Non fu una scelta del governo «Conte I» quella di impedire a 147 migranti di sbarcare dalla Open Arms, ferma nell’agosto di due anni fa a poche centinaia di metri dalle coste di Lampedusa, ma fu una decisione solo amministrativa. A prenderla fu Matteo Salvini. Ecco perché, sostiene la Procura di Palermo, l’ex ministro degli Interni va processato per sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio; fu lui, per l’accusa, a tenere «in mezzo al mare per sei giorni» i profughi che erano stati salvati dalla ong spagnola. A chiedere il rinvio a giudizio del leader del Carroccio è stato il procuratore capo Francesco Lo Voi, al termine dell’udienza di ieri nell’aula bunker del carcere Ucciardone, con lui l’aggiunto Marzia Sabella e il sostituto Geri Ferrara.
La decisione sarà probabilmente il 17 aprile: toccherà prima alla difesa esporre la propria tesi, poi il giudice Lorenzo Jannelli deciderà. «Non ci fu alcun sequestro di persona», ribatte Giulia Bongiorno, perché «Open Arms aveva diverse possibilità, anche di andare Spagna e non lo fece». Ed è quello che ha ripetuto in aula Salvini, facendo dichiarazioni spontanee all’inizio dell’udienza, che si è svolta a porte chiuse, per scelta del giudice, nonostante la Procura avesse chiesto l’accesso alla stampa, col benestare anche della difesa. «Ho difeso i confini», ha ribadito Salvini, e «i provvedimenti contestati erano adottati di concerto con il ministro della Difesa e con quello dei Trasporti».
Il premier Conte, ha insistito, «era informato: sono l’unico che sta pagando per tutti, io che garantivo la sicurezza e l’ordine pubblico», mentre il comandante della Open Arms «si rifiutò di trasbordare 39 migranti, in area Sar maltese, su una nave de La Valletta, e giorni dopo di dirigersi verso il porto di Algeciras in Spagna».
Davanti al giudice, i pm hanno ripercorso l’istruttoria fatta dal tribunale dei ministri, facendo riferimento alle deposizioni fatte a Catania (nell’udienza per il caso Gregoretti) dall’ex premier Giuseppe Conte e dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio. «L’azione amministrativa – ha sostenuto Lo Voi – era del ministro dell’Interno, gli altri sapevano dopo». E ancora: «Il presidente Conte ha spiegato che non si è mai discusso in consiglio dei ministri dei singoli casi e ancora meno della concessione del porto sicuro alle navi delle Ong».
Per la Procura «l’azione di governo non parlava di blocco generalizzato delle navi» e «la redistribuzione dei migranti non può pregiudicare la concessione del porto sicuro». E ha citato le lettere del 14 e del 16 agosto 2019, nel fascicolo del tribunale dei ministri, con le quali Conte chiese a Salvini di fare sbarcare i 27 minori non accompagnati, poiché la situazione a bordo era diventata insostenibile. Missive che, per l’accusa, smentiscono in pieno la linea difensiva di Salvini.
I magistrati hanno chiesto pure l’acquisizione del provvedimento con cui il 29 gennaio scorso, il comitato Onu per i diritti umani, ha condannato l’Italia per non avere agito tempestivamente in relazione a un’operazione di soccorso avvenuta al di fuori delle acque territoriali italiane. Quindi, hanno concluso, i pm, «l’accusa è sostenibile in giudizio, si chiede il processo per entrambi i reati così come configurati». Posizione condivisa dalle parti civili; nell’udienza del 9 gennaio, il giudice ne aveva ammesse 18.
Ieri si sono aggiunti il comune di Palermo, quello di Barcellona ed Emergency. «Per difendere i confini rischio 15 anni di carcere ma io sono un italiano felice, ho fatto il mio lavoro, rivendico il merito di aver svegliato l’Europa. Sono l’imputato più tranquillo sulla faccia della terra», s’è poi sfogato Salvini fuori dall’aula parlando con i cronisti.
Diversa rispetto a quella assunta dai pm di Palermo è la valutazione fatta dalla Procura di Catania, nonostante all’ex ministro vengano contestati per il caso Gregoretti gli stessi reati che gli sono imputati per la Open Arms. Il 3 ottobre scorso, il sostituto procuratore Andrea Bonomo ha chiesto il proscioglimento per l’ex Salvini; il gup Nunzio Salpietro ha disposto un approfondimento, la decisione è attesa per il 14 maggio. A Catania, l’avvocato Bongiorno aveva depositato lettere, video e post dell’ex premier e del ministro Di Maio. Materiale che la difesa chiede di fare entrare anche nel processo di Palermo.
«Sono tutti atti che documentano la linea politica del governo “Conte I” e le relative iniziative in tema di immigrazione – ha scritto l’avvocata Bongiorno in una memoria – documentano la continuità di azione dell’esecutivo, il Conte II, e i rapporti intrattenuti con le istituzioni e gli altri Stati membri dell’Unione Europea».
ALFREDO MARSALA
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