Ci proveranno: parola loro. Lo dice Salvini al mattino in conferenza stampa dal Viminale, dopo aver parlato con il premier Conte e con l’aria soddisfatta del gatto che ha appena inghiottito un topo che vale il 34% in percentuale e tre milioni e mezzo di voti in più rispetto alle politiche. Al di là delle più rosee aspettative. Lo ripete Di Maio, qualche ora più tardi, quando infine si decide a rompere la coltre di silenzio di cui M5S si era circondato dal momento della mazzata notturna: il 17% dei consensi o giù di lì, molto oltre le più fosche paure.
«La lealtà della Lega non è in discussione», esordisce il vincitore. Poi detta le condizioni: «Ridurre le tasse, accelerare su autonomia e infrastrutture. Gli italiani ci hanno dato un mandato per autonomie e Tav». Lo sconfitto esordisce invece spiegando di aver già parlato con tutti i pezzi da novanta del Movimento «e nessuno ha chiesto le mie dimissioni». Quindi avanti come se nulla fosse: «Il nostro unico alleato è il contratto che non cambia. Non rinunceremo a essere argine a quello che nel contratto non c’è, tutelandolo da idee estreme e che favoriscono l’illegalità». Traduzione: il leader è pronto a partire con la Flat Tax «visto che Tria dice che i soldi ci sono» in simultanea con il suo salario minimo. Anzi, ha già chiesto a Conte di convocare un vertice di maggioranza «che avrebbe dovuto tenersi già da settimane». Di Maio sembra pronto alla resa sulla Tav, ma sulle autonomie s’impunta. Ok, «purché non ledano la coesione nazionale e non istituiscano una sanità e un’istruzione di serie c». Sulla possibilità di far rientrare in qualche modo il sottosegretario Siri nel governo invece Di Maio è tassativo: «Non mi pento assolutamente e se la Lega vuole chiedere qualcosa può farlo direttamente». Resa sì ma non incondizionata.
E’ una via percorribile quella che, con accenti sensibilmente diversi, hanno delineato i due vicepremier, il riprendere da dove si erano lasciati prima della campagna elettorale? Sulla carta sì. Nella pratica è invece molto difficile. Già ieri, per esempio, Salvini ha preso male le parole di Di Maio. «Non è partito col piede giusto», commentano gli ufficiali leghisti. Ma non è questione di piedi. E’ che tenere insieme un governo basato su rapporti di forza che nella realtà sono ribaltati è un’impresa quasi impossibile. Tutto può diventare esplosivo. Lo stesso dl Sicurezza, capitolo che pareva chiuso, torna a essere fonte di scontro. L’accordo era che sarebbe stato approvato, col visto già certo del capo dello Stato, questa settimana. Ma il provvedimento gemello dei 5S, quello sulla Famiglia, invece non può essere un decreto: mancano i requisiti di necessità e urgenza. Solo che adesso il dl della Lega senza quello appaiato dei 5S acquisterebbe tutt’altro aspetto, suonerebbe come il tallone di ferro di Salvini che schiaccia Di Maio. Per non parlare della Tav. Questione di poche settimane, poi Conte dovrà dire a Macron, imbellettando come potrà la resa, che il tunnel base si farà. Non è affatto detto che i 5S siano in grado di reggere il colpo.
Forse oggi stesso si terrà il vertice. Di certo oggi dovrebbe uscire dall’afasia Conte, che ieri ha incontrato i tecnici del Mef e che dovrebbe parlare prima di partire per Bruxelles. Il Colle aspetta con una comprensibile preoccupazione di sapere se e come il governo voglia prendere atto dello spostamento radicale del baricentro determinato dalle elezioni.
La preoccupazione di Mattarella sarebbe comunque giustificata nella situazione di estrema fragilità che si è determinata. Lo è tanto più perché la già ardua navigazione della navicella gialloverde potrebbe incontrare un mare tempestoso già nei prossimi giorni. Entro venerdì arriverà la lettera della commissione europea al governo di Roma. Dovrebbe trattarsi della classica «richiesta di chiarimenti» attesa e peraltro già annunciata nella notte elettorale da Salvini. Secondo il sito sempre ottimamente informato di Bloomberg, però, la missiva sarebbe ben più contundente, prospettando subito la possibilità di una severa procedura d’emergenza per debito, quella mai applicata nella storia dell’Unione e già evitata per un soffio l’anno scorso. I mercati hanno già reagito alla voce portando lo spread a 280 punti base. Non è facile che un’alleanza già tanto deteriorata possa reggere a un simile impatto, che renderebbe proibitiva la Flat Tax a meno di scelte molto drastiche a spese dell’uno o dell’altro partito di maggioranza.
ANDREA COLOMBO
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