Quando Conte voleva il Mes e lo diceva al Financial Times

Cambiare idea. Il difficile rapporto con il Meccanismo europeo di stabilità (Mes, Fondo salva stati) giudicato oggi dal governo "inadeguato" per affrontare la crisi, in un colloquio con il quotidiano inglese il 19 marzo era considerato una "potenza di fuoco". Nei giorni successivi il premier ha cambiato linea, anche a causa dell'opposizione dei Cinque Stelle, per arrivare all'aut aut "No al Mes, sì all'Eurobond". L'Eurogruppo ha votato la proposta iniziale. Il 23 aprile il Consiglio europeo dei capi di stato e di governo discuterà l'ambiguo compromesso raggiunto dai ministri economici dell’Eurogruppo

«Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes, «Fondo Salva Stati») è stato creato durante un altro tipo di crisi [quella del 2008-2010, ndr.], quindi deve essere adattato alle nuove circostanze in modo da poter utilizzare tutta la sua potenza di fuoco [oltre 500 miliardi di euro, ndr.] – ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte al Financial Times il 19 marzo scorso – La strada da seguire è quella di aprire linee di credito del Mes a tutti gli Stati membri per aiutarli a combattere le conseguenze dell’epidemia di Covid, a condizione che ogni Stato membro renda pienamente conto del modo in cui le risorse vengono spese».

Giuseppe Conte al Financial Times, 19 marzo 2020

Se non avesse cambiato linea, per non rompere con i Cinque Stelle, a favore del teatrale ma inutile «No al Mes, sì all’Eurobond», ieri Conte avrebbe potuto evidenziare che l’Eurogruppo dei 27 ministri economici ha sposato la sua proposta, stanziando però la metà di quanto richiesto 18 giorni prima: 240 miliardi: «Il solo requisito per accedere alla linea di credito del Mes sarà che gli Stati si impegnino a usarla per sostenere il finanziamento di spese sanitarie dirette o indirette, cura e costi della prevenzione collegata al Covid-19 – si legge nel comunicato – La linea di credito sarà disponibile fino alla fine dell’emergenza. Dopo, gli Stati restano impegnati a rafforzare i fondamentali economici, coerentemente con il quadro di sorveglianza fiscale europeo, inclusa la flessibilità».

La conclusione dell’Eurogruppo è ambigua: può significare che, a emergenza sanitaria finita, saranno ripristinate le regole del Mes, ma soprattutto quelle del Patto di Stabilità e del Fiscal Compact oggi «sospesi», e non riscritti. In mancanza di un ripensamento di questa cornice, comunque annunciata dalla Commissione Europea, questo può significare che sarà condotta un’analisi della sostenibilità del debito accumulato (150-170% del Pil, oltre?). A quel punto cosa accadrà? Sarà chiesto un piano di rientro da centinaia di miliardi a un paese stremato e drasticamente impoverito? Nessuno in Europa, e in Italia, si pone questo problema. Ma le conclusioni dell’Eurogruppo non sembrano lasciare dubbi. Se l’Italia non si è risollevata dalla crisi del 2008-2010, figuriamoci da questa i cui effetti dureranno il doppio del tempo.

Conte trova «inadeguato» il Mes. Ha ragione: se attivato, ma il suo governo non intende farlo, all’Italia arriverebbero 35 miliardi, ovvero poco più di quanto stanziato in un solo mese dal decreto «Cura Italia». Quasi tre settimane prima aveva attribuito allo stesso strumento «inadeguato»  una «potenza di fuoco».

Sparare soldi contro un nemico invisibile che si trasmette attraverso il respiro e il contatto tra gli esseri umani e tra questi ultimi e i pipistrelli è la metafora di questa crisi. Non si conosce ancora la cura, il modo per evitare il salto di specie che ha scatenato il virus, ma presto si avranno notizie dei costi economici indotti dai «lockdown» totali o intermittenti necessari per impedire i contagi. A quel punto non sarà solo il controverso “Fondo Salva Stati” ad essere insufficiente, oltre che impraticabile, ma anche le prime misure finanziarie cospicue adottate. In poco più di un mese la banca centrale americana Fed ha rovesciato oltre 5 triliardi di dollari nell’economia.

L’«inadeguato» Mes sarà presentato e, probabilmente, votato dai capi di stato del consiglio Europeo del prossimo 23 aprile, insieme a un mandato alla Banca europea degli investimenti a investire 200 miliardi e al «Sure» per la cassa integrazione in Italia, il Kurzarbeit in Germania o lo chômage partiel in Francia. Funzionerà solo se tutti gli Stati metteranno a disposizione una garanzia, la somma può non raggiungere il totale dei 100 miliardi annunciati, cifra che potrebbe risultare inadeguata: per nove settimane l’Italia ha stanziato 11 miliardi per la cassa integrazione. E altri 15 arriveranno con il decreto di aprile. Non solo: l’Eurogruppo ha precisato che questo prestito a lungo termine andrà restituito a un tasso basso. Il «Sure» è temporaneo. Significa: «Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency», sostegno per mitigare i rischi di disoccupazione in caso di emergenza. Così come lo sono in Italia il «bonus» per le partite Iva (il 40% di chi ha fatto domanda dovrà rifarla), o il «reddito di emergenza» che sarà istituito ad aprile. è per questa ragione che il governo considera entrambe le misure «temporanee» e non vuole estendere senza condizioni il cosiddetto «reddito di cittadinanza». Sperano che tutto rientri. Non sarà così. Chi pagherà le conseguenze saranno coloro che percepiranno i sussidi e li perderanno.

Conte ha evidenziato che il 23 aprile non firmerà l’accordo senza l’istituzione, in tempi certi, del «fondo comune per la ripresa» per il quale si prevede un finanziamento «inadeguato» da 500 miliardi di euro che si aggiungono agli altri 500 miliardi complessivi  a cui ha pensato l’Eurogruppo. È la proposta franco-tedesca che, dal 26 marzo, ha cominciato a chiamare «European Recovery bond» anche se in Italia si parlava di «Coronabond», sinonimo di «Eurobond». Entrambi bocciati da Angela Merkel il 9 aprile come mutualizzazione strutturale del debito. Sulle forme alternative ieri il ministro dell’economia Roberto Gualtieri ha detto che ci sarà da battagliare. A vedere l’esito dell’Eurogruppo c’è da temere anche il peggio.

Ancora il 20 marzo Conte precisava di volere trasformare il Mes in un «coronavirus fund», i suoi bond avrebbero dovuto essere «concessi senza alcuna condizionalità». Ipotesi respinta e trasformata, nel comunicato dell’Eurogruppo, in un fondo affidato alla Commissione Europea che agirà attraverso il suo risicato bilancio ora bloccato dai veti incrociati dei governi. L’ipotesi è stata confermata dal vicepresidente Valdis Dombrovskis. Non si tratta della costituzionalizzazione di una politica degli investimenti, ma di una misura «temporanea» e «mirata». Si sta scommettendo sul fatto che questa emergenza rientrerà e dopo si tornerà la normalità di un’Europa squassata dagli interessi nazionali. Come quella di oggi.

La modestia del compromesso celebrato con toni entusiasti conferma che non è possibile una politica economica comune strutturale, una Banca centrale Europea che finanzia i debiti pubblici nazionali, sospende il pagamento degli interessi, eroga un reddito di base direttamente alle persone attraverso i governi. La scelta è fatta.

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto.it

foto: screenshot tv

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Economia e societàFinanza e capitali

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