arrivi di soppiatto/ notte senza rumori e senza imprese, /hey notte che ti strusci come un gatto/ contro gli angoli più oscuri del paese” (F. Guccini)
A Dicembre la notte si fa giorno, nel senso che, essendo più lunga dei momenti di luce, diviene la prima protagonista delle giornate. Quella notte, era il 6 Dicembre 2012, un gelo d’altri tempi cingeva gli Appennini con una corona di ghiaccio trasparente, argentato come la limpidezza di un cielo ormai quasi invernale, in cui la fa da padrone, anzi, da padre benigno, la cintura di Orione piantata lì in cima, una certezza apparente come tutte le certezze, poiché ciò che ci sembra fisso si sposta, e noi con esso, nel gioco delle orbite e delle reciproche gravità universali. Apparente e dunque vera, poiché di assoluto non esiste nulla se non nella strana idea tutta umana di crearne a bizzeffe, di assoluti, siano essi religiosi, politici od’altro genere.
Dopo una giornata intensa (si fa per dire, ricordo che avevo passato uno splendido pomeriggio accanto alla persona amata), un po’ sentendomi “in colpa” verso i compagni, un po’perché non mi potevo immaginare in altri posti, decisi di raggiungere il gruppo di persone che dalla mattina erano impegnate nel bloccare il tentativo di esproprio di alcuni terreni fra le splendide vallate dello Scrivia e quelle del Lemme interessati alla costruzione del “terzo valico”, la devastante linea ad alta velocità fra Genova e Milano che nel corso degli anni si è sempre più ristretta nella misura in cui ne era aumentato il costo, sino a divenire la Genova- Tortona (ma qui, ora, non voglio dilungarmi in questioni tecniche). I compagni (che parola meravigliosa, una parola che vale una vita, come diceva Paul Eluard)dalla mattina tenevano duro, nonostante la temperatura sotto zero:due volte gli scherani delle grandi opere, accompagnati dai pretoriani dell’imperatore di turno, avevano tentato invano di oltrepassare i cordoni fatti di temibili pensionati, di casalinghe,di barbarici esponenti dei centri sociali armati di chitarre, musica,vino caldo e castagne e di altri campioni di varia umanità nel senso più alto del termine (vale sia per campioni che per umanità).
Dopo quella giornata, la sera, divenuta presto notte, non aveva fatto desistere i succitati compagni che, dunque, mi accinsi a raggiungere. Lasciata l’automobile a qualche chilometro dai blocchi, tirata fuori una lampada tascabile (è una torcia,ma, dato il contesto, ritorna una “lampada tascabile”, come le torce di una volta), mi incamminai lungo la strada provinciale del fondovalle che, prima di inerpicarsi lungo i tornanti della Castagnola, luoghi di Resistenza con la R maiuscola durante la seconda guerra mondiale e di epiche imprese ciclistiche profumate di mito e dopoguerra, descrive un rettifilo inusitato per l’Appennino ligure. Il freddo era intenso, ma non ne avvertivo la portata, preso come ero dalla voglia di raggiungere gli altri senza tardare troppo e l’aria vetrificata sembrava amplificare la vista di ciò che avevo intorno e di ciò che ero, un puntino luminoso nella notte alla ricerca di altri puntini si muoveva sotto migliaia di stelle come un fratello minore, lontano e pure vicino agli altri fratelli che da qualche parte dovevano pur essere (non volevo fare la figuraccia di telefonare a qualcuno, dopo aver tormentato di sms una decina di persone al fine di annunciare il mio arrivo…).
Quella strada dritta, quel cielo, quel gelo, quella luce in mano, quel mio cuore che batteva per rendermi vivo e pensante….In quei minuti, non so se per la voglia di rendermi utile in qualcosa in cui credo, o perla magia della sera, o per il profumo del freddo , tutto sembrava chiaro; era un istante brevissimo, passato con la medesima velocità con cui era arrivato: mi sentivo parte di un tutto e sentivo che quel tutto aveva senso proprio perché le parti lo pensano, e che tutti siamo importanti in quanto parte di un soggetto collettivo declinato nella miriade di pensieri e di sogni rotanti in quello spazio di cui sopra, nel quale neppure la solitudine ha senso se non nella percezione di chi, umano, vivo, transeunte, si sente solo.
Arrivato all’appuntamento col consueto ritardo, il gruppo dei compagni circondava un fuoco il cui calore mi baciò appassionatamente lasciandomi sul viso il profumo di cenere e notte e abbracci e musica e vita e lotta e tutte quelle sensazioni che solo non vivendole si ritengono, stupidamente, retorica, mentre lì non c’era niente di retorico: c’erano semplicemente, e dunque nel più complesso dei modi, una ventina di persone, una fiamma che scalda, un cielo che ti fa compagnia, le stelle che come in Kant danno la percezione della legge morale e la legge morale che ti fa capire quanto sia importante lo sguardo di chi vede le stelle.
E poi ci fu quella passeggiata con Mirco, salendo i tornanti nella notte sino ad arrivare all’altro presidio in cima al valico, dove un altro fuoco, altri abbracci, altre parole ed altri suoni ci accolsero,mentre lassù la cintura di Orione così ben piantata dal tempo dei Sumeri, sembrava farci l’occhiolino. E pensare che sono sempre stato astemio.
ENNIO CIRNIGLIARO
redazionale