Le argomentazioni a favore del sì rafforzano le ragioni del no.
Alcune addirittura con una imbarazzante evidenza.
Analizziamole.
- Si risparmia. Irrisorio, lo dicono anche i fautori del taglio (uno per tutti, Giovanni Valentini sul Fatto del 26 agosto: “E’ vero che tutto sommato il risparmio sarebbe minimo, un centinaio di milioni di euro l’anno – ½ euro a cittadino – cinquecento milioni in una intera legislatura”). Se si dimezzassero lo stipendio ed i vitalizi si risparmierebbe dieci volte di più.
- Si renderà più snello il Parlamento e più efficienti i suoi lavori. Però la snellezza non è un requisito costituzionale e, soprattutto, non è il presupposto dell’efficienza dal momento che essa non dipende dal numero dei parlamentari addetti ad una commissione o ad un progetto di legge ma da altre condizioni (i regolamenti parlamentari) e da altri requisiti (la qualità, la competenza e soprattutto l’indipendenza di deputati e senatori, tutte cose che dipendono dalla legge elettorale).
- Appunto, la legge elettorale. Tutti i fautori del si concordano che dopo si dovrà – per forza – mettere mano ai “correttivi ed alla legge elettorale” (sempre Valentini ma anche Fassina sull’Huffington post). Questo è l’argomento che taglia la testa al toro del si. Per quale motivo confermare una legge per la quale già si prevede la necessità di correttivi, nonché di una legge elettorale totalmente diversa (cioè proporzionale con preferenze) rispetto a quella in vigore (maggioritario con nomine? Dice (Zingaretti): perché l’hanno promessa, su questo patto abbiamo fatto nascere il governo e non votare si legittimerebbe il non mantenimento dell’impegno.
Ecco, qui siamo arrivati alle offese. Alla Costituzione (la nascita di un governo, cioè di un fatto politicamente contingente e transitorio sarebbe, secondo il segretario pd, più importante dell’assetto costituzionale del Paese) ed alla intelligenza dei cittadini italiani (cambiare prima la Costituzione perché poi Di Maio ha promesso di fare la legge elettorale è come credere a Lucignolo quando promette a Pinocchio il paese dei balocchi o a Renzi quando dice qualsiasi cosa).
La realtà, politica, morale, istituzionale, è tutt’altra. Se dovesse vincere il si il 21 settembre pochi oligarchi avranno raddoppiato il loro potere di nominare quali legislatori un manipolo di fedelissimi non rappresentativi di altro che dei loro padroni, il governo rafforzerà il predominio su un consesso ridotto ad ostaggio e l’opera di delegittimazione del Parlamento, cardine e fulcro della nostra democrazia, garanzia dello stato di diritto, contrappeso legislativo rispetto al potere esecutivo, sarà completata.
Nessuna legge elettorale si farà.
In compenso, come auspicano certi costituzionalisti “a la carte”, si aprirebbe “una breccia” nella Costituzione Come dire: siccome la giustizia funziona male dimezziamo i giudici. Oppure, poiché i trasporti vanno male riduciamo i treni.
Insomma proprio una bella prospettiva quella di dare agli italiani la più esemplare eterogenesi dei fini: votare pensando di contribuire a punire la “casta”, magari a levarsela dalle balle – rimpiangendo la classe dirigente di Nenni, Pertini, Berlinguer, Moro che ha governato il Paese con questa Costituzione – e ritrovarsi con un’altra Carta Suprema fatta a piacimento ed immagine di Toninelli, Renzi, Fassina, Di Maio e Salvini. Tutta un’altra casta.
ENZO PAOLINI
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