Razionalità universale e razionalità di classe

In un’epoca di crisi e di rinnovata offensiva liberista, come quella che stiamo vivendo, può forse essere utile fare qualche ripasso di Storia per capire meglio il presente. Se...
Parigi, 1936, sciopero dei lavoratori tessili

In un’epoca di crisi e di rinnovata offensiva liberista, come quella che stiamo vivendo, può forse essere utile fare qualche ripasso di Storia per capire meglio il presente.

Se infatti tiriamo fuori dal polveroso scaffale di una qualsiasi biblioteca comunale il superclassico della sociologia di Max Weber, “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, e poi magari iniziamo anche a sfogliarlo, apprenderemo le due essenziali caratteristiche che compongono la razionalità dello “spirito del capitalismo”: da una parte la regolarità, l’analoga maniera di trattare casi analoghi (il metodo) e dall’altra la fredda selezione dei migliori mezzi disponibili per realizzare dati fini (l’efficienza).

Senza necessariamente concordare con l’affascinante ma astratta ipotesi weberiana sulla genesi calvinista dello spirito del capitalismo, ci accorgeremo che la concezione moderna, come viene spiegata da Weber, del concetto di razionalità è un qualcosa che è stato approfonditamente studiato da Hume e Kant.

Se, per esempio, analizziamo la teoria della causalità di Hume, due sono le principali caratteristiche razionali che formano il modus operandi per conoscere la realtà; e cioé, da una parte, la divisione, nel pensiero, di tutto ciò che può essere mentalmente diviso per isolarne i concetti “puri” e, dall’altro, l’eventuale connessione di che cosa, sulla base dell’esperienza, si può effettivamente collegare.

Ricorrendo a un po’ di sana analisi marxista, come anche alle analisi più acute del pensiero liberale (vd. i lavori di Ernest Gellner), possiamo a ragione definire questo modo di ragionare come il corrispettivo conoscitivo della nuova razionalità operante in ambito economico a partire, all’incirca, dal XVII secolo in area olandese e anglosassone.

Il buon metodo conoscitivo descritto da Hume segue, nei fatti, i principi del buon metodo per fare soldi del laborioso borghese. Per l’imprenditore del ‘700 (ma anche per quello di oggi), la sua fortuna economica non si basa sull’attaccamento alla sua tradizione culturale, sociale ecc. ma sulla libera scelta di qualunque mezzo, alla luce dell’evidenza, per massimizzare il profitto.

Lo stesso Adam Smith, l’economista liberale per eccellenza, si era accorto della sostanziale differenza che intercorreva tra il borghese moderno e il feudatario medioevale, il primo tutto impegnato a industriarsi sul come fare unicamente soldi, il secondo intento a seguire tutta una serie di norme sociali condivise e accettate, in cui il profitto è solo una delle tanti componenti (mantenimento del proprio posto nella comunità, doveri sociali nei confronti dei propri sottoposti…).

Ora però, se la crescita conoscitiva presuppone che nessun elemento sia legato a priori ad un altro, allora la crescita economica esige esattamente la stessa cosa per attività e ruoli umani. Ne deriva che la stabilità della struttura sociale è incompatibile con la crescita e l’innovazione infiniti.

Questo, come si era accorto Marx, era stato precisamente l’elemento democratico, rivoluzionario proprio degli albori del capitalismo il quale, introducendo, anche solo formalmente, la possibilità universale di scalare la struttura sociale, aveva permesso col tempo l’affermarsi dei principi illuministi espressi dalla Rivoluzione Francese (“liberté, egalité, fraternité”) e, di conseguenza, la nascita delle democrazie parlamentari modernamente intese. Ovviamente queste conquiste erano solo per pochi privilegiati, non riguardavano la stragrande maggioranza della popolazione lavoratrice, che veniva esclusa dalle consulatazioni elettorali e che spesso continuava a vivere (e a morire) nella più nera miseria.

A partire dal 1917 e poi sempre più nel corso della secondo metà del ‘900, le masse lavoratrici degli Stati occidentali industrializzati sono riuscite a vivere in una situazione di benessere mai sperimentato prima dal genere umano; e questo, essenzialmente, grazie ad una serie di circostanze storiche ben precise.

Se, in seguito alle speranze suscitate dalla Rivoluzione d’Ottobre, il fascismo era stato lo strumento violento attraverso il quale la borghesia aveva represso le istanze popolari di uguaglianza e libertà (Gramsci docet), invece con il prestigio dell’Urss, ottenuto grazie alla sua decisiva vittoria nella seconda guerra mondiale, queste istanze non erano più rinviabili, nemmeno per la borghesia. Come aveva perfettamente capito il grande storico inglese Eric Hobsbawm, l’Unione Sovietica, per il solo fatto di esistere, aveva a tal punto spaventato le classi dominanti borghesi occidentali, timorose di perdere il loro dominio economico a causa dei “rossi”, da indirettamente costringerle a fare una serie di concessioni in termini di diritti sociali. Il grande compromesso socialdemocratico novecentesco è il frutto della paura rossa, non certo della bontà liberale. E questo lo si è capito limpidamente negli ultimi 30 anni.

Con il crollo del muro di Berlino nell’ ’89, infatti, è cambiato tutto. La globalizzazione, in parte già avviata, si afferma completamente; i diritti sociali conquistati vengono piano piano erosi; la Sinistra, grande interprete dei cambiamenti del ‘900, dimentica se stessa e il suo popolo.

Questo processo è stato particolarmente violento in Italia, dove grandi erano state le conquiste sociali (solo per citarne alcune: equo canone, Statuto dei Lavoratori, scala mobile, banche in larga parte pubbliche, universalità della prestazione sanitaria…) anche grazie alla presenza del più grande partito comunista dell’Occidente.

E oggi? Che fare?

Forse provare, collettivamente, creativamente, in maniera antidogmatica, a ripartire dalla nostra cultura, dalla nostra tradizione di sinistra di classe. Ciò in primo luogo smontando una serie di balle che hanno avuto grande eco anche a Sinistra in questi decenni, ricordando che la Storia non è finita e che la lotta di classe continua; che un operaio vale tanto quanto uno Steve Jobs o un Jeff Bezos; e soprattutto che la Razionalità Universale non è certo quella di Adam Smith e di David Hume, cioé quella attuale, che, in una spaventosa pandemia, mette davanti il profitto alla vita umana.

GIUSEPPE SCAVO

30 aprile 2021

foto tratta da Wikipedia

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