Raymundo Gleyzer. Desaparecido nell’Argentina di Videla

Regista, comunista, rivoluzionario torturato e ucciso dal regime
Raymundo Gleyzer

Se c’è un luogo che può rappresentare la resistenza e la lotta contro le dittature sudamericane, quelle dell’Operazione Condor voluta dalla CIA, quel luogo è senza dubbio Plaza de Mayo a Buenos Aires. In quello spazio, su cui si affaccia la “Casa Rosada” (la sede del potere politico argentino), il 30 aprile del 1977 un gruppo di donne iniziò a passeggiare in cerchio, attorno all’obelisco situato nel centro della piazza. Da allora quelle donne, sempre più numerose, continuarono a manifestare ogni giovedì contro il regime militare di Jorge Videla.

1. Raymundo Gleyzer

Quelle donne erano e sono le Madres de Plaza de Mayo (Madri di Plaza de Mayo) che da allora non hanno mai smesso di chiedere verità e giustizia per i loro figli scomparsi negli anni della dittatura, tra il 1976 e il 1983. I tristemente celebri desaparecidos. Tra questi c’era anche un giovane regista. Il suo nome era Raymundo Gleyzer.

Il padre, Jacko Gleyzer, ebreo di origini ucraine, era solo un ragazzo quando arrivò in Argentina. Ribattezzato ben presto Jacobo, conobbe e si innamorò di una giovane proveniente anch’ella dall’est Europa, Sara Aijen, originariamente Aijenbom. I due si sposarono e si stabilirono ne La Paternal, il quartiere centrale di Buenos Aires, fondato e abitato, principalmente, da immigrati europei.

Ad unire Jacobo e Sara anche una solida militanza antinazista. L’Argentina era neutrale, loro no. Seguivano da distante l’evolversi della lotta contro il Nazismo e il Fascismo, e rimasero affascinati dalla storia di Raymundo Guyot, un partigiano francese trucidato nel 1940 dai nazisti. Così quando il 25 settembre 1941 nel centro di Buenos Aires nacque il secondo figlio della coppia, dopo una bambina di nome Greta, Jacobo corse a registrare il nome: Raymundo Guyot Gleyzer. L’anagrafe, tuttavia, non accettò il secondo nome e così quel bambino dagli occhi azzurri e dai capelli corvini, rimase semplicemente Raymundo Gleyzer.

Il piccolo, insieme alla sorella Greta, crebbe in un clima fatto di impegno sociale e arte. Jacobo e Sara, infatti, oltre che attivisti, erano due artisti, che avevano fondato, forti delle loro radici, il Teatro Popular Judío (Teatro Popolare ebraico). Una compagnia che collaborò col già consolidato Teatro del Pueblo, andando quasi a formare un “collettivo”, una delle più importanti espressioni di teatro indipendente della storia dell’Argentina.

2. El ciclo (1964)

Ma Raymundo più che col palcoscenico aveva dimestichezza con le macchine fotografiche, che dall’età di quindici anni, usava per immortalare matrimoni e cerimonie. Così dopo essersi iscritto alla Facoltà di scienze economiche nella capitale e aver lavorato, a seguito della separazione dei genitori, come barman, Raymundo Gleyzer, ad appena venti anni, si trasferì a La Plata per studiare cinema all’Universidad Nacional, una delle più importanti università del Paese. I compagni di studio notarono subito una differenza: loro studiavano teoria, Raymundo faceva pratica, girando con una fotocamera da 16 mm.

Dopo un primo filmato universitario, El ciclo (1964) interpretato dai compagni di corso del regista, in cui alcuni amici dopo aver lasciato una festa, ripartono in auto pronti per nuovi divertimenti, Raymundo Gleyzer ottenne una borsa di studio per realizzare il primo film “vero”. Destinazione: Brasile.

Raggiunse, praticamente in autostop, il Nordeste… quasi 4000 km! Partì con pochi soldi, un amico, Jorge Giannoni che gli rubò i pochi soldi, e un’idea: filmare la vita dei contadini del Sertão alla costante ricerca dell’acqua. Gianonni (1939 – 1995) era più bohémien che ladro, in seguito collaborerà con Glauber Rocha (Terra in trance) e Fellini (Roma) e realizzerà, con materiali girati in qualità di corrispondente RAI a Parigi durante il maggio ’68, il film Molotov Party (1968), ma fortunatamente il suo comportamento non fermò Gleyzer che continuò il progetto.

3. La tierra quema (1964)

Il regista visse con i contadini, mangiò quello che mangiavano loro, mostrando una naturale empatia e sostituì Giannoni con Rucker Viera, un direttore della fotografia brasiliano. Nacque così La tierra quema (1964) un documentario che in pochi minuti riuscì a raccontare la miseria di quella terra colpita dalla siccità e dalla carestia.

La scena finale in cui viene nascosto il volto di Cristo attirò molte critiche, ma il messaggio più forte del film fu un altro. In più sequenze, infatti, si vede uno scatolone, gioco e giaciglio di un bambino. Un cartone che riportava il logo dell'”Alianza para el Progreso”, un piano lanciato nel 1961 dal Presidente USA John Fitzgerald Kennedy che dietro le parole “alleanza” e “progresso”, nascondeva il contrasto alla crescente influenza della Rivoluzione cubana nell’area. Quella “scatola” simboleggiò iconicamente e ironicamente il fallimento delle politiche nordamericane in America Latina.

4. lo statolone dell'”Alianza para el Progreso”

Gli USA, tuttavia, continuarono ad “interessarsi” del Sud America: in quel decennio tredici governi costituzionali furono sostituiti da altrettante dittature. Quando Raymundo Gleyzer stava per terminare le riprese de La tierra quema, anche il governo democratico del Brasile guidato da João Goulart, fu rovesciato da un colpo di Stato, ovviamente finanziato dalla CIA, che mise a capo del Paese il generale Humberto Castelo Branco. Il regista rischiò la vita. La famiglia stava per perdere ogni speranza, ma Raymundo riuscì a rientrare in Argentina portando con se la sua macchina fotografica e il materiale filmato. Tutto tranne gli ultimi cinque minuti che sottolineavano come “ogni 42 secondi muore una creatura”.

5. Humberto Rios e Raymundo Gleyzer

Raymundo finì così il film a casa dove ricevette un’inaspettata lettera da parte Fernando Birri, regista che con Tire dié (1960) aveva aperto le porte del nuovo cinema latinoamericano. Birri aveva visto il film a Genova, in Italia, e ne era rimasto colpito. I due iniziarono a collaborare. Gleyzer lasciò così progressivamente la scuola di cinema per apprendere direttamente con la pratica. Lo seguì il suo insegnante all’Università Humberto Rios (La Paz, Bolivia, 30 novembre 1929 – Buenos Aires, 8 ottobre 2014), che divenne il suo operatore.

Finanziati dall’Universidad Nacional de Córdoba, Gleyzer e Rios, insieme all’antropologa Ana Montes, che aveva già collaborato ne La tierra quema, realizzarono Ceramiqueros tras las sierras (1965) sul lavoro e la vita di una comunità di artigiani nelle montagne della provincia di Córdoba e Pictografias del Cerro Colorado (1965) su pittogrammi nell’omonima Riserva Naturale e Culturale.

6. Ceramiqueros tras las sierras (1965)

Film di ricerca etnografica e antropologica che Gleyzer continuò anche con Jorge Prelorán (Buenos Aires, 28 maggio 1933 – Culver City, California, Stati Uniti, 28 marzo 2009). Sostenuti dall’Universidad Nacional de Tucumán e dal Fondo Nacional de las Artes realizzarono insieme due film. Il primo fu Ocurrido en Hualfín (1965), opera divisa in tre parti, ognuna con protagonista un abitante della povera città di Hualfín che cerca di sopravvivere producendo ceramiche e tessendo stoffe (l’episodio relativo alla sarta, venne riproposto nel 1969 usando come titolo il nome della figlia della donna, Elinda del Valle, oggi affermata artigiana della Vakiano, ditta che esporta prodotti della tradizione creola e indigena in tutto il mondo). Il secondo film fu Quilino (1966) in cui la vita della popolazione, che vive di artigianato, dipende dal treno che parte e torna dalla Bolivia, fino a quando la tratta serale viene cancellata.

7. Ocurrido en Hualfín (1965)

Due bei documentari per conoscere meglio la realtà rurale dell’Argentina (Hualfín ha 993 abitanti, Quilino 5262), tuttavia le strade dei due registi si separarono presto. Per Gleyzer, che aveva “scoperto” Marx e si era iscritto al Partido Comunista de Argentina, era fondamentale approfondire gli aspetti sociali e politici del conflitto in cui erano immersi “gli ultimi” dei suoi film; per Prelorán era sufficiente “fotografarli”. Quest’ultimo continuò il suo cinema etnografico, ma dopo il golpe militare guidato da Videla, emigrò negli Stati Uniti dove, tra il 1976 e il l 1994, insegnò cinema alla UCLA. Morì per un tumore nel 2009. Complessivamente Prelorán girò oltre 60 documentari, viaggiando nelle regioni più sperdute e remote del pianeta per documentare le diverse culture popolari.

8. Quilino (1966)

Ma nel 1966, l’anno di Quilino, il cinema sociale in generale e quello di Gleyzer in particolare subì una battuta d’arresto. A fine giugno era, infatti, salito al potere con un golpe militare il Tenente generale Juan Carlos Onganía che aveva instaurato una dittatura in perfetto stile sudamericano. Tra i provvedimenti anche un controllo sul cinema. Raymundo Gleyzer iniziò così a lavorare per la televisione, paradossalmente più libera, senza rinunciare alle sue battaglie (da segnalare un servizio sulla vita della tribù indigena dei Mataco). Lavorò come cronista e cameraman per i telegiornale di Canale 7 e per il programma Telenoche sul Canale 13, entrambe emittenti di Buenos Aires. Complessivamente realizzò circa 200 servizi, alcuni dei quali vennero montati andando a formare dei veri e propri documentari.

9. Nuestras Islas Malvinas (1966)

Per Telenoche, condotto all’epoca da Mónica Cahen D’Anvers e Andres Percivale, realizzò diversi reportage dalle Malvinas, isole che gli argentini da sempre rivendicano, ma sono, invece, amministrate dai britannici che le chiamano Falkland. Per poter filmare in quelle terre Gleyzer ottenne un permesso speciale dalla Regina Elisabetta II. Fu il primo argentino a riceverlo. I servizi, poi montati nel documentario Nuestras Islas Malvinas (1966), mostrano principalmente la vita della capitale Stanley tra neve, commercio, i passatempo dei pochi abitanti e la visita dei diplomatici.

Una trasferta via nave, quattro giorni all’andata altrettanti al ritorno, che debilitò non poco il regista, colpito anche da una brutta ulcera. La cosa fece preoccupare la compagna Juana Sapire, classe 1943, una donna minuta e battagliera che aveva conosciuto ai tempi della scuola. Non scoppiò il classico “colpo di fulmine”, ma i due si ritrovarono anni dopo nella militanza politica e nel cinema (dai tempi de La tierra quema), diventando inseparabili. Al ritorno dalla Malvinas Raymundo Gleyzer e Juana Sapire si sposarono.

10. Nota sobre Cuba (1969)

Viaggiarono per due anni in Europa (Bulgaria, Jugoslavia, Grecia, Francia, Gran Bretagna) tessendo relazioni e realizzando numerosi reportage per Telenoche. Raymundo raccontava e filmava, Juana curava i suoni. Quindi volarono a Cuba dove girarono Nota sobre Cuba, un servizio-documentario che, nel ripercorrere le tappe della Rivoluzione, mostrò i lavoratori impegnati nella raccolta dello zucchero. Il reportage fu trasmesso nel 1969; per la prima volta gli argentini videro la Rivoluzione cubana.

Nel frattempo in patria si manifestavano i primi segni di lotta contro Onganía: una rivolta nella città di Córdoba. Nella lingua spagnola il suffisso “azo” rappresenta un accrescitivo, basti pensare ad un “golazo” o, per rimanere in termini calcistici, al celebre “Maracanazo”, per questo quella rivolta, avvenuta il 29 e il 30 maggio del 1969, assunse il nome di “Cordobazo”. Studenti e lavoratori si unirono contro la dittatura. La sommossa fu soppressa nel sangue, ma si accese una fiamma rivoluzionaria. Raymundo Gleyzer si precipitò a Córdoba e documentò tutto con la sua telecamera. Quel materiale fu poi montato nel film collettivo Córdoba: Los caminos de la liberación (1969).

11. Córdoba: Los caminos de la liberación (1969)

Anche il mondo del cinema si stava, infatti, organizzando. Fernando Solanas e Octavio Getino avevano fondato, con altri, il “Grupo Cine Liberación” e realizzato in clandestinità l’opera di divenne il simbolo di quel movimento: La hora de los hornos (L’ora dei forni). Si aprì la stagione del cosiddetto “Terzo cinema”, i cineasti latinoamericani, riuniti a Viña del Mar in Cile alle fine del 1969, definirono anche il loro obiettivo: la liberazione dell’America Latina.

Quello divenne il “mondo” di Gleyzer che decise di raccontare la prima rivoluzione di quel continente: la Rivoluzione messicana. A finanziare il film fu William “Bill” Susmann (New Haven, 15 settembre 1915 – Sarasota, 21 febbraio 2003) comunista statunitense che il regista aveva conosciuto, tramite amici comuni, a New York.

12. William “Bill” Susmann

Che vita quella di Susmann. Il 23 dicembre 1937 era andato in Spagna per combattere, tra le fila della Brigata Abraham Lincoln (nel 1978 fonderà l’ONG Lincoln Brigade Archives, ALBA), la Guerra civile. Ovviamente a sostegno della Repubblica. Ferito rientrò negli USA dove continuò il suo sostegno alla causa. Durante la Seconda guerra mondiale combatté nuovamente in Europa, poi nelle Filippine. Terminato il conflitto Susmann aprì una casa di produzione, ma finì ben presto nella “lista nera” del “maccartismo”. Era un comunista: non poteva lavorare negli Stati Uniti, ma poteva farlo in altri Paesi. Decise così di finanziare progetti, cinematografici e non, nel centro e sud America. Sostenere il film di Raymundo Gleyzer sul Messico, fu pertanto naturale.

Il regista partì per il più grande Paese centroamericano insieme ad Humberto Rios, suo cameraman di fiducia, a María Vera detta Pila, moglie dello stesso incaricata delle ricerche storiche, e alla compagna Juana Sapire, che seguì come sempre il suono. Alla troupe si unì anche Paul Leduc, regista messicano alle prime esperienze, che fece sia da consulente sia da autista. Le riprese si svolsero nel 1970.

13. México, la revolución congelada (1971)

Il progetto di Gleyzer sul Messico venne anche incoraggiato da Luis Echeverría, all’epoca potente Segretario degli Interni e candidato alla Presidenza della Repubblica dal Partido Revolucionario Institucional (Partito Rivoluzionario Istituzionale, PRI) al potere dal 1946. Il politico messicano sperava, infatti, di fare della pellicola un veicolo per la sua campagna elettorale. Sbagliava. Fin dal titolo quel film rappresentava un attacco all’istituzionalizzazione del processo rivoluzionario: México, la revolución congelada. Gleyzer fu così costretto, dopo alcune riprese iniziali, a girare clandestinamente il documentario.

Un’analisi della realtà socio-politica del Messico che unisce immagini della campagna elettorale di Echeverría, materiali d’archivio degli anni ’10 (realizzate dal pioniere del cinema nazionale Salvador Toscano Barragán che aveva combattuto al fianco di Pancho Villa ed Emiliano Zapata) e interviste ad agricoltori, politici, intellettuali, sindacalisti. Il film, che mostra anche la vita di una famiglia indigena nel Chiapas, si chiude con le immagini del Massacro di Tlatelolco dove le proteste di giovani, studenti e lavoratori, furono represse per ordine del Presidente Gustavo Díaz Ordaz, “infastidito” dalle manifestazioni a pochi giorni dalle Olimpiadi di Città del Messico.

14. Gleyzer sul set di México, la revolución congelada

Un attacco diretto alle politiche del PRI e alla corruzione dilagante che Echeverría, proclamato Presidente del Messico il primo dicembre del 1970, cercò di bloccare in ogni modo. Fece intervenire l’Ambasciatore in Argentina e riuscì a far ritirare dalle sale México, la revolución congelada. Il film, nonostante la censura, iniziò a circolare clandestinamente, approdò al Festival di Cannes nel 1971, nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, vinse il Pardo d’Oro al Festival di Locarno e il Premio come Miglior documentario all’Adelaide International Film Festival in Australia. In Argentina uscì nuovamente nel 1973. In Messico solo nel 2007!

Gleyzer attraverso Mexico, la revolución congelada criticò anche il populismo di sinistra del “peronismo”, cosa che portò ad un primo scontro col “Grupo Cine Liberación”. Una divario che si accentuò dopo un mancato film sul nuovo Cile di Allende, cui il regista argentino teneva particolarmente. Le posizioni di Gleyzer si radicalizzarono. Lasciò il Partito comunista per approdare al Partido Revolucionario de los Trabajadores (Partito Rivoluzionario dei Lavoratori, PRT) e all’Ejército Revolucionario del Pueblo (Esercito Rivoluzionario Popolare, ERP).

15. Raymundo Gleyzer

Il PRT faceva lavoro sociale, ovviamente clandestino, tra le fasce più colpite dalla dittatura: comprava quaderni per gli studenti, cibo per le famiglie, organizzava forme di resistenza nei luoghi di lavoro. L’ERP supportava, armato perché non poteva essere diversamente, l’azione del Partito. Le attività dei due soggetti venivano rivendicate con volantini e messaggi scritti, fino a quando Raymundo non suggerì l’idea di realizzare dei comunicati filmati.

Accanto alla rivista “Estrella Roja”, organo ufficiale dell’Ejército Revolucionario del Pueblo (l’archivio è consultabile all’indirizzo www.ruinasdigitales.com/estrella-roja/listado-de-numeros), Gleyzer iniziò così a realizzare brevi filmati che rivendicavano le azioni rivoluzionarie dell’ERP. I primi furono i “comunicati” numero 5 e 7 del 1971, che vennero montati nel film Swift.

16. Swift (1971)

La Swift Meat Packing Company era una multinazionale nel settore delle carne, amministrata dal Console onorario britannico a Rosario, Stanley Sylvester. Le condizioni di lavoro erano massacranti e i dipendenti venivano sottopagati. Intervenne l’ERP che il 23 maggio del 1971 sequestrò Sylvester e chiese per il rilascio 25 milioni di pesos, per migliorare le condizioni di lavoro e per distribuire agli operai cibo e coperte. I rivoluzionari vinsero e Sylvester venne rilasciato una settimana dopo. Come ricorderà egli stesso, non gli venne torto nemmeno un capello. I filmati di Gleyzer, realizzati insieme a Álvaro Melián, Nerio Barberis, Gustavo Mac Lennan e Juana Sapire, testimoniarono l’intera vicenda.

Il film ebbe, ovviamente, una distribuzione clandestina, così come il “comunicato” numero 2 del 1972 che rivendicava, ancora una volta, un’azione dell’Ejército Revolucionario del Pueblo. Era il Comunicado No. 2 del ERP sobre la acción del Banco Nacional de Desarrollo (1972).

17. Comunicado No. 2 del ERP sobre la acción del Banco Nacional de Desarrollo (1972)

Talvolta chiamato semplicemente Asalto al Banco Nacional de Desarrollo (BA.NA.DE), il breve documentario mostra l’assalto dei guerriglieri alla Banca Nazionale dello Sviluppo, situata a pochi metri dalla “Casa Rosada”, avvenuto la mattina del 29 gennaio del 1972. Senza sparare un solo colpo i rivoluzionari rubarono 450 milioni di pesos per finanziare i lavoratori e la lotta contro la dittatura. Le immagini raccolgono, tra l’altro, le parole di due dipendenti della banca stessa, membri dell’ERP, che facilitarono l’azione (lo stesso Gleyzer effettuò dei sopralluoghi per studiare l’edificio) contro uno dei simboli degli interessi del capitalismo.

Nel frattempo, sempre all’interno della dittatura militare, il potere era passato prima a Roberto Marcelo Levingston poi al Tenente generale Alejandro Agustín Lanusse, l’uomo che ordinò il Massacro di Trelew. La cittadina della Patagonia era sede di un penitenziario federale che “ospitava” anche, se non soprattutto, i prigionieri politici, prevalentemente militanti del PRT, dell’ERP, del Movimiento Peronista Montonero (chiamato semplicemente Montenero) e delle Fuerzas Armadas Revolucionarias (FAR). Il 15 agosto del 1972 scoppiò una rivolta nel cuore carcere, una guardia venne uccisa e venticinque detenuti politici tentarono la fuga in Cile. Solo sei riuscirono a raggiungere il Paese di Allende, gli altri diciannove vennero catturati e fucilati il 22 agosto (tre di loro sopravvissero). Una ferita ancora aperta nella storia argentina su cui sono stati scritti libri e realizzati film. Il primo di questi, girato da Raymundo Gleyzer, fu un forte documentario intitolato Ni olvido ni perdón: 1972, la masacre de Trelew (1972) in cui il regista raccogliendo le testimonianze e mostrando i volti dei rivoluzionari trucidati e dei loro carnefici, sottolineò come non si potesse né dimenticare né perdonare.

18. Ni olvido ni perdón: 1972, la masacre de Trelew (1972)

Per Raymundo Gleyzer non c’era differenza tra cinema, militanza e vita, ma il regista aveva anche un’altra passione: il calcio. Era nato ne La Partenal, il quartiere di Buenos Aires che ieri come oggi ospita le partite dell’Argentinos Junior. Scelse, tuttavia, quella squadra anche per convinzioni politiche. Il club, infatti, era stato fondato nel 1904 da un gruppo di anarchici che avevano chiamato l'”equipo” Mártires de Chicago (Martiri di Chicago) in ricordo degli otto anarchici imprigionati e impiccati a seguito della Rivolta di Haymarket a Chicago; uno sciopero per rivendicare le otto ore lavorative svoltosi il Primo maggio del 1886, che da allora divenne “il giorno dei lavoratori”. La squadra cambiò successivamente nome in Argentinos Junior, ma non mutò il proprio orientamento politico al punto da scegliere il rosso tra i colori della divisa. Nel 1970 nelle giovanili del team fece il suo debutto un ragazzo che fin dalle prime partite dimostrò di essere un fenomeno. Il suo nome era Diego Armando Maradona. Quando il 19 febbraio del 1972 Raymundo Gleyzer e Juana Sapire ebbero il loro unico figlio il nome non fu probabilmente casuale: Diego Gleyzer.

19. Juana, Diego e Raymundo Gleyzer

Tornando al cinema l’esperienza con l’ERP portò il regista alla separazione definitiva dal “Grupo Cine Liberación” di Solanas e Getino e alla conseguente fondazione di un nuovo gruppo dichiaratamente comunista. Nacque così il “Cine de la Base”, animato dai militanti del PRT, Raymundo e Juana in testa, che aveva l’obiettivo dichiarato propagandare tra le masse l’idea rivoluzionaria. Pellicole clandestine, rigorosamente anonime, che venivano proiettate sui muri delle fabbriche, in seminterrati umidi, in sale improvvisate. L’idea di Gleyzer era chiara: “L’artista è un intellettuale: un lavoratore che deve scegliere di usare la sua abilità al servizio delle persone, sollecitando le loro lotte e lo sviluppo di un processo rivoluzionario, o di schierarsi con le classi dominanti, fungendo da trasmettitore e riproduttore dell’ideologia borghese. Come intellettuali dobbiamo correre lo stesso rischio della classe lavoratrice nella nostra vita quotidiana”

Film simbolo di quel movimento fu Los Traidores (1973), diretto da Gleyzer e finanziato, nuovamente, da Bill Susmann. Fu il primo e unico lungometraggio a soggetto del regista. L’idea venne da uno scritto, “La víctima” (“La vittima”), di Victor Proncet, attore, scrittore, compositore e musicista argentino. Il libro, che riprendeva un fatto realmente accaduto, descriveva l’azione del sindacalista peronista Andrés Framini che, per accrescere la propria popolarità in vista delle elezioni, aveva inscenato il suo stesso rapimento.

20. Los Traidores (1973)

La degenerazione burocratica dei vertici sindacali e del movimento peronista, tornato al potere col ritorno alla democrazia nel 1973, prima con Héctor José Cámpora, poi Raúl Alberto Lastiri, infine con lo stesso Juan Domingo Perón, era per Gleyzer un tema centrale. Il regista così nello scrivere la sceneggiatura, realizzata a sei mani con lo stesso Proncet e Álvaro Melián, aggiunse anche elementi della vita di un altro sindacalista, José Ignacio Rucci. L’uomo dopo un passato da rivoluzionario aveva criticato da destra il “Cordobazo” e, una volta divenuto Segretario della Confederación General del Trabajo (CGT), aveva rallentato scioperi e manifestazioni, sia durante la dittatura militare, sia negli anni del ritorno alla democrazia.

Los Traidores, interpretato da attori militanti e operai, racconta la storia del sindacalista peronista Roberto Barrera (interpretato dallo stesso Victor Proncet, dai folti baffi come Rucci) che inizia con le lotte negli anni ’60 e finisce per tradire la fiducia dei lavoratori e diventare un burocrate corrotto.

21. l’omicidio del protagonista

Una lucida indagine sulle contraddizioni all’interno del movimento sindacale, della CGT in particolare, e del peronismo. La presidenza di Perón non fu apertamente condannata, ma Los Traidores mostrò con grande forza la disillusione e la disperazione di un popolo tradito. Una presa di posizione pressoché unica, basti ricordare che nello stesso 1973 Solanas modificò la prima parte di La hora de los hornos per esaltare la politica del governo peronista, che fece scattare la censura. Il film, originariamente destinato alla classe operaia rivoluzionaria e agli intellettuali di sinistra, fu sequestrato, anche perché Rucci venne ucciso come il protagonista del film (l’omicidio avvenne il 25 settembre del 1973 ad opera del gruppo Montenero).

Il film di Gleyzer, presentato al Festival di Berlino nella sezione dedicata ai giovani autori (cioè prima dell’assassinio di Rucci), iniziò a girare clandestinamente divenendo oggetto di culto. Si allargò così l’influenza del “Cine de la Base”. Ma per Raymundo non bastava. Voleva arrivare anche a chi non poteva raggiungere circoli e proiezioni clandestine. Per un periodo accarezzò l’idea di realizzare delle “fotonovelas”, più dirette, meno costose e soprattutto meno censurabili, ma nel frattempo realizzò un nuovo film di denuncia, Me matan si no trabajo y si trabajo me matan: La huelga obrera en la fábrica INSUD (1974).

22. Me matan si no trabajo y si trabajo me matan: La huelga obrera en la fábrica INSUD (1974)

Un documentario sugli operai della fabbrica metallurgica INSUD che denunciano l’avvelenamento da piombo che ha colpito loro e l’ambiente circostante. Il film raccoglie le testimonianze dei lavoratori colpiti, mostra le mobilitazioni e divulga, quasi didatticamente, un’animazione tesa a spiegare le tesi marxiste sullo sfruttamento. Me matan si no trabajo y si trabajo me matan è un urlo di lotta, mi uccidono se non lavoro e se lavoro mi uccidono, amplificato dalle parole del deputato e avvocato Rodolfo Ortega Peña a sostegno della lotta dei lavoratori.

Peña, pochi giorni dopo la fine delle riprese, venne ucciso dalla Alianza Anticomunista Argentina (AAA). Era il 31 luglio del 1974, Perón era morto da trenta giorni e il potere era passato nella mani della terza moglie, Isabel “Isabelita” Martínez de Perón, la prima donna alla guida di un Paese sempre più instabile.

23. Rodolfo Ortega Peña, ucciso poco dopo il comizio ripreso nel film di Gleyzer

Ma cosa era la AAA? Tutto era nato nel 1973 col ritorno alla “democrazia”. Il Presidente Héctor José Cámpora aveva nominato quale Ministro de Bienestar Social de la Nación Argentina (Ministro della Sicurezza sociale dell’Argentina) José López Rega, che, tramite interessi esoterici comuni, aveva conosciuto Isabel Martínez diventando prima amico della donna, poi “uomo di fiducia” dello stesso Perón, il cui movimento univa con “disinvoltura” sinistra e destra.

Rega, iscritto alla P2 di Licio Gelli (che come noto ebbe più di un legame con le peggiori atrocità della storia argentina) e amico del dittatore Francisco Franco (fu ambasciatore in Spagna dal 1973 al 1975), una volta nominato Ministro si circondò di fascisti e nazisti che avevano in comune un unico obiettivo: eliminare i militanti della sinistra in generale e quelli comunisti in particolare. Fondò e finanziò con questo preciso intento l’Alianza Anticomunista Argentina. La prima strage avvenne il 20 giugno 1973, il giorno del ritorno di Perón dall’esilio in Spagna. Poi una serie ininterrotta di attentati, sequestri, omicidi. Sottaciuti, o quasi, dalla prima prima presidentessa dell’Argentina che, succube di Rega, aveva anche finanziato la AAA. La Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas (CONADEP) provò le responsabilità della “alleanza anticomunista” in 19 omicidi nel 1973, 50 nel 1974 e 359 nel 1975. Nella realtà furono molti di più. Un’escalation che colpì deputati, lavoratori, sindacalisti, studenti, uomini e donne della cultura.

24. José López Rega a capo della Alianza Anticomunista Argentina

Anche Raymundo Gleyzer sentiva il fiato sul collo. Il regista continuava, tuttavia, il suo impegno politico e cinematografico: “Non facciamo film per morire, ma per vivere, per vivere meglio. E se perdiamo la vita, altri verranno e continueranno…”. Come se lo sapesse già.

Il 24 marzo del 1976 un colpo di Stato spodestò, con l’aiuto degli Stati Uniti, la debolissima Isabel Martínez de Perón portando al potere la violenta giunta militare capeggiata dal Tenente generale Jorge Rafael Videla. Venne avviata la cosiddetta “Guerra sucia” (“Guerra sporca”), un programma di repressione contro ogni forma di opposizione, contro la “sovversione” dei gruppi marxisti. Il regista, che al momento del golpe si trovata a New York per lavoro, tornò a Buenos Aires per prendersi cura dei compagni, di Juana, di Diego. Per lottare con l’Ejército Revolucionario del Pueblo.

25. Raymundo Gleyzer venne rapito dai militari il 27 maggio del 1976

Il 27 maggio 1976 Raymundo Gleyzer venne rapito dai militari. Il 20 giugno, come ricorderà un sopravvissuto, fu trasferito in uno dei famigerati “centri clandestini di detenzione” di Buenos Aires, El Vesubio. Venne torturato insieme al giornalista e romanziere Haroldo Conti.

A nulla valse l’interessamento del gesuita e scrittore padre Leonardo Castellani che chiese la sua liberazione. Negli anni terribili della dittatura, infatti, molti religiosi intrattennero rapporti col regime al fine di salvare vite umane, tra questi anche un giovane sacerdote di provincia che, secondo alcuni, fu molto influenzato da padre Castellani. Il suo nome era ed è Jorge Mario Bergoglio.

Nel luglio del 1976 un gruppo di cineasti latinoamericani formato da Walter Achugar, Miguel Littin, Manuel Pérez, Carlos Rebolledo e Pedro Rivera, denunciò al mondo la scomparsa di Gleyzer. Negli USA l’amico Bill Susman lanciò una mobilitazione internazionale cui aderirono, tra gli altri, Francis Ford Coppola, Jane Fonda, Elia Kazan, Jack Nicholson, Arthur Penn, Robert Wise, John Voigth, Candice Bergen, Peter Bogdanovich, Roberto Rossellini e Michelangelo Antonioni. Niente. Raymundo Gleyzer non fu mai più ritrovato. Desaparecido.

26. Las tres A son las tres armas (1977)

Il 24 marzo del 1977 il giornalista d’inchiesta Rodolfo Walsh, amico di Gleyzer, scrisse “Carta abierta de un escritor a la Junta Militar” (“Lettera aperta di uno scrittore alla Giunta Militare”) in cui denunciava apertamente i “centri clandestini di detenzione” (raccontati, tra gli altri, da Marco Bechis in Garage Olimpo) e chiedeva conto dei desaparecidos. Il 25 marzo, il giorno dopo, il regime fece sparire anche Walsh. Quella “Lettera” fu la base del primo film del gruppo “Cine de la Base” senza Gleyzer, Las tres A son las tres armas (1977). Realizzata in Perù da Jorge Denti e Nerio Barberis, due dei compagni del regista, la pellicola denuncia tra la simulazione di un rapimento e immagini d’archivio la ferocia della dittatura di Videla.

Poco dopo il “Cine de la Base” si sciolse, da segnalare un ultimo film: Persistir es vencer (1978). Realizzato a Roma il documentario è un’intervista a Luis Mattini, Segretario generale del Partido Revolucionario de los Trabajadores e Enrique Gorriarán Merlo, membro dell’ufficio politico del PRT e comandante dell’Ejército Revolucionario del Pueblo che presentano l’organizzazione in esilio e invitano a “persistere per vincere”.

27. Videla festeggia la Coppa del mondo

Ma la dittatura resistette ancora a lungo e si rafforzò col Mondiale di Calcio del 1978. Vinse l’Argentina perse il Paese costretto a vedersi privato di un’intera generazione, la più colta, la più moderna, la migliore. Quella composta da studenti, giovani lavoratori, artisti, bellissimi sognatori che non tornarono più a casa. Si stima, infatti, che furono oltre 30000 i desaparecidos, molti dei quali drogati e buttati in mare coi tristemente noti “vuelos de la muerte” (“voli della morte”).

Non conosciamo quale fu la sorte di Raymundo Gleyzer, ma sappiamo quello ci ha lasciato: un cinema povero di mezzi, ma ricco di idee, che riuscì a raccontare la vita delle province sperdute dell’Argentina e la lotta degli operai. Che denunciò il malaffare e il capitalismo. Che lottò contro l’imperialismo e il potere. Che affermò con forza l’ideale comunista e la necessità della rivoluzione.

28. Compañero Raymundo siempre presente!

Ma Juana e Diego? Dopo il rapimento riuscirono a salvarsi coi compagni del “Cine de la Base” prima in Perù, poi negli Stati Uniti dove tutt’ora vivono. Sono impegnati, insieme alla sorella Greta, nel mantenere viva la memoria di Gleyzer.

Sulla vita del regista da segnalare il documentario Raymundo (2001) realizzato da Ernesto Ardito e Virna Molina che ripercorre la vita del cineasta e quella del cinema rivoluzionario latinoamericano. In suo omaggio anche premi, il ricordo costante degli Argentinos Junior e una targa nel centro de La Partenal. Una targa stata distrutta nel 2018, perché il nome di Gleyzer fa ancora paura alla destra. Compañero Raymundo siempre presente!

MARCO RAVERA

redazionale


Bibliografia
“El cine político militante en la Argentina (1966-1976) di Roberto Daniel Bracco – LibrosEnRed (IN SPAGNOLO)
“Contraimagen Raymundo Gleyzer”
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET

Immagini tratte da: immagine in evidenza da www.screenslate.com e da facets.org; foto 1 da 1 da www.funcinema.com.ar; foto 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 16, 17, 18, 20, 21, 22, 26, 26 Screenshot del film riportato in didascalia; foto 5 da bombmagazine.org; foto 12 da alba-valb.org; foto 14 da www.screenslate.com; foto 15 da subversivefestival.com; foto 19 dal profilo Facebook di Juana Sapire; foto 24 da it.wikipedia.com; foto 25 da www.wbez.org; foto 27 da storiedicalcio.altervista.org.
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