Don Gabriele Tamilia è uno che a 74 anni non le manda a dire. L’ha scritto e firmato personalmente il manifesto che dispensa bacchettate contro l’ingiustizia che si è consumata a Ripabottoni, borgo situato a 695 metri d’altitudine, in provincia di Campobasso. Qui, dice lui e dicono i suoi compaesani, lo «Stato è intervenuto a rovinare un bell’esempio di integrazione».
Questo piccolo centro – 553 abitanti ufficiali, ma circa 450 residenti effettivi – è in subbuglio. Fino all’11 gennaio scorso, nell’ex caserma dei carabinieri di corso Garibaldi, trasformata in Centro d’accoglienza straordinaria (Cas) c’erano trentadue migranti. «Erano arrivati nel 2016 – racconta il parroco – e, allora, c’era stata una petizione contro… Non li volevano. Ma poi – rammenta – i facinorosi si sono calmati. E l’esistenza è ricominciata a scorrere placidamente». Fin troppo, in una realtà minuscola, che – evidenzia il sacerdote – «è falcidiata dallo spopolamento, che è disagiata e dove il lavoro non c’è e non si trova».
Gli extracomunitari ospitati dal Centro gestito dalla cooperativa Xenia sono, a mano a mano, entrati in simbiosi con le abitudini e la vita del luogo. E hanno portato una ventata di nuovo: hanno rinforzato la locale squadra di calcio, arrivata con loro a 12 tesserati, e pure le fila del coro polifonico. Tutti d’amore e d’accordo. «Si sono inseriti nelle nostre due comunità cristiane – dice don Gabriele -, quella cattolica e protestante, e nelle rispettive attività. In tanti si sono adoperati con diverse forme di aiuto. Ottimi rapporti, insomma…». Avrebbe potuto finire con un fiabesco… «e vissero felici e contenti». «Invece – spiega Domenico Piedimonte, poliziotto, capogruppo d’opposizione consiliare in Comune – nei giorni scorsi, già annunciata da altri precedenti documenti di fine 2017, è arrivata una nota della Prefettura che ha ordinato il repentino smantellamento del Cas, con l’immediato trasferimento dei suoi ospiti».
Il Paese, a questa disposizione, si è ribellato. Si è risentito. Ma come? «Lasciateci i migranti…», ed è stata bailamme. «In breve – riprende Piedimonte – abbiamo raccolto 150 firme e organizzato un sit in di protesta contro il provvedimento di chiusura e contro lo spostamento dei giovani africani. Siamo corsi in Prefettura a consegnare la petizione, ma nessuno ci ha ricevuto, adducendo il fatto che avremmo dovuto prima chiedere un appuntamento via mail». Più d’uno ha additato il sindaco, Orazio Civetta, eletto a capo di una lista civica, per l’accaduto. Sul territorio, oltre al Cas, c’è uno Sprar e le solite malelingue giurano che due strutture, per il primo cittadino, fossero davvero troppe e che quindi abbia premuto per l’eliminazione di una di esse. Ma lui spiega così la vicenda: «A marzo del 2017 – attacca – tutti i sindaci sono stati convocati in Prefettura e ci è stato spiegato che occorreva mobilitarsi per l’accoglienza, perché era emergenza. L’amministrazione che rappresento ha sposato subito l’idea dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Un progetto, da più di un milione, portato avanti dalla coop Koiné, e che è diventato realtà: attualmente abbiamo 12 minorenni. Con l’attivazione dello Sprar, – sottolinea Civetta – è scattata la ‘clausola di salvaguardia’ che rende esenti dall’attivazione di “ulteriori forme di accoglienza” quei Comuni che appartengono alla rete Sprar o che hanno manifestato la volontà di aderirvi».
Così il Cas, preesistente, è stato scalzato e «giovedì scorso – fa presente Piedimonte – i migranti, all’improvviso, sono stati caricati sui pullmini, tra le lacrime e il dissenso collettivo, e portati via, in paesi come Petacciato, Montecilfone, Portocannone e Roccavivara. Da sottolineare – e forse stavolta a parlare è la sua divisa – che non avevano mai creato problemi di ordine pubblico. E non va scordato che, con la dismissione del Centro d’accoglienza, in 16 restano disoccupati». «Ma non è colpa di nessuno», tiene a puntualizzare il sindaco. Il più incavolato resta don Gabriele che, sulla facciata della chiesa dell’Assunta, monumento di interesse nazionale, tra i migliori esempi dell’architettura barocca della regione, ha incollato e reso lampante il proprio dissenso. «Le leggi – recita un suo manifesto – sia pure in un momento di particolari difficoltà economiche, non possono trattare da merci esseri umani. I ragazzi si erano integrati nella nostra cittadina. Perché, dunque, non si è potuto garantirne la permanenza in attesa di sviluppi più idonei per loro? Caro Stato, la legge è per l’uomo, non l’uomo per la legge. Persone, non pacchi». «E’ una prova dell’esistenza di Dio e del… Molise», commentano alcuni al bar.
SERENA GIANNICO
foto tratta da Pixabay