Uno si trattiene a fatica nella poltroncina di plastica bianca, alza la voce, chiama l’applauso contro i «barocchismi». L’altro non si scompone mai. Renzi e Smuraglia non è solo referendum. E il pubblico non è tutto con Renzi, anzi il presidente del consiglio a un certo punto si mette a litigare con la platea – e siamo alla festa dell’Unità. «Si vada a prendere una camomilla» dice nervoso a chi lo interrompe. Poi si infila in una strada sbagliata: «Dovete dire grazie a chi ci ha creduto se oggi ci sono più posti di lavoro», strilla. Arriva una contestazione aperta, e Renzi si rifugia sul facile: «A forza di chiedere più sinistra si finisce come Bertinotti».
Ed ecco l’applauso, e qualche fischio per il presidente dell’Anpi. «Per favore, vi chiedo di non fischiare il presidente dell’Anpi alla festa dell’Unità», si assesta un po’ Renzi, padrone di casa. Ma Smuraglia lo ferma subito: «Per me fischiate pure, non mi ha fatto mai tacere nessuno».
L’arena del parco Nord è tanto piena che i Sì e i No finiscono inevitabilmente fianco a fianco, senza litigare ma senza mischiarsi, un po’ come nelle regole del dibattito sul palco nello stile del faccia a faccia televisivo. Dieci minuti per uno, però Smuraglia che fa il primo intervento li consuma tutti nella premessa, dando la possibilità a Renzi di fare il primo gesto di cortesia: «Facciamo quindici minuti». Carlo Smuraglia sta seduto alla sinistra, Matteo Renzi alla destra, tra i due passano 52 anni, Smuraglia ne ha 93. «Niente schiamazzi», avverte il conduttore Gad Lerner piazzato nel mezzo, «è anche un confronto tra generazioni», introduce. La presentazione serve a misurare la platea. Smuraglia prende più applausi, però ha anche la biografia che ha.
Si comincia puntuali. «Buonasera. Una comunicazione di servizio ai compagni e alle compagne dell’Anpi si rende necessario liberare le vie di servizio». Compagni e compagne. Tremila persone all’aperto, oltre la metà delle quali in piedi. In prima fila lo stato maggiore renziano, subito dietro le tifoserie. Quelli dell’Anpi con in fazzoletto tricolore, quelli dei comitati del Sì venuti da tutta l’Emilia con le magliette bianche e la scritta Basta un Sì distribuite dall’organizzazione. Un’ora prima dell’inizio, mentre Renzi è ancora a Modena, viene giù la pioggia ma per non perdere il posto nessuno si allontana. Nella festa lo stand dell’Anpi che tanto ha fatto discutere prima di essere tollerato – «non ci chiamiamo partito democratico perché avevamo finito gli aggettivi» dice Renzi – sta in un angolo con i suoi No sui manifesti e i suoi volontari fianco a fianco con un deserto spazio Uil.
«Lo scambio delle idee» è il titolo piatto della serata. L’idea di Renzi è sempre quella: l’Anpi vota No ma i partigiani votano (anche) sì. Non dice i “veri” partigiani come la ministra Boschi. È più attento. E ha un testimonial, Germano Nicolini, il comandante Diavolo, 97 anni, che effettivamente ha detto due volte Sì: «Voto sì. Anche per l’avvenenza della ministra? Sì». Smuraglia comincia spiegando «che c’entra l’Anpi»: «Tra i nostri obiettivi c’è difendere la Costituzione nello spirito in cui la votarono i costituenti, per cui è un nostro dovere schierarci. Abbiamo solo questo obiettivo, secondo noi sarebbe un danno per il paese se passasse questa riforma. Il governo cade quando non ha più la fiducia del parlamento, non quando si fa un referendum». «Avevamo immaginato che anche dentro l’Anpi ci fosse spazio per le ragioni contrarie», affonda un po’ Renzi. Che per stare “nel merito” legge il quesito referendario. Che è il titolo del disegno di legge di revisione costituzionale, lo approvate? Suona bene, in effetti, parla di riduzione dei costi. L’ha scritto il governo. E sempre “nel merito” il presidente del Consiglio ripete che anche Dc e Pci volevano il monocameralismo. L’obiezione arriva dalla platea: «C’era la legge elettorale proporzionale». E Renzi: «Il proporzionale lo riportiamo con l’Italicum». Con l’ultra premio di maggioranza e gli sbarramenti, però. Smuraglia dice che non basta guardare il titolo della legge «bisogna guardarci dentro, per esempio alla procedura di elezione dei senatori, non si sa come bisognerà fare».
Renzi ogni tanto carica i suoi: «L’Anpi avrebbe dovuto dire parole più chiare quando il biografo di Almirante ha scritto che il presidente del Consiglio dev’essere fucilato». «Vai a casa», gli grida una signora. «Vado a Bratislava», chiama l’applauso lui. E quando serve riscrive la storia della riforma. «Può darsi che lo stile non sia perfetto, era meglio approvare la legge nel testo che avevamo presentato noi scritto dai professori». Un momento: quello era il testo che prevedeva il senato dei sindaci: ridicolizzato anche dai costituzionalisti che oggi votano Sì. Il governo ha dovuto velocemente nasconderlo.
Smuraglia è pacato ma mai timido: «Ho l’impressione che Renzi abbia capito che se il referendum va male deve dimettersi sul serio, per questo ha cambiato messaggio». Renzi ormai su questo glissa: «Quello che farò lo tengo per me». Lerner non lo aiuta. «Come sempre quando vengo a Bologna sono andato a trovare Prodi ma mantengo il riserbo su quello che farà al referendum». Cita però Paolo Prodi, il fratello, lo storico, che ha definito la riforma costituzionale «incomprensibile come un bugiardino delle medicine». La platea apprezza. E Renzi che ha «rispetto per i padri» ma vuole «parlare ai figli» deve ricorrere a D’Alema, dopo Bertinotti: «Oggi difende la memoria dell’Ulivo ma ha tramato per anni per mandare a casa Prodi». E almeno prende l’ultimo applauso.
ANDREA FABOZZI
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