Tra la metà degli anni ’70 e i primi anni ’80 i protagonisti della cosiddetta “commedia all’italiana”, capace di registrare e segnare i costumi del Paese per oltre un decennio, passarono il testimone ad una nuova generazione di attori, registi, autori che definirono un nuovo modo di intendere la comicità. Tra pubblico e critica si affermarono Paolo Villaggio (Fantozzi), Nanni Moretti (Io sono un autarchico, Ecce bombo, Bianca), Maurizio Nichetti (Ratataplan, Ho fatto splash), Carlo Verdone (Un sacco bello, Bianco, rosso e Verdone, Borotalco), Roberto Benigni (Berlinguer ti voglio bene, Tu mi turbi), Alessandro Benvenuti (Ad ovest di Paperino), Francesco Nuti (Madonna che silenzio c’è stasera, Io, Chiara e lo Scuro, Son contento) fino ad arrivare al più autobiografico e intimista di tutti Massimo Troisi che nel 1981 debuttò scrivendo, dirigendo e interpretando Ricomincio da tre.
L’attore nacque il 19 febbraio 1953 a San Giorgio a Cremano città della provincia di Napoli che, oltre a dare i natali ad Alighiero Noschese, è nota per la sua densità abitativa, tra le più alte d’Italia. Anche casa Troisi era piuttosto affollata. In qualche decina di metri quadrati vivevano: papà Alfredo (1911-1999), mamma Elena Adinolfi, i loro figli Annamaria, Rosaria, Luigi, Vincenzo, Patrizia, ovviamente l’ultimogenito Massimo, i nonni materni, uno zio e una zia. Spesso si aggiungevano anche altri parenti. Tutti in un appartamento in via Cavalli di Bronzo 31, poco distante da Villa Vannucchi, dimora saltuaria di Gioacchino Murat.
Affetto fin da bambino da febbre reumatica, Massimo sviluppò una grave degenerazione della valvola mitrale, che non gli impedì, tuttavia, di avvicinarsi al mondo dell’arte. Amava Pasolini, che riusciva ad imitare con grande successo, scriveva poesie e aveva scoperto il teatro insieme ad un ragazzo che da Napoli si era trasferito a San Giorgio a Cremano nel 1965. I due divennero inseparabili. Il suo nome era Raffaele Arena, per tutti Lello.
Massimo, con Lello Arena, Nico Mucci e Valeria Pezza, debuttò sul palcoscenico un po’ per caso, quindi, dopo aver recitato nella rappresentazione “‘E spirete dint’ ‘a casa ‘e Pulcinella”, Troisi decise di portare in scena il proprio materiale. Per questo formò con gli amici, cui si era aggiunto Enzo Decaro, il gruppo Rh-Negativo. Ad ospitare le rappresentazioni il teatro parrocchiale della Chiesa di Sant’Anna.
Ma il gruppo ebbe ben presto dei problemi. Se la seconda rappresentazione firmata da Troisi, “Si chiama Stellina”, era una commedia brillante in due atti, la prima opera scritta, diretta e interpretata dall’autore creò più di un problema. Si intitolava “Crocifissioni d’oggi” e raccontava di lotte operaie, ragazze madri, emigrazione, aborto. Troppo per il pur generoso parroco di Sant’Anna che invitò la giovane compagnia a trovare uno nuovo spazio, più idoneo alle tematiche sociali.
Il gruppo Rh-Negativo trovò ospitalità in un garage in via San Giorgio Vecchio 31, luogo che il maestro burattinaio Renato Barbieri aveva trasformato in uno spazio libero, il Centro Teatro Spazio. I soldi erano pochi, anche per comprare gli abiti di scena, lo stesso Troisi recitava quasi sempre in una banale calzamaglia nera (che diverrà un suo tratto caratteristico), ma la passione era tanta. Poi la svolta.
Nel 1977 il gruppo, rinominato I saraceni, fu chiamato a sostituire Leopoldo Mastelloni al Sancarluccio di Napoli. Erano rimasti in tre: Arena, Decaro e, ovviamente, Troisi che l’anno prima era stato operato alla valvola mitrale a Houston dal professor Michael E. DeBakey, uno dei padri della moderna cardiochirurgia.
Lo spettacolo ottenne un grande successo e quando la direttrice del teatro, Pina Cipriani, chiese loro “Come vi chiamate?”, Troisi rispose con una smorfia. Risate e applausi. Il trio decise così di chiamarsi La smorfia.
Da quella sera una serie ininterrotta di spettacoli, sketch, cabaret fino a quando i tre attori approdarono in radio dove furono notati dagli autori televisivi Enzo Trapani e Giancarlo Magalli. Il debutto nel piccolo schermo avvenne poco dopo, prima nella trasmissione Luna Park condotta da Pippo Baudo; poi in Non stop, insieme, tra gli altri, a Marco Messeri; quindi ne La sberla che lanciò la carriera dei Giancattivi (Benvenuti, Cenci, Nuti), Gianfranco D’Angelo, Ezio Greggio.
Per La Smorfia fu un successo clamoroso, soprattutto tra i giovani. Memorabili numerosi sketch, che univano napoletanità, attualità, religione, tra questi quello sulla “Natività” con la celebre esclamazione “Annunciazione! Annunciazione!” e quello sul “Minollo”, animale inesistente pronto a salire sull’Arca di Noé. Ma tra il 1979 e il 1980, quando La Smorfia era all’apice del successo, si sciolse. Alla base contrasti personali e divergenze artistiche tra Troisi e Decaro.
Troisi stava guardando con sempre maggiore interesse al cinema. La cosiddetta commedia all’italiana era in crisi, si stavano affermando nuove idee e nuovi stili, ma ciò che gli veniva proposto non lo convinceva. Nel 1981 il produttore Mauro Berardi (Roma, 7 maggio 1943) prima lo cercò di coinvolgere in un film di Luigi Magni basato sulla storia di re Franceschiello, poi mai realizzato, quindi gli offrì di scrivere, dirigere e interpretare un film tutto suo.
Troisi scrisse la sceneggiatura a quattro mani con Anna Pavignano (Borgomanero, 1955), una comparsa conosciuta durante la trasmissione Non stop. Tra loro iniziò anche una lunga storia d’amore. Ad aiutarli nella stesura anche Ottavio Jemma (Salerno, 1 gennaio 1925 – Roma, 25 dicembre 2015), che vantava una solida esperienza sul tema al fianco di Pasquale Festa Campanile, e Vincenzo Cerami (Roma, 2 novembre 1940 – Roma, 17 luglio 2013) già aiuto regista di Pasolini e poi autore, insieme a Roberto Benigni, de La vita è bella. Nacque così Ricomincio da tre.
Nel cast Lello Arena, l’amico di sempre, Marco Messeri, anch’egli conosciuto a Non stop, Renato Scarpa, caratterista che aveva già all’attivo decine di film, Michele Mirabella, oggi consolidato volto della televisione che all’epoca non disdegnava la partecipazione in diversi film (Tutti defunti… tranne i morti, …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà, Fantozzi subisce ancora, Acqua e sapone) e Fiorenza Marchegiani giovane attrice che debuttò proprio diretta da Troisi.
Discorso a parte merita la musica. Troisi per scriverla coinvolse un giovane musicista conosciuto nei set televisivi. Un talento unico che univa cultura napoletana e blues, che aveva già all’attivo importanti successi quali “Napule è”, “Je so’ pazzo”, “Nun me scoccià”. All’anagrafe era registrato come Giuseppe, ma alla storia è passato come Pino. Pino Daniele. Tra i due geni nacque un’amicizia che durò per tutta la vita.
La popolarità di Troisi era alle stelle. Nel febbraio del 1981 l’attore venne chiamato come ospite comico al Festival di Sanremo. L’anno prima si era verificato lo scandalo per Benigni e la sua battuta “Wojtylaccio”, riferita a Giovanni Paolo II, e la RAI non voleva altri problemi. Fece pressioni su Troisi per avere un copione dettagliato ed evitare improvvisazioni. Troppo. L’attore rinunciò a quel palco, mezz’ora prima della messa in onda. Un mese dopo, il 5 marzo 1981, uscì Ricomincio da tre.
Gaetano (Massimo Troisi) vive a San Giorgio a Cremano con i genitori (Lino Troisi e Daddi Savagnone) e la sorella (Cloris Brosca), ma è insoddisfatto della sua vita. Così mentre il padre chiede un miracolo alla Madonna indicando l’indirizzo di casa (quel via Cavalli di Bronzo 31 dove viveva Troisi), il giovane confida all’amico Raffaele “Lello” (Lello Arena) di voler andare a Firenze da una zia per conoscere nuovi ambienti e per ricominciare da tre (perché “tre cose me so’ riuscite dint’a vita”). Facendo l’autostop sale sulla macchina di un depresso con istinti suicidi (Michele Mirabella) che accompagna in un centro di igiene mentale fiorentino dove prima si imbatte in un malato (Marco Messeri), poi nell’infermiera Marta (Fiorenza Marchegiani), della quale si invaghisce. Giunto finalmente a casa della zia (Marina Pagano), dove conosce Frankie (Vincent Gentile), un giovane americano “missionario della parola”, Gaetano decide di chiedere ospitalità proprio al giovane quando scopre che la zia ha un’amante. Decide così di seguirlo nei suoi giri religiosi. In uno di questi incontra l’insicuro e tormentato Robertino (Renato Scarpa), vittima della madre bigotta Ida (Laura Nucci). Le mentalità si scontrano. Gaetano, uscito da quella casa, incontra nuovamente Marta, i due iniziano a frequentarsi e decidono di vivere insieme. A Firenze giunge anche l’amico Raffaele, mentre Gaetano pensa di poter vivere liberamente la sua storia con la ragazza, ma quando, dopo una breve separazione, lei gli confessa di aver fatto l’amore con un altro, fa una gran fatica a reprimere la gelosia che lo rode. Con la scusa del matrimonio della sorella, torna a Napoli per una breve pausa di riflessione. L’immersione nell’antico ambiente, che tanto lo aveva stancato e che non potrebbe più sopportare, è come un bagno rigeneratore che gli dà la determinazione necessaria per tornare da Marta e fare da padre al figlio, forse non suo, che lei aspetta.
Un film comico lontano dalla “commedia all’italiana”, attraversato da intimismo e melanconia con cui Troisi fece rispecchiare e divertire una generazione. L’autore affrontò, in maniera innovativa, temi non semplici quali il distacco dalla tradizione, la sicurezza emotiva che solo “il vecchio” sa dare, il superamento degli schemi a due. Proprio su questo il critico Gian Piero Brunetta sottolineò: “Gaetano è il primo personaggio del cinema italiano che rivela la profondità del rivolgimento antropologico portato dal femminismo e dal movimento delle donne”.
Altro aspetto peculiare del film è la lingua, quel napoletano fatto di borbottii e smorfie che Troisi ci ha fatto amare. Numerose le scene indimenticabili: l’iniziale scambio di battute con Lello Arena che da il titolo al film (“Gaetano: Chell ch’è stato è stato… basta, ricomincio da tre… Lello: Da zero!… Gaetano: Eh?… Lello: Da zero: ricomincio da zero. Gaetano: Nossignore, ricomincio da… cioè… tre cose me so’ riuscite dint’a vita, pecché aggia perdere pure chest? Aggia ricomincia’ da zero? Da tre!”), il viaggio in auto col depresso Mirabella, lo scambio con Marco Messeri, l’incontro con Robertino e la madre Ida (“Signora Ida: La rovina dei giovani è cominciata con… Robertino: Con i capelloni! Signora Ida: I capelloni. Robertino: La minigonna! Signora Ida: La minigonna. Gaetano: Il grammofono. Signora Ida: Il grammofono no. Gaetano: Un poco pure il grammofono” fino ad arrivare al passaggio finale sul nome da dare al figlio.
Ricomincio da tre fu girato in sei settimane, costò 400 milioni di lire, ma incassò 14 miliardi. Rimase in programmazione per 43 settimane, record imbattuto e difficilmente battibile e fece incetta di premi e riconoscimenti: David di Donatello per film e attore protagonista; Nastro d’argento per regista esordiente, produttore, soggetto e attore.
Dopo quel travolgente successo, Troisi rimase un po’ in disparte, per poi ritornare alla regia col mediometraggio Morto Troisi, viva Troisi! (1982) e con Scusate il ritardo (1983) altro capolavoro spesso sottovalutato, per poi incontrarsi con Roberto Benigni. Ma questa è un’altra storia.
Totò e Peppino avevano finalmente trovato un grande erede.
redazionale
Bibliografia
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Dizionario del cinema italiano” di Fernaldo Di Giammatteo – Editori Riuniti
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2021” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi
Immagini tratte da: immagine in evidenza, foto 6, 7 Screenshot del film Ricomincio da tre; foto 1, 2, 4, 5 da it.wikipedia.com; foto 3 Screenshot da Raiplay.
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