Un day after drammatico. Molto diverso dalla giornata che in tanti avevano pronosticato, troppo ottimisticamente, basandosi fondamentalmente su due punti che, entrambi, si sono rivelati fragili. Il primo: i sondaggi, per l’ennesima volta fuorvianti, ma questa volta (per essere indulgenti e autoindulgenti con chi analizza e racconta di mestiere la politica americana) continuativamente, da tempo, univoci a favore di Biden e con grande distacco rispetto al rivale.
Il secondo punto: Covid. L’idea secondo cui la gestione disastrosa da parte della Casa bianca della pandemia, con un picco molto alto proprio nei giorni del voto, sarebbe stata il colpo finale alle aspirazioni di rielezione di Trump, sembra prendere corpo nel suo contrario nel voto reale. Il negazionismo non è un movimento marginale. La narrazione di un paese che non deve fermarsi, con un’economia che deve avere la meglio su un virus sopravvalutato e «manovrato» da Cina e forze oscure ha avuto un successo che va contro il buon senso, il senso comune.
Lo scorcio finale della campagna elettorale, con un Trump che ha rovesciato il messaggio del senso comune, appunto, sintonizzandosi con l’America vasta della negazione, andrà lungamente, profondamente, studiato, per capire come gioca quella che si usa definire la «pancia» ma che è più appropriato definire interessi, forse malamente, assurdamente, investiti, ma che come tali vanno visti, se si vuole (anche fuori dell’America) cercare di intercettarli e condurli nell’alveo della razionalità e del progresso. Queste considerazioni tengono conto sia del peggiore scenario – la rielezione di Donald Trump – sia del migliore scenario, la sua sconfitta.
Un dilemma che richiede tempo, uno o due giorni, perché sia sciolto, perché l’esito reso ufficiale nei suoi risultati e sia condiviso dai due campi, tenendo conto anche della prospettiva di una coda lunga, velenosa di ricorsi. Fino alla Corte suprema, come ha detto lo stesso Trump in una conferenza stampa in cui ha rivendicato la vittoria, mentre era (ed è ancora in corso nella giornata di oggi) lo spoglio di schede arrivate via posta o via voto anticipato in contee decisive in stati in bilico dove ormai si gioca la partita elettorale in un epilogo della corsa in cui ogni scheda ha un peso decisivo.
Con 67,5 milioni di preferenze per Joe e 65,6 (ore 10.30) è probabile la vittoria di Joe Biden nel voto popolare, anche se non con il distacco considerevole – circa tre milioni di voti – che registrò Hillary Clinton su Trump nel 2016. Ma, come allora, la partita di gioca negli stati chiave in bilico, ormai su un pugno di stati, dopo la vittoria del presidente-candidato in Florida e in Ohio, due battleground states che Biden avrebbe dovuto conquistare.
L’America si risveglierà tra qualche ora con un quadro ancora indefinito. Era andata a letto con un vantaggio di Biden di 220/225 voti di collegio rispetto ai 213 del rivale. Per conquistare la presidenza occorrono 270 voti. Anche al senato – elezioni di enorme portata politica, come sempre e ora più che mai – la partita sembra aperta, con una prevalenza dei repubblicani che consentirebbe loro di conservare la maggioranza e, così, dare sostegno a una seconda amministrazione Trump o creare problemi notevoli a una presidenza Biden. Che comunque potrà contare su una camera dei rappresentanti di nuovo democratica (e con un orientamento a sinistra, con la rielezione di Alexandria Ocasio Cortez e di altre e altri esponenti dell’area socialista democratica).
Un’analisi più a freddo dei flussi elettorali definirà in modo più preciso i due blocchi elettorali – la loro composizione – che hanno pesato, quello che ha dato la spinta a Trump verso questo finale sul filo di lana,e il blocco che ha sostenuto la buona prestazione di Biden, anche se inferiore alle aspettative (questo risultato non all’altezza delle attese aprirà comunque una grande discussione nel mondo democratico, sulla qualità del candidato, specie se risulterà sconfitto, ma anche della stessa piattaforma politica che l’ha sostenuto).
Trump vince dunque in Florida, essenzialmente grazie al voto latino, uno stato che doveva vincere per restare in corsa. Joe Biden prevale in Minnesota, stato vinto anche da Clinton nel 2016 con un margine molto risicato in uno stato tendenzialmente democratico.
L’Arizona, che Fox News ha assegnato a Biden, mandando su tutte le furie lo staff del presidente, in realtà è ancora in gioco, secondo i democratici e i repubblicani dello stato. Qui Biden è in vantaggio e si tratta di uno stato fondamentale che il democratico strapperebbe ai repubblicani e che gli consentirebbe di diventare presidente anche con la perdita degli stati del sud. Purché vinca nella Rust Belt. E qui c’è molta incertezza.
Nella cintura degli stati deindustrializzati, della ruggine, la Rust Belt, dove Biden ha puntato molto (persi da Hillary Clinton nel 2016) la situazione vede in vantaggio Trump. Si tratta però di un vantaggio dei voti dati di presenza. In Pennsylvania il 45 per cento dei voti è early voting – voto anticipato – o voto postale; in Michigan il 55 per cento (ma mancano zone di Detroit e dei suoi dintorni). Va tenuto conto che i democratici hanno votato in numeri maggiori rispetto ai repubblicani via posta e anticipatamente. Occorrerà attendere lo spoglio di queste schede, e potrebbe richiedere tempo. Se fosse confermato il risultato di Biden in Arizona, il candidato democratico potrebbe anche perdere la Pennsylvania per vincere le presidenziali, purché vinca in Michigan e Wisconsin. Grazie anche a un grande elettore ottenuto nel secondo distretto congressuale in Nebraska.
Georgia e North Carolina sono in bilico e i voti saranno contati nelle prossime ore, forse nei prossimi giorni. In Georgia i democratici puntano sui voti non ancora contati delle contee intorno ad Atlanta e ad altre città (in questo stato, come dappertutto, il contrasto tra le contee in rosso – repubblicani – e in blu – democratici – colpisce molto: le prime sono prevalentemente rurali, le secondo urbane: forse la principale, la più vistosa faglia, tra le «due Americhe»).
A sorpresa Biden è intervenuto davanti ai suoi sostenitori radunati nelle loro auto in un drive in invitando alla calma e all’attesa, dichiarandosi fiducioso sui risultati della Rust Belt. Trump, che via tweet ha parlato di «tentativi di rubare le elezioni», ha dichiarato successivamente in un conferenza stampa di essere sicuro della vittoria, parlando dalla Casa Bianca. Un doppio errore istituzionale, molto rimarcato dai commentatori, che è la conferma, in caso di rielezione, della carica sovversiva ed eversiva del miliardario di Manhattan, che ha caratterizzato il primo mandato e che ne segnerà ancora più in profondità un suo secondo mandato. Ma anche la pervicacia con la quale cercherà in tutti i modi di non fare entrare nello studio ovale il suo avversario democratico, anche in caso di sua legittima elezione. E comunque del ruolo che continuerà ad avere, anche a oppositore esterno, come capo del movimento vasto che l’ha sostenuto e che continua a sostenerlo, milizie armate incluse, che non tarderanno a farsi vedere e sentire.
GUIDO MOLTEDO
foto: screenshot tv