E’ necessario leggere le motivazioni delle sentenze per comprendere il significato e la portata delle decisioni assunte dai tribunali. Nel dispositivo (a maggior ragione in un comunicato stampa, privo di valore giuridico) non è contenuto nessun elemento che possa spiegare le ragioni del diritto. Se questo è sempre vero, nel caso del giudizio della Consulta sulla legge elettorale risulta essere determinante. Una sentenza su una questione ad alto tasso di politicità, che impone un forte self-restraint al giudice delle leggi, può essere valutata nella sua reale portata – anche per i suoi riflessi più direttamente politici – non tanto per le asserzioni (il deciso) quanto per le argomentazioni (la ratio). È questo ciò che sfugge a molti commentatori che immaginano una Corte-legislatore. Il suo compito è solo quello di cancellare («far cessare l’efficacia») le norme che risultino in contrasto con la Costituzione, non anche quello di valutare la congruità della legge sottoposta a scrutinio. Nei giudizi sui sistemi elettorali v’è un ulteriore elemento che delimita il potere d’intervento del giudice costituzionale: la necessità che all’esito della decisione permanga un meccanismo che possa garantire il potere del presidente della Repubblica di scioglimento delle camere e dunque la possibilità di svolgere in ogni caso nuove elezioni. Ciò rende ancor più circoscritto e complesso il giudizio non potendo la Corte limitarsi a far cadere le disposizioni incostituzionali ma essendo costretta a ricercare una soluzione «a rime obbligate». Tutte le sentenze che hanno avuto ad oggetto leggi elettorali (anche quelle relative ai referendum abrogativi) hanno sottolineato l’opportunità di interventi correttivi da parte del legislatore che è l’unico potere che ha la responsabilità nel merito della legge. È altamente probabile – personalmente ne sono sicuro – che anche questa volta leggeremo tra le motivazioni della sentenza della Corte un invito al parlamento di intervenire per fare la sua parte. Non escludo neppure che vengano formulate specifiche indicazioni o vengano espressi allarmati moniti al legislatore per evitare che fuoriesca ancora una volta da perimetro costituzionale. Già questo mi sembra un buon argomento per attendere di leggere la sentenza prima di sbilanciarsi in giudizi affrettati.
D’ALTRA PARTE, svolgere delle elezioni sulla base dell’esito «autoapplicativo» della sentenza sarebbe certamente «tecnicamente» possibile, ma rappresenterebbe un suicidio della politica, un duro colpo per tutti coloro che hanno a cuore le sorti della nostra democrazia parlamentare. Palesi sono le disomogeneità tra i due sistemi elettorali di camera e senato, ispirate per molti profili a logiche di sistema opposte. La permanenza del premio per la lista che supera il 40% dei voti espressi in un solo ramo del parlamento fa prevedere che ben presto avremmo maggioranze politiche diverse; in ipotesi: grillina alla camera e di coalizione con maggioranza Pd al senato. Le soglie assai elevate in un caso e assai ridotta nell’altro assicurano una diversa presenza di forze politica nei due rami del parlamento. I capilista bloccati renderanno la camera ben più mansueta ai voleri delle segreterie dei partiti che dovranno definire le liste, mentre al senato la scelta determinante dell’elettore renderà i componenti di questo ramo ben più attenti ai voleri e agli umori del collegio di appartenenza. L’intervento del legislatore è dunque necessario per rendere coerente il sistema, è altresì auspicabile affinché quest’organo si riappropri del proprio spazio costituzionale e politico.
È vero che le nostre assemblee legislative hanno già fallito per ben due volte, sicché la Corte è stata costretta ad intervenire per ripristinare la legalità costituzionale violata. Ciò non può però portarci a ritenere che le leggi le debba fare un giudice anziché il parlamento. In caso – allargando il discorso – ci pone drammaticamente la questione del cambiamento di una rappresentanza politica che ha dimostrato di non riuscire a operare entro i limiti delle compatibilità costituzionali. In fondo, dopo il 4 dicembre è questa la questione che dovrebbe essere posta all’ordine del giorno. Ciò nulla toglie però alla più immediata esigenza di riuscire ad andare alle elezioni con una legge non solo non incostituzionale, ma anche coerente e che garantisca esiti politicamente sopportabili per il nostro bicameralismo paritario.
IN CASO, proprio le cattive prove fornite nel recente passato, nonché la scarsa legittimazione dell’attuale parlamento (e del sistema politico nel suo complesso) rappresentano una seconda ragione che può far ritenere opportuno leggere con attenzione quanto ha già scritto e quanto ancora scriverà la Corte nei due casi in cui è stata obbligata a far cessare l’efficacia di alcune norme elettorali. L’auspicio è che il parlamento ne tragga finalmente seria ispirazione e sia in grado di definire una nuova normativa che non sia più a rischio di fuoriuscire dal perimetro costituzionale tracciato. Il che non vuol dire che il parlamento dovrà scrivere la prossima legge elettorale sotto la dettatura della Consulta, come troppo superficialmente alcuni ritengono. La questione è ben più delicata è riguarda il rispetto dei principi costituzionali così come interpretati dal giudice costituzionale. In questa prospettiva la conferma delle disposizioni non dichiarate incostituzionali non è affatto auspicabile. In particolare la soglia fissata al 40% e la pluricandidabilità credo potrebbero essere rilette alla luce della giurisprudenza costituzionale.
Come motiverà la Corte non possiamo sapere. Possiamo però parlare di quanto ha già affermato nel 2014, auspicando – come si deve presumere – che si porrà in continuità con questo suo importante precedente. L’esigenza di fondo allora enunciata fu quella di un necessario riequilibrio tra le ragioni della governabilità e quelle della rappresentanza. Un chiaro monito a non proseguire sulla strada di sistemi che risultino eccessivamente distorsivi della reale configurazione del corpo elettorale. Scrisse la Corte che premi senza l’indicazione di una soglia minima di voti risultano «abnormi» e dunque non sono costituzionalmente compatibili. Dopo questa decisione una maggioranza parlamentare ben poco propensa a prendere sul serio la Costituzione vigente e i limiti fissati dai suoi custodi ha indicato una soglia, ma ha anche provveduto a operare un suo raggiro mediante un improprio sistema di ballottaggio. Ora, la frode è caduta e rimane l’indicazione del limite. Credo che la Corte non potesse spingersi oltre. Non può essere il giudice delle leggi a fissare una specifica soglia di compatibilità costituzionale, visto il suo ruolo di garante costituzionale e di legislatore solo negativo. Rimane però irrisolta la questione di fondo: è coerente con i principi della rappresentanza politica un meccanismo di così elevata alterazione dei voti che trasforma una minoranza elettorale (40% dei voti espressi) in maggioranza parlamentare (55% dei seggi)? Ritengo che la Corte non potesse scendere sul piano delle regole da fissare e le sia dunque precluso l’indicazione in positivo di una soglia minima, cionondimeno l’indicazione del principio costituzionale della salvaguardia della rappresentanza politico che si pone a fondamento del nostro sistema costituzionale dovrebbe far riflettere il nostro legislatore ed indurlo ad eliminare il premio o almeno ad elevare la soglia. Nella motivazione della sentenza il tema non penso potrà essere eluso. Un buon motivo per aspettare con atteggiamento fiducioso la decisione.
VEDREMO anche sulla pluricandidabilità come motiverà la Corte. Certo è che già il comunicato stampa, che ha sottolineato il criterio residuale del meccanismo del sorteggio, sembra mettere le mani avanti ed anticipa precisazioni che sicuramente troveranno ampio modo di essere svolte. Anche in questo caso, in attesa della sentenza, quel che può rilevarsi è che il più rigoroso rispetto del principio di scelta dell’elettore e sottrazione all’arbitrio dell’eletto dovrebbe portare alla pura e semplice eliminazione delle candidature multiple. Se la Corte non ha potuto varcare questa soglia e indicare la più lineare delle soluzioni un parlamento rispettoso della coerenza dei principi costituzionali dovrebbe evitare soluzioni pasticciate e affermare il principio.
GAETANO AZZARITI
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