Salvini dice che in questo momento alla legge elettorale non pensa, «non è una priorità». Zingaretti assicura che la notizia di un patto tra lui e il leghista per una legge elettorale maggioritaria «è totalmente priva di fondamento» e chi nel partito ci ha creduto «partendo da alcuni articoli di giornale» – ne ha scritto ieri La Stampa – «crea polemiche infondate» sintomo «del degrado politico nel quale è precipitato il confronto interno nel Pd contro il suo gruppo dirigente». Dichiarazione pesante, affidata a una nota del Nazareno, che testimonia il grado di arrabbiatura del segretario dem per la manovra di accerchiamento delle minoranze interne di cui si sente vittima. Eppure era stato lui, nella serata di martedì, a spiegare alla direzione del Pd del Lazio, forse sottovalutando l’uditorio, che «nel centrodestra sta venendo meno la disponibilità a fare la riforma elettorale e probabilmente stiamo andando verso un diverso sistema maggioritario». Che è un dato di fatto, dopo il varo della «maggioranza Draghi».
Ma è anche un’inversione a U per il Pd, come non manca di notare immediatamente Orfini, visto che da mesi Zingaretti non ha fatto che ribadire la richiesta di una legge elettorale proporzionale. Anche «per riequilibrare lo scempio del taglio dei parlamentari», ricorda Orfini. È però un fatto che la bozza di riforma proporzionale con soglia nazionale di sbarramento al 5%, cosiddetta Brescellum dal nome del 5 Stelle presidente della prima commissione alla camera, giace abbandonata da sei mesi. Prima della fine del Conte 2 erano stati i ripensamenti di Renzi a bloccarla. Adesso non ci sono solo i nodi irrisolti sull’altezza della soglia di sbarramento o sulle preferenze a tenerla in stand by, e nemmeno il fatto che uno dei due relatori, l’ex grillino Forciniti, sia stato espulso dai 5 Stelle e sia finito all’opposizione. C’è soprattutto il mutamento del quadro politico a spingere ai margini il proporzionale (semi) puro.
Quel modello, infatti, si basava sulla scommessa di strappare Forza Italia dall’alleanza strutturale con la Lega (per replicare in Italia la «maggioranza Ursula») e sull’assenza di alleanza pre elettorali. Adesso sono proprio gli avversari interni di Zingaretti a chiedergli coerenza rispetto alla scelta di un’alleanza «strategica» con i 5 Stelle: se è così non si capisce l’insistenza del segretario Pd – ostentata fino all’altro ieri sera – per «l’opzione proporzionale».
Che abbia stretto o meno un patto con Zingaretti, decidendo di restare agganciato a Forza Italia nella «maggioranza Draghi» Salvini ha fatto saltare lo schema del Brescellum. Che langue almeno quanto quelle riforme costituzionali considerate correttivi indispensabili al taglio dei parlamentari (il voto dei 16enni per il senato è stato fermato all’ultimo minuto con un rinvio «a breve», cinque mesi fa). Sottotraccia Pd, 5 Stelle e Leu lavorano a una riduzione del danno.
Il sistema elettorale in vigore, figlio per metà del renziano Rosato e per metà del leghista Calderoli, favorisce infatti clamorosamente il centrodestra. Applicato a un parlamento con numeri ridotti può consegnare alla coalizione di Salvini i quorum per cambiare la Costituzione senza referendum ed eleggere il presidente della Repubblica in solitudine. Per questo gli ex giallorossi stanno effettivamente immaginando di aggiungere al proporzionale con soglia di sbarramento un premio di maggioranza. Che però, per non replicare l’incostituzionale Porcellum, andrebbe assegnato solo al raggiungimento di una soglia minima di maggioranza relativa. Garantirebbe ai vincitori 220 deputati e 110 senatori, comunque meno di quelli conquistabili con il Rosatellum. Ufficialmente la linea è ancora quella di difendere il proporzionale. E la fuga in avanti di Zingaretti, corretta con la smentita del Nazareno, merita una risposta del capogruppo di Leu Fornaro: «Per noi restano gli obiettivi di mettere in sicurezza la Costituzione e ridurre gli effetti di compressione della rappresentanza generati dal taglio dei parlamentari. Si parta dunque dalla formula proporzionale, siamo disponibili a concordare su correttivi per garantire la stabilità dei governi».
ANDREA FABOZZI
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