Non potevano esserci dubbi, ma ogni misura che governo adotta conferma come l’esecutivo di Draghi sia lo strumento della Confindustria e dei padroni; il suo obiettivo è rilanciare i profitti dei capitalisti destinando a questi soggetti gran parte (centinaia di miliardi) dei soldi europei (con il tanto sbandierato Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza) e dividendo, precarizzando e sfruttando sempre più le lavoratrici e i lavoratori. Sia chiaro, non è un autunno come altri.
Il pentolone delle misure liberiste
Se mettiamo insieme finanziaria, manovra fiscale, legge sulla concorrenza, sblocco dei licenziamenti e degli sfratti, rilancio dell’autonomia regionale differenziata, restrizione delle libertà di manifestare, risulta fin troppo chiaro che padroni e governo puntano a un’ulteriore pesante modificazione dei rapporti sociali e una ulteriore sconfitta del movimento operaio e sindacale e a una profonda e inaccettabile regressione sociale.
Per non parlare poi di quanto Draghi stia facendo o non stia facendo sulla sanità e la scuola pubblica, dove non si vuole in nessun modo investire le grandi risorse necessarie (a partire dal personale) per affrontare in modo adeguato la crisi pandemica e garantire questi due settori fondamentali per il bene di tutta la società. L’Italia inoltre è uno dei paesi che, insieme alla UE, rifiuta la moratoria sui vaccini, misura indispensabile per garantire l’accesso di tutti gli abitanti del mondo a questo strumento essenziale per combattere il virus ed è stata pienamente partecipe delle scelte liberiste della COP 26.
Nel frattempo i processi di ristrutturazione industriale, sostenuti dai grandi trasferimenti finanziari alle imprese, le delocalizzazioni e i licenziamenti marciano a pieno ritmo, coinvolgendo centinaia di migliaia di lavoratori. E infatti le lavoratrici e i lavoratori della GKN, protagonisti di una vertenza e di una lotta esemplare, hanno ricevuto per la seconda volta le lettere di licenziamento da parte di una direzione aziendale che non demorde dal suo progetto speculativo, mentre quelli dell’Embraco di Torino con la chiusura definitiva della loro fabbrica e la perdita del posto di lavoro, riceveranno un “premio di consolazione” di 7 mila euro lordi!
Da ultimo l’accordo tra i partiti di governo su come utilizzare gli 8 miliardi di euro destinati alla riduzione fiscale: la scelta è inequivocabile, una ulteriore riduzione del numero degli scaglioni fiscali e una modifica delle aliquote che favoriscono i ceti medio alti, (nulla viene invece concesso a quelli più bassi, lavoratori e pensionati sotto i 25 mila euro lordi), finalizzati a ridurre sempre più il carattere progressivo dell’imposizione fiscale. Sono misure inoltre che incrociano soprattutto i lavoratori autonomi che non quelli dipendenti. Come se non bastasse l’Irap, l’imposta sulle attività produttive, che com’è noto, alimenta la spesa sanitaria, viene praticamente azzerata per le aziende medie e piccole, primo passo per farla scomparire del tutto anche per le grandi, come chiedono a gran voce la Confindustria e tutti i partiti della destra.
Le pesanti responsabilità delle direzioni sindacali
In questo quadro s’inseriscono le scelte delle direzioni sindacali, che fin dall’inizio hanno appoggiato il governo subordinandosi alle scelte filopadronali di Draghi e company, rifiutandosi di costruire un percorso di discussione ed organizzazione nei luoghi di lavoro e di promuovere conseguentemente la mobilitazione, ampia e generale delle classi lavoratrici, senza la quale la vittoria confindustriale è assicurata.
In tutti questi mesi hanno fatto la fila col cappello in mano alle porte del governo ricevendo ad ogni incontro solo dinieghi alle loro pur limitate e qualche volta anche discutibili richieste, ed infine due schiaffi in faccia quando il ministro dell’economia, Franco, li ha semplicemente informati delle decisioni dei partiti della maggioranza sul fisco, rigettando la loro richiesta che quegli 8 miliardi fossero destinati ai lavoratori, visto che centinaia di miliardi stanno già andando ai capitalisti.
Le responsabilità dei gruppi dirigenti burocratici sindacali sono enormi; la loro strategia politica finalizzata solo a mantenere in piedi i loro apparati e la concertazione col governo, sta portando a una nuova grave sconfitta dei lavoratori.
Grande pasticcio nella direzione CGIL
In queste ultime ore, di fronte allo schiaffo sonoro ricevuto dal ministro dell’economia e da Draghi, alcuni settori della CGIL sono inquieti e stanno discutendo di eventuali iniziative di mobilitazione. Mentre scriviamo la confusione è grande all’interno della CGIL, dove il suo segretario, dopo aver escluso categoricamente lo sciopero generale, sembra averlo proposto in tentativo un po’ disperato e tattico di rispondere alla compressione governativa, scelta che determinerebbe però anche un grande caos logistico-organizzativo.
La CGIL scuola infatti ha già indetto uno sciopero per il 10 a cui partecipano anche alcuni sindacati di base ed alcune FIOM regionali, (in qualche caso anche con la UIL) a loro volta, stanno organizzando uno sciopero nella stessa giornata. Verrebbe da dire: “Meglio tardi che mai”. Purtroppo però le cose sono più complicate. Siamo al primo dicembre, è molto tardi e si rischia di arrivare fuori tempo massimo, quando la partita, alla vigilia delle feste potrebbe essere già stata risolta. Inoltre non si può giocare con gli scioperi, tanto più se si dovesse pensare, come sarebbe necessario, di mettere in piedi uno sciopero generale; nel clima di demoralizzazione presente in molti luoghi di lavoro, favorito dalle scelte perdenti dei dirigenti sindacali, occorre fare un lavoro preparatorio complesso; vuol dire assemblee, discussioni, ricerca della partecipazione, ed anche e soprattutto una posizione chiara da parte dei dirigenti CGIL.
Servirebbe il riconoscimento e l’affermazione che si cambia linea, che si fa sul serio e che si vuole andare fino in fondo. Fare sul serio vuol dire anche costruire una piattaforma rivendicativa molto più forte e diversa rispetto a quella attuale delle Confederazioni, a partire dalla questione cruciale dell’abrogazione della legge Fornero.
I dirigenti sindacali della CGIL dovrebbero anche dimostrare che non stanno facendo una operazione simbolica per salvare la faccia e mantenere il consenso della loro base, preoccupata ed inquieta. In realtà l’idea di uno sciopero il 17 dicembre come si è discusso sia nella CGIL che nella UIL, oltre a mandare in confusione politica e organizzativa la Fiom che ha già indetto gli scioperi regionali, non farebbe che ripetere l’operazione mistificatoria di alcuni anni fa, quando furono fatte tre ore di sciopero a ridosso di Natale, dopo che le misure antipopolari della finanziaria erano già state votate dal parlamento.
Una sceneggiata di lotta simbolica di breve respiro potrebbe solo produrre ulteriore demoralizzazione nella maggioranza dei lavoratori. Un reale nuovo corso della CGIL, quello che per altro ha chiesto invano la minoranza interna di sinistra, certo auspicabile, comporterebbe per altro inevitabilmente e giustamente una profonda rottura con la CISL. Difficile pensare che questo possa avvenire.
Non sappiamo come finirà la storia (il governo ha richiamato i sindacati e le acque potrebbero subito acquietarsi) ma l’irresponsabile gestione politica e tattica dei vertici sindacali che tanti danni fa alla classe lavoratrice non può non essere sottoposta a una critica serrata.
E’ interesse delle lavoratrici e dei lavoratori ed è fondamentale che si riparta dal basso, che si svolgano le assemblee sui luoghi di lavoro e che si discuta, che ci siano forme di mobilitazioni per ritrovarsi e per non restare passivi, anche sulla base degli esempi di lotta che dalla GKN ad altri settori che si sono mobilitati si sono espressi negli ultimi mesi, pur tra molte difficoltà.
Forti compiti per il sindacalismo di classe
In questo contesto sulle correnti quindi del sindacalismo di classe, i sindacati di base, e le forze di opposizione interna alla CGIL, grava quindi un compito grande, di saper essere ben presenti in tutti i momenti di mobilitazione nei luoghi di lavoro e nella società con capacità unitaria, aiutando le/i lavoratrici/tori a comprendere appieno la gravità della situazione, a riorganizzarsi, a ridefinire le rivendicazioni e le iniziative di lotta, non rinunciando a una vigorosa critica delle politiche delle direzioni sindacali maggioritarie, ma anche avendo la capacità di parlare all’insieme della classe operaia e agli iscritti dei sindacati. E’ una responsabilità che deve vedere impegnate anche le forze della vera sinistra, quella radicale e di classe.
Occorre quindi lavorare perché riparta la partecipazione dei/delle lavoratori/trici, si svolgano le assemblee sui posti di lavoro per farli tornare protagonisti, promuovendo l’autoorganizzazione, definendo piattaforme di lotta, con obiettivi efficaci sul salario, l’occupazione e le pensioni.
E’ questa l’unica strada per creare la forza e la credibilità di un percorso per un vero sciopero generale, indispensabile per respingere le misure del governo, nemico giurato della classe lavoratrice. Nella condizione attuale dello scontro di classe e dei livelli di coscienza dei lavoratori non basta indire uno sciopero generale, ma c’è un complesso lavoro preparatorio per riuscire a concretizzarlo, qualsiasi sia la forza delle organizzazioni sindacali che si pongono questo obiettivo.
E con questa impostazione politica e di lavoro che la nostra organizzazione e le nostre e i nostri militanti parteciperanno ai momenti di mobilitazione che si stanno preparando, a partire in primo luogo dal “No Draghi day” del 4 dicembre promosso dai sindacati di base, alle cui manifestazioni invitiamo tutte e tutti ad aderire e di cui condividiamo gli obiettivi rivendicativi.
E così saremo ben presenti anche nelle mobilitazioni successive, da quelle della scuola ai metalmeccanici e anche ad altri scioperi che si pongano con un raggio di azione più ampio.
Porteremo la nostra impostazione unitaria che punta a costruire l’unità di tutte le lavoratrici e lavoratori, la costruzione dell’autorganizzazione, la necessità di una prospettiva anticapitalista ed alcuni obiettivi immediati di lotta necessari per ricostruire la forza del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori: un decreto contro le delocalizzazioni e la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario per difendere e promuovere l’occupazione; l’abrogazione della legge sulle pensioni Monti-Fornero e il ritorno al sistema previdenziale retributivo per assicurare una vecchiaia serena; il miglioramento e non il peggioramento o l’azzeramento del cosiddetto reddito di cittadinanza; un sistema fiscale veramente progressivo che faccia pagare le classi privilegiate e l’introduzione della patrimoniale per garantire le misure sociali e sanitarie indispensabili; forti aumenti salariali per difendere i salari dalla ripresa dell’inflazione e dal caro bollette; misure forti e reali per garantire l’effettiva transizione ecologica.
FRANCO TURIGLIATTO