Quando tra quattrocento anni la specie aliena della serie Il problema dei tre corpi arriverà sulla terra, i protagonisti scopriranno che la loro aritmetica non sarà basata sul numero 10 come la nostra. Perché anche se a noi sembra naturale, è la forma della mano umana che ha determinato il nostro modo di contare.
Questo è solo un esempio di come la biologia abbia «scritto» la nostra storia. È l’astrobiologo Lewis Dartnell a spiegarlo nel suo ultimo libro Essere umani, che esce oggi per i tipi del Saggiatore (pp. 408, euro 29). Abituato a lavorare alla frontiera tra diverse discipline a caccia di vita extraterrestre, Dartnell indossa gli occhiali della scienza per leggere la storia. Dopo aver raccontato in Origini come la geologia del nostro pianeta, la forma dei continenti, delle correnti e dei venti abbia scandito la nostra evoluzione, nel suo ultimo volume si concentra sulla biologia umana. E argomenta che assai più di guerre e sovrani sono stati il nostro Dna, le nostre necessità biologiche, i nostri punti deboli genetici a indirizzare il corso degli eventi.
Non sarà un po’ troppo semplicistico attribuire gli accidenti della storia al Dna umano? C’è sempre il rischio del determinismo quando si parla di scienza.
Credo di essere stato molto attento a non dare a intendere che la forma di una catena montuosa necessariamente abbia portato a una mutazione genetica, o che quella mutazione abbia condotto a un determinato fatto storico. La mia tesi è che, nella storia, spesso guardiamo ai fattori economici o sociologici, senza accorgerci che, approfondendo le indagini, compaiono fattori psicologici, bias cognitivi e altri elementi direttamente legati al nostro Dna. Il mio obiettivo è aggiungere elementi che ci permettano di spiegare meglio i fenomeni, senza per questo sminuire il ruolo che hanno i leader o le popolazioni umane. Naturalmente, la storia è molto complessa e multifattoriale. Ma l’influenza biologica è rimasta fuori dalla narrazione abituale.
Libri come «Armi, acciaio e malattie» (di Jared Diamond, del 1997) o «Sapiens» (di Yuval Harari del 2011) hanno già fatto lo sforzo di leggere la storia dell’umanità attraverso il prisma della scienza. In cos’è più originale il suo lavoro?
Entrambi i volumi sono stati una fonte di ispirazione per me. Credo però che smarrissero una parte della narrazione. C’erano ancora numerose storie da raccontare sulla nostra genetica, psicologia e sui nostri bias cognitivi che non avevano spiegato. In generale, non esistono tanti libri interdisciplinari in ambito scientifico, e ancora meno che mescolino la scienza con la storia. Dovevo esplorare questo campo così ricco.
Fra gli aneddoti sorprendenti che presenta nel suo libro c’è quello sulla nascita della mafia, e di come sia legata alla vittoria degli inglesi nella battaglia di Trafalgar, alla loro migliore salute e ai limoneti siciliani.
È una delle storie che mi è piaciuto di più scoprire quando stavo preparando questo libro. C’è una sola mutazione nel nostro Dna che avvenne milioni di anni fa e che ci ha fatto diventare esseri davvero strani. Siamo l’unico animale incapace di produrre la vitamina C. Questa limitazione biologica produce una lunga serie di cause ed effetti che portano prima a scoprire che gli agrumi permettevano di non ammalarsi di scorbuto; e poi che, grazie a questa scoperta, e ai limoni coltivati in Sicilia, gli inglesi, più in forma degli avversari franco-spagnoli, poterono vincere la battaglia di Trafalgar nel 1805. Ma porta anche alla nascita della mafia, in quanto i sempre più numerosi campi coltivati con i limoni avevano fatto crescere la domanda di protezione privata. È solo un piccolo esempio: un problema ancora presente oggi ha un’origine storica che, in ultima analisi, è connesso alla biologia.
C’è un altro esempio nel suo libro su un personaggio legato all’Italia.
Il nostro cervello non è perfettamente razionale ed è affetto da distorsioni cognitive. E oltretutto, spesso, neppure ce ne rendiamo conto. Cristoforo Colombo scoprì il Nuovo Mondo, ma si rifiutò sempre di riconoscerlo. Fece quattro viaggi per l’Atlantico eppure mantenne la convinzione di essere arrivato a qualche isola cinese o indiana. Era colpito da un classico bias cognitivo: era così convinto della sua idea che ignorò, minimizzò o reinterpretò tutta l’evidenza a sua disposizione. Un’evidenza che avrebbe dovuto indicargli che non si trovasse dove pensava di essere. Lui la scartò per salvare la sua idea. Come succede oggi per l’attualità politica: scegliamo pochi esempi per formarci una opinione, ascoltiamo solo le voci che sono d’accordo con noi. È un problema che riguarda anche le reti sociali: gli algoritmi sono disegnati per offrirci le cose che vogliamo leggere, cioè per darci le opinioni con cui siamo già d’accordo. Fanno leva su questa distorsione cognitiva del nostro cervello.
Per essere umani, è necessario che il nostro cervello funzioni proprio così?
Nel libro racconto come siamo effettivamente evoluti e le conseguenze di questi mutamenti nella storia delle ultime migliaia di anni. Potrebbe essere andata altrimenti? È speculativo dirlo. In fondo, ci sono buone ragioni per le quali queste distorsioni cognitive esistono: riuscire ad anticipare ciò che succederà nell’ambiente che ci circonda, ci evita di essere uccisi. A volte, dobbiamo prendere decisioni rapide: non è necessario siano precise, se sono generalmente ragionevoli. L’evoluzione è anche questo: è sufficiente che le decisioni siano abbastanza buone, non c’è bisogno che siano ottime.
LUCA TANCREDI BARONE
foto: screenshot ed elaborazione propria