«Aiutiamoli a casa loro», non nella loro terra o nel loro paese. Meglio dire «casa». Così è chiaro che i migranti, i profughi, avrebbero un posto dove vivere. Ma vogliono venire da noi. Nelle nostre case. Lo slogan che all’inizio dell’estate Renzi aveva copiato alla destra più intollerante, provocando qualche polemica e costringendolo a una mezza smentita, ora può essere rivendicato fino in fondo. È quello che il Pd ha da offrire sull’immigrazione. «Aiutiamoli davvero a casa loro» dice il segretario del Pd, aggiungendo un avverbio alla sua campagna elettorale. Naturalmente «contro i populisti». Al mattino, le feste dell’Unità sono come le spiagge in settembre quando comincia a piovere. Gli stand chiusi, la ruota panoramica ferma, i teloni tirati, i viali vuoti. Più lo spazio è grande e più appare desolato. La festa di Bologna è molto grande, oltretutto piove anche qui. Matteo Renzi ha convocato i militanti fuori orario. Non aveva altra scelta dovendo infilare sette incontri in sette feste e in 48 ore. Ieri è stato anche a Reggio Emilia e a Modena, oggi a Pesaro, Ravenna, Lodi e Crema. «Le vacanze sono finte, ragazzi c’è da vincere le elezioni» dice a quattrocento persone che sono venute ad ascoltarlo, prima stipate in un angolo all’aperto del parco Nord e poi più comode al coperto.
Certe cose cambiano. Il segretario nazionale del partito arriva alla festa di Bologna non per un comizio ma per presentare il suo libro, al mattino e sotto le insegne Feltrinelli. Cammina sul palco da solo, microfono in mano, legge sullo schermo le domande che manda il pubblico con gli sms. Un’anziana, di quelle che hanno perso i risparmi nella Cassa di Ferrara, lo contesta: «Ladri». Lui fa il villano: «Ladri lo dice a sua sorella». Intanto il libro – Avanti – lo vendono in platea, ma lo comprano in pochi. Molti lo hanno già e la fila per l’autografo è lunga. Alla fine la maggior parte del suo tempo a Bologna Renzi lo passa seduto a firmare dediche.
Certe cose invece non cambiano. Dopo le firme c’è la visita al ristorante dei volontari. Il giro nelle cucine, l’assaggio, le foto. Alle due e mezza del pomeriggio, con un certo ritardo sulla tabella di marcia, Renzi è seduto al tavolo centrale del ristorante I castelli davanti a un piatto di tortelloni al ragù. Alla sua sinistra il segretario cittadino, Francesco Critelli, e alla sua destra il sindaco di Bologna, Virginio Merola. In teoria due avversari interni del segretario nazionale, due esponenti della corrente di Orlando. In pratica Critelli e Merola sono l’uno contro l’altro da quando il sindaco ha deciso di appoggiare al congresso cittadino, in ottobre, il candidato renziano e assessore comunale Luca Rizzo Nervo. C’è anche un terzo candidato, renziano anche questo, Piergiorgio Licciardello, ed è in posizione più defilata. In prima fila ci sono i parlamentari e i dirigenti emiliani, il presidente della regione Bonaccini, la sua vice Gualmini, le deputate Pini e Lezzi, la senatrice Puglisi, il deputato orlandiano De Maria. Nella gara per la segreterie bolognese sono tutti variamente e rumorosamente schierati, tanto che le cronache politiche cittadine raccontano di liti straripate su facebook.
E così Renzi parla alla sua stessa corrente quando dal palco chiede di smetterla con le risse interne. «Discutere va bene, ma se passiamo tutta la campagna elettorale a litigare poi finisce che vincono i populisti», dice. Offre il suo contributo citando «il buon lavoro del ministro Orlando sulla giustizia civile». Ministro che doveva essere alla festa proprio ieri sera, ma lo ha fermato la pioggia. Uno spazio al chiuso per lui non c’era.
Riparte la giostra. «Quando chiudere formalmente la legislatura lo deciderà il presidente Mattarella», dice Renzi, comunicando che sostanzialmente è già finita. Per questo siamo in campagna elettorale. Per questo non bisogna litigare. Il nuovo stile prevede citazioni affettuose per tutti: Gentiloni, Minniti, Delrio. Soprattutto Minniti. La linea dell’uomo solo ha fallito abbastanza. Parte un video che racconta la comunità del partito impegnata nel volontariato alle feste. Quasi tutti giovanissimi, al contrario di quel po’ che si può vedere nella festa bolognese. Probabilmente nessuno studente di quelli cooptati con l’alternanza scuola lavoro, com’è successo a Genova.
«Dentro il Pd non c’è divisione sull’argomento immigrazione. Ci sono solo sensibilità diverse, è normale. Siamo tutti d’accordo sul fatto che bisogna aiutarli a casa loro, in Africa», assicura il segretario. Aiutarli «come fanno già l’Eni, l’Enel e le grandi aziende italiane».
Ma c’è un’altra frase chiave della campagna per il 2018: «Il Pd deve presidiare il campo del buonsenso. Noi siamo il polo del buonsenso». Un’inversione di rotta per chi voleva rottamare, cambiare tutto o andare casa. Il buonsenso definisce il Pd contro i suoi avversari. «Il centrodestra si è rimesso insieme dopo tanti anni, Berlusconi con Salvini, mettono in discussione l’euro». E i 5 Stelle «propongono l’assistenzialismo statale del reddito di cittadinanza, dimenticando che la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro».
Per l’operazione ritorno, il segretario presenta il Pd come l’unica alternativa a tutto questo, l’unica speranza «contro i populisti e gli estremisti». Anche gli estremisti, attenzione. Con la campagna elettorale è già partito il richiamo al voto utile. In questo caso l’avversario ancora non c’è, ma si intravede nella sinistra unita. Secondo il racconto di Renzi basta avere un po’ di buonsenso per trovare posto nel Pd o con il Pd. Alfano e Pisapia potrebbero mai stare fuori? Ma basta essere contro il Pd per essere estremisti, e così sarebbero D’Alema e Bersani.
Per questo racconto, però, c’è un brutto finale già in agguato nelle elezioni siciliane. E all’sms che gli chiede di spiegare che sta succedendo in Sicilia Renzi non risponde. «Nel libro – spiega – non ne parlo».
ANDREA FABOZZI
foto tratta da Pixabay