Renzi colpisce ancora. E il ritorno della sinistra?

Che ritornasse sulla scena politica non era tema su cui si accettassero scommesse. Chiunque avrebbe perso nello scommettere contro. E se vi fosse anche stato un solo individuo capace...

Che ritornasse sulla scena politica non era tema su cui si accettassero scommesse. Chiunque avrebbe perso nello scommettere contro. E se vi fosse anche stato un solo individuo capace di concepire un simil pensiero, si sarebbe ritrovato il giorno dopo la scommessa sommerso da una valanga di risate e di accuse di ingenuità piuttosto che dai debiti.
In una lunga intervista a “la Repubblica”, comparsa domenica scorsa, un Matteo Renzi a tutto tondo affronta ogni tema che gli venga posto con la leggerezza di cui è sempre stato portatore: rassicurazioni, visioni esclusivamente positive per il futuro, compiacimento per i mille giorni del suo governo e qualche autocritica necessaria per non apparire troppo ottimista; giusto per calarsi un attimo in un bagno di umiltà affermando che la batosta del referendum costituzionale gli è bruciata e ancora ne sente i postumi.
Ma tutto qui. L’operazione ristrutturazione casa-PD è in atto: nella lunga sequela di domande che gli vengono poste, Renzi definisce “sinistra” quella che ha votato il Jobs act, intendo riferirsi ovviamente ai democratici, e si compiace dell’assenso di forze cattoliche rispetto alla Legge Cirinnà sulle unioni civili; cita ennesimamente la “buona scuola” e mostra di non essere preoccupato per i referendum della CGIL. Su questo ultimo punto può anche avere qualche ragione, visto che è nella potestà del governo riuscire da evitarli magari facendo proprio quello che i quesiti abrogazionisti del sindacato chiedono. Che Palazzo Chigi si dimostri propensa a questo passo è un altra materia su cui, francamente, si accetterebbero pochissime scommesse, se non nessuna…
Dunque, la campagna politica della prossima primavera sarà nuovamente incentrata sulla dimostrazione che una sinistra di governo esiste e che si chiama “Partito democratico”, magari pronta ad accogliere l’appoggio dell’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, di Massimo Zedda e altri amministratori che sentono la necessità di fare da argine potente alle destre ricostruendo una specie di centrosinistra, laddove il centro è evidentissimo e la sinistra sarebbe solo una parola aggiunta per coprire il vuoto che si è creato durante l’operazione referendaria dentro al PD medesimo.
Lo strappo di D’Alema e Bersani, seppur tardivo, ha messo in difficoltà anche chi poteva in qualche modo riferirsi alla sinistra lambendo quella timidamente interna del PD, ma non fa desistere certe tendenze proprio a sinistra nel proseguire sulla scia del richiamo al “voto utile”, ad un fiancheggiamento rispetto al “polo” antagonista rispetto alle destre classiche e al populismo pentastellato.
Qui nasce un nuovo pericolo proprio per la sinistra vera, quella che riconosce in Renzi e nel PD il capolavoro del liberismo italiano nel coniugare l’epifania del progressismo con l’azione concreta, nelle istituzioni sia nazionali che locali, tutta protesa a politiche di aumento del protezionismo e della tutela delle classi agiate.
Non esistono “stampelle” che a sinistra si possano offrire al PD per aggiudicarsi una ennesima volta una patente di “centrosinistra” che non ha e non può più oggettivamente avere dopo aver messo da parte il tentativo di Bersani di conservare una timida anima socialdemocratica dentro ad un partito che stava diventando il contrario di ciò che dai DS era arrivato come retaggio del vecchio crocchio di acronimi messi in fila… PCI-PDS-DS…
Eppure questo soccorso pseudo-rosso al PD viene sempre giustificato con la volontà di fare barriera rispetto al “pericolo delle destre”. Che questo Paese abbia avuto, a suo tempo, a che fare con la minaccia di becere destre antidemocratiche in quanto creatrici di un polo politico che radunava al suo interno da monarchici a neofascisti, dal peggio del padronato al peggio del socialismo riformista di matrice craxiana, è vero.
Quello era il pericolo eguale, sul piano economico e sociale, che oggi il Paese affronta, ha affrontato e dovràè affrontare davanti alla maggioranza di governo attuale che ha provato a distruggere la Costituzione repubblicana e ha deformato i rapporti di lavoro asservendoli completamente alla logica del profitto e non a quella dei bisogni dei salariati, del moderno proletariato irriconoscibile, irriconosciuto, irriconoscente di sè stesso.
La teoria che la destra berlusconiana, peraltro frammentata e con un Salvini che afferma di voler correre da solo davanti allo spettro di nuove intese tra PD e Forza Italia sul tema della legge elettorale, sia più minacciosa per la povera gente e per la democrazia rispetto all’alleanza tra PD e Nuovo Centrodestra è difficile da dimostrare… Eppure pezzetti di sinistra impazzita tentano questa dimostrazione, riuscendo in questo modo a logorare sempre più ciò che rimane di organizzato proprio a sinistra, laddove la parola “centro” non compare e dove si tenta di ritrovare un minimo comun denominatore per proseguire unitariamente un cammino di riconsiderazione del lavoro, della giustizia sociale, dell’egualitarismo come base imprescindibile per la rimodulazione dei rapporti tra partiti e società.
Il tutto fronteggiando altre destre, come quelle grilline, che non fanno alcuna analisi sociale e il cui programma si ferma alla protesta innanzi alla corruzione di un sistema che è sistemica di per sè.
L’appello a chi vuole fare da argine alle destre è un appello molto semplice: si crea un argine a tutte le destre del Paese se si ricostruisce un luogo della politica dal singolare al plurale, dal locale al nazionale, che sia partecipato, inclusivo e che, nel rispetto delle particolarità di ciascuno, metta in comune la critica che viene da più parti e si unisca sulla base di ciò, in nome della Costituzione, della democrazia sostanziale e non solamente di quella formale.
L’appello, dunque, è molto semplice. Ma, purtroppo, temo che non verrà ancora una volta raccolto…

MARCO SFERINI

17 gennaio 2017

foto tratta da Pixabay

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