile: prima di tutto perché organizzata con una votazione paragrillina online e non attraverso la convocazione di un processo congressuale che persino gli anarchici fanno quando si autoconvocano e costituiscono le loro commissioni di corrispondenza, discutono e redigono documenti finali politici in cui dichiarano del tutto trasparentemente quale linea intendono adottare nella contingenza del momento sociale che si vive; in secondo luogo, la tragicommedia vissuta meno di quarantotto ore fa dimostra, almeno a me che lo sostengo da tempo, la profonda differenza di impostazione anche solamente tattica delle compagne e dei compagni dell’Ex OPG e di Eurostop rispetto a Rifondazione Comunista e Sinistra Anticapitalista.
Chi si dichiara libertario dovrebbe avere verso le sfumature culturali (e quindi politiche) un rispetto maggiore di quello cui abbiamo assistito in queste ore: la condivisione di ogni ambito organizzativistico è fondamentale ai fini della piena aperta gestione politica del soggetto che si vuole (voleva…) costruire.
Capisco molto bene che 373.000 voti ai compagni ed alle compagne dell’Ex OPG possano essere sembrati un successo, un punto di partenza. Chi parte da zero può considerare anche lo 0,1% un successo. Ma noi marxisti dobbiamo avere sempre ben presente che tutto intorno abbiamo il deserto in quanto a rapporti di forza: “siamo solo noi” avrebbe cantato Vasco.
Anzi, siamo “da soli” noi comunisti perché vogliamo e dobbiamo conservare una diversità che è stata spesso tradita da noi stessi in nome del “senso di responsabilità” nei confronti del Paese, per evitare che le destre andassero al governo e che molte conquiste sociali, civili e morali fossero in pericolo.
Non abbiamo e non avremo mai la controprova: non sapremo mai se, rifiutandoci di partecipare agli esperimenti della “desistenza” con l’Ulivo o dell’internità alla coalizione enorme e impossibile de “L’Unione”, forse avrebbe resistito nel Paese una sinistra di alternativa tanto alle destre propriamente dette quanto al centrosinistra che diventava, progressivamente, sempre più paladino del liberismo.
Ma ora siamo in grado, con l’esperienza, di non ripetere errori commessi più volte e di evitare anche torsioni settarie per affermare un purismo di sinistra che ci isolerebbe dal resto dei movimenti e delle forme organizzate in partito che non possiamo trascurare perché rappresentano un modo di intendere la lotta politica indubbiamente simile al nostro seppure ci separino analisi sulle prospettive più lontane che possiamo lasciare alla libera interpretazione di ciascuna compagna e di ciascun compagno nella lettura, qui sì, dei testi classici della scienza marxista.
No, cari compagni di Potere al Popolo!, non siamo vostri nemici e tanto meno vostri avversari: possiamo camminare insieme “domandando”, chiedendoci reciprocamente “che fare?” ma non possiamo stare insieme in un unico “partito” o “movimento” organizzato.
Voi vi esprimete con sarcasmo circa le elezioni e i rapporti di Rifondazione con esse e dite: “Conoscendo i soggetti, fummo chiari ai limiti della brutalità: dicemmo che a noi delle elezioni non fregava granché se non come occasione di agitazione, ma che ci interessava mettere su un progetto organizzativo.“.
“Conoscendo i soggetti”: se chiamate “soggetti” i compagni di strada che camminano con voi non potete poi pensare di farne molta di strada con questi “soggetti” che dite di conoscere bene. Ma peggiore è l’irrilevanza che assegnate alle elezioni: a voi non ve ne fregava un granché. Sarebbero solo un’occasione di agitazione.
Indubbiamente le elezioni, di qualunque tipo, non esauriscono certo la lotta per l’emancipazione sociale, non la risolvono e non le danno una chiave di apertura per trovare una soluzione definitiva e costante, ma sono un passaggio necessario per arrivare al potere nel migliore dei casi, per provare – riformisticamente – ad incidere nell’hic et nunc di un presente di disperazione sociale e di un futuro a breve termine di inimmaginabile prospettiva di vita.
Per questo Rifondazione Comunista, pur essendo extraparlamentare da dieci anni, lo è forzatamente e non per scelta di linea politica, di tattica o di strategia.
Quindi, rimettendo al centro dell’agire politico il lavoro come bussola attorno a cui ruota l’esistenza e la ragione di vita di Rifondazione, possiamo ora riprovare, ancora una volta, a rimetterci in gioco: autonomamente, unitariamente.
MARCO SFERINI
7 ottobre 2018
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