Superata, almeno così sembra, l’emergenza coronavirus, l’unico tema al momento sul tavolo israelo-palestinese è l’annessione a Israele di una larga porzione di Cisgiordania. Netanyahu è stato chiaro l’altro giorno incontrando i quadri dirigenti del Likud, il suo partito. «Non lascerò passare l’opportunità di estendere la sovranità israeliana a terre patrie in Giudea e Samaria (Cisgiordania, ndr). Si tratta di una occasione storica come mai si è avuta dal 1948», ha detto descrivendo il territorio palestinese occupato nel 1967 come parte di Eretz Israel, la biblica Terra di Israele. Parole che smentiscono le voci di una frenata al suo piano di annessione unilaterale, a partire dal 1 luglio, a causa degli ammonimenti rivolti a Israele da alcuni paesi europei e dalle Nazioni unite.
Le frecce all’arco palestinese intanto restano poche, considerando il sostegno insufficiente che arriva loro dall’Ue e dal mondo arabo. L’Anp per ora insiste sulla linea del disimpegno dagli Accordi di Oslo annunciato dal presidente Abu Mazen e confermato dal governo. «Manterremo l’ordine e la nostra sovranità in Cisgiordania, difendendo al tempo stesso i diritti civili dei palestinesi» assicura il premier Mohammad Shtayyeh. «Questa è una battaglia importante – sottolinea – una battaglia sull’esistenza nazionale della Palestina nel suo territorio e sulla prevenzione dell’annessione israeliana di terra palestinese attraverso l’espansione delle colonie». I dubbi sulle intenzioni vere dell’Anp tuttavia restano. Non è facile stabilire se l’interruzione dei rapporti con Israele e Usa e la fine della cooperazione con l’intelligence rappresentino il passaggio del Rubicone o restino una minaccia volta a scoraggiare Israele e a raccogliere consenso internazionale.
I dirigenti palestinesi a Ramallah ripetono che l’annuncio fatto da Abu Mazen è concreto. Staccare la spina però è complicato per l’Anp che, di fatto, non può schiacciare un pulsante senza il via libera di Israele. Economia e finanza palestinesi sono sotto il controllo di Israele, così come l’import ed export. Il governo israeliano, lo ha già fatto innumerevoli volte, può interrompere in qualsiasi momento il trasferimento dei fondi palestinesi derivanti dalla raccolta di tasse e dazi doganali che rappresentano circa il 40% delle entrate dell’Anp. Ed è importante ricordare che la “Zona A”, il territorio amministrato pienamente dall’Anp, rappresenta appena il 14% della Cisgiordania.
Shttayeh a inizio settimana ha dato ordine di limitare i rapporti con la sanità israeliana e di interrompere appena possibile il trasferimento negli ospedali dello Stato ebraico di palestinesi gravemente ammalati che non possono essere curati in Cisgiordania e a Gaza. «Nel 2019 l’Anp ha speso 850 milioni di shekel (circa 220 milioni di Euro) per la cura negli ospedali israeliani di nostri cittadini. Abbiamo già ridotto questo flusso e puntiamo a sviluppare una sanità indipendente e migliore» ci spiega Mai Al Keile, ministra della sanità ed ex ambasciatrice palestinese a Roma. «Il mio ministero – assicura Al Keile – sta preparando un piano volto a migliorare le nostre strutture e le nostra assistenza medica. Nel frattempo Giordania ed Egitto sono disponibili a ricevere coloro che non possiamo curare in Cisgiordania e Gaza, tra 1000 e 2000 persone ogni anno».
Indipendenza da Israele. Facile a dirsi, molto meno a farsi. Senza intoppi lo sviluppo del sistema sanitario palestinese comunque richiederà anni e il trasferimento di ammalati in Giordania ed Egitto, all’estero, è soggetto a restrizioni e controlli molti rigidi. «Il problema riguarda soprattutto i malati oncologici che necessitano cure immediate e terapie speciali molto costose» ci dice Steve Sosebee, del Pcrf, una ong palestinese che assiste gratuitamente bambini ammalati. Il Pcrf negli anni passati ha aperto dipartimenti di oncologia pediatrica in due ospedali pubblici in Cisgiordania e Gaza. «I bambini con il cancro possono essere curati nei nostri dipartimenti. Diverso è il caso dei pazienti oncologici adulti» aggiunge Sosebee «gli ospedali locali hanno pochi macchinari e non abbastanza medici e infermieri specializzati in oncologia. Mi auguro che gli accordi con Giordania ed Egitto siano già ben avviati, altrimenti non vedo come gli ammalati più gravi potranno essere assistiti in modo opportuno».
MICHELE GIORGIO
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