E’ morto alla buona età di 92 anni un ingegnere il cui nome, alla maggior parte delle persone, dirà poco, forse proprio niente. Giorgio Rosa se ne è andato pensando ancora alla sua “Repubbblica Esperantista dell’Isola delle Rose”, ad una utopia che nacque in mezzo al turbolentismo del 1968, mentre ci si incamminava verso anni ancora più chiassosi e di grande speranza di rivoluzione e cambiamento.
L’ “Isola delle Rose” è stato il sogno di creare un luogo estraneo al mondo circostante, lontano dalle acque territoriali di ogni Stato, lontano dalle forme e dalle sostanze quotidiane di una società priva della capacità di valorizzazione della vera umanità, dell’essenza della nostra espressione vita.
Nessuna voglia di essere apolidi, ma quella di costruire uno Stato repubblicano separato dall’Italia, un po’ stile San Marino, con una propria moneta, con una propria lingua: l’Esperanto. Nessuno dei sei promotori del progetto la parlava ma “segnava il carattere distintivo” della Repubblica e quindi si pensò di usare l’unica lingua non usata da nessun popolo.
Che a fondare la Repubblica mai riconosciuta da nessun paese al mondo, tanto meno dall’Onu, fosse stato un ex repubblichino, quindi non un pericoloso comunista o sovversivo sessantottino, interessò poco la parte fascista del Parlamento italiano, tanto che un deputato del MSI fece addirittura una interrogazione al Ministero dell’Interno per sapere quali provvedimenti si intendevano prendere contro questa piattaforma marina di 400 metri quadrati che si ergeva appena al di fuori delle acque territoriali della Repubbblica Italiana e che doveva, a suo dire, essere abbattuta.
Le cronache di allora ipotizzarono tutto e il contrario di tutto: dalla ricerca del turismo a buon mercato fino anche al segreto desiderio di sfruttare chissà quale giacimento petrolifero marino.
In realtà la Insulo de la Rozoj era soltanto il tentativo di un gruppo di uomini e donne che volevano staccarsi dal mondo e vivere senza le leggi di quel mondo, ma in autonomia, con un loro governo, un loro modo di interpretare la realtà al di fuori degli schemi preposti dagli Stati esistenti. Classi dominanti comprese.
Il ricordo dell’Isola delle Rose oggi, con la scomparsa del suo fondatore, è necessario perché viene alla mente, almeno per chi l’ha potuto vedere, il film “The Village”. Non possiamo svelare la trama di un film che è comunque già passato molte volte sugli schermi televisivi: non possiamo farlo perché tutta la storia si regge su un colpo di scena finale che è davvero inaspettato.
Così come inaspettata era la costruzione che dal 1965 in poi l’ingegner Giorgio Rosa mise in atto nel mezzo del mare Adriatico: una palafitta, in sostanza. Una palafitta di libertà: una richiesta di libertà. Anzi, come disse più volte l’ingegnere, “un afflato di libertà”.
Quella libertà ricercata scatenò cancellerie statali, formulò persino fantasie spionistiche: sarà per caso una base per spiare il blocco sovietico? Sarà mica una televisione clandestina per diffondere messaggi invece in Occidente a danno della Nato e dei paesi alleati degli Usa?
Ipotesi, illazioni e fantasie che nulla avevano a che vedere con la Repubblica delle Rose. La vita di questo staterello libero, il cui unico abitante “straniero” fu un profugo del mare giunto lì dopo una tempesta con la sua imbarcazione, finì nel 1969 quando lo Stato Italiano decise che doveva essere smantellata e mandò i sommozzatori spezzini a minarne le fondamenta e a farla saltare in aria.
Guardate “The Village” e, se vi capita, il documentario “Insulo de la Rozoj. La libertà fa paura” realizzato da Stefano Bizzuri e Roberto Naccari nel 2009: è un modo per ricordare un esperimento ma, soprattutto, per attualizzare la speranza di una alternativa che è sempre realizzabile. Anche se viene sconfitta una, due, cento volte.
Bisogna sempre riprovare e ricominciare tutto daccapo, come diceva Gramsci: proprio quando tutto sembra perduto e non ricostruibile.
E’ una bella lezione di ritrovamento dello spirito di ribellione dell’umano essere: del guardare oltre le apparenze e anche le concretezze così vere ma anche così fragili della realtà. Tutto esiste ma non è imperturbabile: tutto si trasforma. Ricordate Lavoisier. E se tutto cambia nella chimica della materia, nella sua formazione e disfacimento, tutto può facilmente cambiare nell’organizzazione sociale, economica e civile del nostro vivere quotidiano, del nostro essere “corpo sociale”, umanità di popoli e non più di Stati.
Un’Isola delle Rose, da qualche parte, può sempre ancora tornare a spuntare…
MARCO SFERINI
4 marzo 2017
foto tratta da Wikipedia