Fonte: “Corriere della Sera“. Numeri: le famiglie che ricorrono alla maternità surrogata sono circa 250 in un anno. Di queste, 225 sono famiglie considerate dai benpensanti, sia da destra che da sinistra, passando per il centro cattolico, “normali“, quindi eterosessuali. Le altre 25 sono famiglie omosessuali, formate quindi da genitori dello stesso sesso.
Su questi numeri enormi che sconvolgerebbero chissà quale pilastro della famiglia tradizionale, si è incistata una ideologizzazione di quello che viene visto, letto, esposto come un problema piuttosto che come una opportunità: la “gestazione per altri“, in acronimo la “GPA“.
Fatto salvo che il Parlamento fino ad oggi non ha colmato la vacatio legis proprio in tale materia, salvo accondiscendere al desiderio del governo di fare di questa pratica un “reato universale“, punibile quindi anche se svoltosi in paesi in cui è perfettamente legale (oltre che morale), ogni effetto delle pregiudizialità in materia si sta riversando direttamente sulle famiglie che sono ricorse alla GPA per poter avere uno o più figli.
Qualche mese fa il ministro dell’Interno Piantedosi aveva inviato una circolare ai prefetti della Repubblica affinché si prodigassero nel far conoscere ai sindaci dei loro territori la volontà del governo di lavorare nella direzione dello stop alle registrazioni anagrafiche dei figli nati da coppie omogenitoriali.
Il Paese degli ottomila comuni si divise tra i primi cittadini che plaudirono a tanta solerzia e altri che, invece, disobbedirono civilmente continuando a registrare ciò che veniva dichiarato irricevibile d’ora in avanti. Oggi, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Padova, con altrettanta solerzia, invia 33 raccomandate per annunciare il ricorso contro quelle registrazioni, addirittura a partire dal 2017.
Le eccezionalità fanno parte, si vede, dell’epoca di governo meloniana. Una rivoluzione conservatrice che comprime i diritti e, con essi, la democrazia, restringendo il piano di una uguaglianza sociale, civile, culturale e morale che dà seguito ad una asfissia insopportabile per tutte quelle cittadine e quei cittadini che non rientrano in una perfezione etero-cattolico-tradizionalista tanto di sé stessi quanto del nucleo familiare cui appartengono.
Si diceva delle eccezionalità legali, di un diritto nuovo di zecca: dall’abnormità del “reato universale” fino alla retroattività della Legge medesima. Due mostri giuridici che imbarazzano una civiltà antica dello ius come quella della nostra Penisola che origina dalla XII tavole e passa per Cesare Beccaria, fino alla disadorna modernità della retrocessione culturale basata sulla preservazione del passato dentro un presente in continuo movimento verso un futuro velocissimo.
La distinzione capziosa tra etero e omogenitorialità sta soltanto nella sessualità, perché è dentro questo rapporto da analisi psicoanalitica che stanno i turbamenti di una destra i cui maggiori esponenti sono spesso divorziati, al secondo o terzo matrimonio, oppure conviventi more uxorio, pur andando ai family day a sbandierare la necessità di difendere l’estrema attualità dell’unione sacra tra uomo e donna. Così come vuole domeneddio, così come vuole la Bibbia, così come vuole Santa Romana Chiesa.
La Legge 40 sulla fecondazione assistita, ispirata dal Vaticano al governo Berlusconi dell’epoca, ha sancito l’illegalità della pratica, anche se col tempo è stata svuotata dei principali divieti che poneva. Ne restano ancora relativi all’esaminabilità scientifica degli embrioni, ma il cuore di una normativa che era dettata dalla Curia romana è stato praticamente cancellato.
Al suo posto, però, il Legislatore non ha mai, dal 2005 ad oggi, posto un rimedio e non ha quindi recuperato quel vuoto inserendovi delle norme all’avanguardia che permettessero a tutte e tutti di essere tutelati e garantiti: dai genitori ai figli, dal diritto alla maternità e alla paternità a quello più generale che riguarda la salute.
Oggi il Parlamento è impegnato in una discussione che riguarda qualcosa di molto meno sottile dei temi trattati dalla Legge 40 del 2004. Oggi una procura come quella di Padova contesta il fatto che, secondo la Legge e secondo le sentenze della Cassazione, una bambina o un bambino non possono portare il cognome di due genitori che non siano entrambi genitori biologici. Va cancellato quello della madre o del padre non direttamente parte procreatori.
Mentre le Camere si confrontano sull’introduzione della figura del reato universale per la Gestazione per altri, provando a stabilire un record di veramente mondiale di analfabetismo del diritto globale, oltrepassando ogni trattato o carta internazionale, il governo prosegue sulla via dell’indirizzo ortodosso, conservatore, aggrappato all’idea dell’eterosessualità come unica fonte della normalità tanto del desiderio e dell’amore che può nascere e dare adito alla creazione di un nucleo familiare.
Parimenti, mentre questo avviene in Italia, in Russia Vladimir Putin fa considerare le persone LGBTQIA+ come dei malati mentali dietro la definizione di “disturbo psicologico” (ben 33 anni dopo la cancellazione da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dell’omosessualità dalla lista stessa delle malattie mentali) e proibisce la transizione di genere.
Dietro tutto questo, da Mosca a Roma, da Budapest a Varsavia e, non meno, dai paesi arabi a parecchi di quelli asiatici, sta la teorizzazione della “riparazione” del danno, dell’imperfezione, dell’innaturalità, della “devianza“, dell'”inversione“. Un revisionismo psicoanalitico e scientifico assolutamente moderno, perché, come si vede, è tanto attuale quanto affondante nell’assunto pregiudiziale che, un p0′ ancestralmente, affonda le radici nell’inconscio di massa sulla riconoscibilità della propria identità.
Si teme che l’eterosessualità propria sia messa in discussione e si allarga questo tema a tutti gli altri, facendolo divenire il basamento di un relativismo morale che dalla sfera sessuale consente, con assoluta disinvoltura, di transitare a quella politica, economica, da etica personale ad etica di Stato.
E, la Storia ce lo dovrebbe aver insegnato… gli “Stati etici” sono sempre e soltanto una delle forme che prende quella sostanzialità che obbedisce al rivoltamento della democrazia per affidarsi alla guida di una morale superiore che annienta tutte le differenze, sclerotizza le minoranze e le relega in ghetti angusti fino a farle morire di asfissia ed inedia.
L’allarme sociale e civile che va lanciato oggi riguarda, necessariamente, anche il piano inclinatissimo di una cultura che scade verso l’unilateralismo e, quindi, la negazione di una anche pur minima polarizzazione delle opinioni: si sta creando, lentamente (ma nemmeno poi tanto…), una narrazione incondivisibile su una uniformità totale tra comportamenti legali e comportamenti etici, tra diritto e vita, tra cittadinanza e umanità.
Il progetto della cosiddetta lotta al “relativismo” moderno, enunciato molto esaustivamente da Joseph Ratzinger, parte integrante di un catechismo della Chiesa cattolica in perfetta continuità col pontificato di Bergoglio, si sostanzia soltanto quando si tratta di affrontare temi laici, intrinsecamente legati al rapporto tra essere umano e cittadino, mentre non vale in materia di pluralismo, ad esempio, religioso.
L’esistenza delle differenze di fede, così, è teologicamente concepibile come una molteplicità di strade che conducono a Dio; l’esistenza delle differenze di genere, di sesso, della vasta gamma di desideri che sono una delle prime manifestazioni della nostra essenza (osiamo dire) “primordiale“, è invece una damnatio da anatemizzare, da stigmatizzare.
Governo italiano e Chiesa cattolica, pur con le dovute differenze che la dialettica delle posizioni esige, oggi si ritrovano nell’affermazione di una serie di princìpi secondo cui all’uguaglianza costituzionale dei cittadini si antepone l’interpretazione biblica ed evangelica della vita e sulla vita delle persone. Fonte del diritto rischia di diventare una simbiosi narrativa che coniuga parte delle cosiddette “Sacre Scritture” e parte del programma di governo della maggioranza delle destre estreme che siedono a Palazzo Chigi.
Da questa apologia della “normalità“, intesa come fenomeno ascrivibile al concetto esclusivista di “maggioranza“, dobbiamo difendere la liberalità individuale (non individualista) e la socialità (non socialista) della nostra Costituzione. Che tutto possa essere letto attraverso le lenti di un presupposto (presuntuoso) astratto, guidato dalle direttive di un’etica pubblica che si impone piuttosto che essere condivisa. Sembra quasi che la stessa scienza debba piegarsi a questi dettami e soggiacere ad una interpretazione, questa sì, relativa dai tratti però fortemente dogmatici.
Perché, se ci dobbiamo basare, oltre che sulle nostre percezioni e sensazioni emotive, oltre che sulla nostra Storia millenaria di esseri umani, oltre che sulle tradizioni che via via si sono accumulate in montagne di pregiudizi e convenzioni, anche sulla veridicità dei fatti, magari anche su quanto la scienza ci dice riguardo a genetica, biologia, ricerca e studio sugli embrioni, nonché sui nostri specifici caratteri distintivi, dal colore della pelle dal tema delle razze alla sessualità intrinseca al nostro essere più complesso, dovremmo concludere che forse certe nostre opinioni secolari sono completamente errate.
Proprio il nostro comportamento sessuale è un tratto distintivo talmente articolato nell’inconscio da meritare molto più rispetto di quanto fino ad oggi non gliene sia stato dato. E’ di un riduttivismo negativamente esemplare pensare che la genitorialità sia soltanto rivendicabile sulla base dell’evidenza di un dato biologico, di un legame di sangue e che, quindi, a partire da questo si determini una predominanza dello ius sanguinis – ad esempio – sullo ius soli.
All’ematicità esclusiva delle relazioni interpersonali, per diretta discendenza di linea un po’ passatisticamente realeggiante e imperialeggiante, è preferibile il confronto con il territorio, con le comunità, con tutte quelle differenze che sono arricchimento individuale e sociale, perché sono stimolo alla conoscenza dell’altro da noi e non mera identificazione nella monotonia della similitudine e di una uguaglianza forzata ad essere sempre e soltanto eguale a sé stessa.
Tutto si intreccia in un vorticoso profluvio di espressioni dal sen fuggite: dalla sostituzione etnica al trattamento riservato ai migranti come se fossero “carichi residuali“; dalla repressione delle culture alternative alla derisione del pacifismo come arrendevolezza aprioristica, un po’ ebete e certamente molto vincolata alla stereotipizzazione da cui emerge l’Ingenuità come dea pagana degli sventolatori delle bandiere arcobaleno.
Nel mentre ci disponiamo alla critica e al contrasto di questo armamentario di regresso culturale, sociale, civile e morale, non dobbiamo dimenticare che sono sempre e soltanto i rapporti di forza economici ad eterodirigere il gioco: la crisi globale investe un’Europa priva di anima, devota alla sua moneta, alla NATO e all’imperialismo che le si confà.
E, di conseguenza, questa concomitanza di fattori rende fertile un terreno di allarme permanente, di guerra al tutto ciò che viene classificato come nemico numero uno, due o tre delle certezze che ci rimangano: l’appartenenza, l’identità, la nostra fisionomia e fisiognomica di italiani, bianchi, eterosessuali, improntanti ad essere la famiglia perfetta e felice delle pubblicità dentro la cornice dell’amore evangelico.
I cari, bei valori tradizionali. Tutto è sicuro e certo dentro il cerchio magico dell’esclusivismo di destra. Ciò che ne resta fuori è, a cominciare dalle opposizioni parlamentari, nemico del patriottismo e sospetto di antitalianismo, di antifascismo, di antirazzismo… e così via… Ecco cosa si rischia: una lettura a centottanta gradi capovolta della realtà in cui abbiamo vissuto, più o meno democraticamente, per oltre settanta anni.
Si rischia di essere altro da noi stessi per decreto di governo, per ricorso di una procura, per lo zelo di funzionari che, senza guardare in faccia l’estrema e fantastica complessità della realtà, osservano presbiti una vicinanza di simili e dissimili colpevolmente indistinguibili.
MARCO SFERINI
20 giugno 2023
Foto di Polina Tankilevitch