Segnatevi una parola nuova: propal. ProPalestina. Nuovissima non è, gira da anni negli osservatori sull’antisemitismo, ma proprio questa circostanza la rende velenosamente adatta a identificare il nemico nuovo che si avanza nella guerra culturale.
Nemico loro. Propal è il babau dei talk di destra (cioè quasi tutti), un mostro costruito con pazienza dalle prime urla mesi or sono degli ospiti filoisraele contro chi denunciava il genocidio a Gaza (fino allo scandalo Ghali-Mara Venier – casa mia o casa tua a tutto volume in corteo ieri), ai collegamenti malmostosi con le proteste nelle università italiane, i video degli scontri studenti-polizia (Pisa, Roma, Torino), infine il racconto del 25 aprile che della strategia è il momentaneo capolavoro, temo.
Giorni fa Maurizio Belpietro, in uno dei cento talk settimanali ai quali lo invitano, aveva anticipato che il 25 aprile se lo sarebbe giocato la Brigata Ebraica contro i propal, e così è stato. I più grandicelli di noi sono abituati a riconoscere la puzza di propaganda fino dai titoli dei telegiornali: tensione e insulti a porta San Paolo; allerta massima in piazza del Duomo. Piuttosto surreale ma significativo il collegamento di un tg4 pomeridiano dal centro della piazza del Duomo con un’unica agitata inquadratura dei caschi della polizia che impedivano di vedere chiunque ci fosse dietro, scarsi i tentativi del cameramen.
Esiste su Instagram un controcampo della scena, mostra almeno chi c’era dietro/davanti agli scudi. Su Instagram c’è tutto: ci sono i maranza senza patria del McDonald’s che fanno a botte coi City Angel, c’è il messaggino di Giorgia Meloni sulla “fine” del fascismo, ridicola rincorsa a un revisionismo semantico ossessivo e insultante. C’è lo sclero di Riccardo Pacifici contro un’inviata del programma Reset, colpevole di avere raccontato the dark side della Brigata Ebraica, niente di che, tante scuse via social.
Succhiare come vampiri dal 25 aprile ogni linfa e storia fino ad occuparne il guscio vuoto era la strategia della destra. Ce l’hanno fatta? In televisione sì. Ma la televisione è roba loro, adesso. Solo per un antico meccanismo di rappresentazione istituzionale il tg1 ha avuto l’obbligo di mostrare il presidente Mattarella che si aggirava come un marziano in questa strana giornata a parlare di antifascismo e unità popolare, ruolo delle donne e libertà, a Civitella della Chiana fisicamente separato dai set principali, Roma e Milano.
In apertura dei suoi tg Rete4 ha trasmesso per ben due volte il servizio completo del discorso di Berlusconi a Onna, il 25 aprile 2009: il fazzoletto e i partigiani, la festa della Libertà contro la festa della Liberazione. Divino l’attacco stile Luce: «La scintilla della riappacificazione dell’Italia fu scoccata da Silvio Berlusconi». Colpiva il pessimo stato di conservazione dei colori su nastro magnetico: se va avanti così tra 40 anni sarà tutto cancellato. Gli resteranno soltanto i film di Peppone e Don Camillo.
Ha scritto Filippo Barbera ieri su questo giornale che il guaio della sinistra è aver appaltato la sua unica idea di televisione a Blob invece che pensare a costruire immaginario. Sono uno degli umilissimi militanti della brigata Blob, programma che quest’anno compie 35 anni e ringrazio, magari fosse così. Blob era nato in tempo di guerra per smontare la propaganda, fare a pezzi l’immaginario, più altri deliri di gioventù. Proprio come i ragazzi (i marziani?) che ieri hanno tanto colpito Luciana Castellina a Milano, il commento più sano della giornata resta il suo, come certi quartieri di Roma pieni di gente che ha festeggiato in strada, come si fa, come si dovrebbe fare da sempre il 25 aprile.
ALBERTO PICCININI
foto: screenshot ed elaborazione propria