Venti giorni fa l’abbraccio a Sochi, ieri l’abbraccio a Latakia. Il presidente siriano Assad ha accolto nella base aerea russa a Hmeimim, nella provincia alawita, la visita a sorpresa del presidente russo Putin impegnato in 24 ore di tour mediorientale: in poche è volato dalla Siria al Cairo per concludere ad Ankara.
Al centro gli interessi russi nella regione – economici, energetici, politici – e la questione calda di Gerusalemme. Ma soprattutto il ruolo militare di Mosca: da Hmeimim Putin ha dato l’ordine al ministero della difesa di avviare il ritiro parziale delle truppe dal campo siriano.
Un annuncio non del tutto nuovo (in passato altri ritiri parziali sono stati compiuti), ma che stavolta giunge a una settimana dalla dichiarazione russa della fine dello Stato Islamico in Siria e a pochi giorni dalla ricandidatura di Putin (per la quarta volta) alle presidenziali del prossimo marzo. Insomma, un annuncio che molti analisti leggono in chiave elettorale più che di effettiva strategia militare.
Perché la Russia non lascerà la Siria, continuerà a fornire assistenza al governo di Damasco, proseguirà nella gestione della transizione politica di Astana e anche nel supporto aereo (reso noto una settimana fa) ai curdi di Rojava in chiave anti-Isis e anti-jihadisti.
E infatti – ha detto ieri il presidente celebrando il ritorno a casa delle truppe da «vincenti» – Mosca manterrà la base aerea a Latakia e quella della marina a Tartus, sul Mar Mediterraneo, obiettivo primario di imposizione della propria presenza nella regione fin dall’ingresso nella guerra a settembre 2015.
Pivot mediorientale, la Russia si infila in ogni spazio lasciato libero dagli Stati uniti, che si tratti di mediazione nel conflitto siriano o di sostegno alle forze curde in procinto di essere abbandonate da Washington.
Ieri Putin ha approfittato dell’incontro con Assad per ribadire l’importanza della nuova creatura partorita dalla Russia a Sochi a fine novembre, il Congresso di dialogo nazionale, a cui dovrebbero prendere parte rappresentanti delle opposizioni, della società civile e delle diverse minoranze religiose ed etniche del paese. Il prossimo appuntamento, riportava ieri la Tass, è previsto per il 21 e 22 dicembre, di nuovo in Kazakhstan.
Tirando fuori Assad dall’isolamento Putin ha evitato anche il proprio isolamento, tentato dall’Occidente con le sanzioni per la guerra in Ucraina. Salvando la pelle al presidente siriano, permettendogli (con il sostegno dell’asse sciita Iran-Hezbollah) di restare al timone, riassumere il controllo di ampie fette di territorio e schivare la quasi certa deposizione (chiesta a gran voce e quasi ottenuta da Stati uniti e paesi europei), il Cremlino ha garantito se stesso e il rinnovato ruolo internazionale della Russia, ora fisicamente presente tra Medio Oriente e Nord Africa con basi militari stabili.
Ce ne saranno anche in Egitto, con cui Mosca ha redatto bozze di accordi per piazzare navi e aerei da guerra lungo la costa.
Dopo la sortita siriana, il presidente russo ieri è volato al Cairo, accolto dal presidente al-Sisi, acquirente delle armi russe, alleato nella crisi libica e nella sponsorizzazione del generale Haftar come exit strategy dal disastro della Nato e partner commerciale di rilievo.
Non è un caso che la visita sia stata cornice alla finalizzazione del contratto per la costruzione della centrale nucleare di Dabaa: la russa Rosatom costruirà l’impianto da quattro reattori nucleari entro il 2029, per un costo totale di 21 miliardi di dollari coperti per l’85% da prestiti russi.
La centrale sorgerà lungo la costa, 130 km a nord-ovest del Cairo, avrà una capacità di 4.800 megawatt e impiegherà 4mila operai. Una boccata di ossigeno – molto poco sostenibile sul piano ambientale – per la disastrata economia egiziana costantemente alla ricerca di energia per una popolazione in crescita.
Con al-Sisi Putin ha poi discusso di Gerusalemme, argomento centrale anche nel meeting successivo con Erdogan in Turchia (che ha toccato anche qui il progetto della prima centrale nucleare turca, ad Akkuyu). Se l’alleanza del Cairo e Ankara con gli Stati uniti non è in pericolo, la Russia si vende come sponda alternativa alla volatile amministrazione Trump.
Che infiamma il mondo arabo mentre Mosca lo dichiara liberato dall’Isis: un’ottima strategia mediatica del neo-imperialismo russo, che ha permesso nel 2016 di incrementare del 3,8% la vendita di armi nel mondo, facendo salire Mosca al terzo posto nella fornitura di armi a paesi terzi dopo Stati uniti e Gran Bretagna.
CHIARA CRUCIATI
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