Confesso, avevo sperato che Valeria Fedeli, una solida storia di sindacalismo alle spalle, mostrasse un po’ più di concretezza e di operatività nel governo di un dicastero, quello dell’istruzione, devastato dalle politiche di questi ultimi anni.
E invece siamo ancora una volta alla politica degli annunci, importanti certo e su temi assai significativi per il sistema scuola. Ma pur sempre annunci. In alcuni casi improvvisazioni.
Neanche un mese fa l’uscita sull’aumento degli stipendi degli insegnanti, per adeguarli agli stipendi europei. Certo, un tema caldo, e anche doloroso. Ma si può a pochi mesi dalla conclusione della legislatura agitare questa bandiera senza dire il come, il quando e il quanto di un aumento degli stipendi degli insegnanti, fermi da moltissimi anni? E senza dire se si prevede un investimento per questo tema nella prossima legge di bilancio? Tema che coinvolge anche stipendi e contratti dei docenti universitari, in lotta a partire dal prossimo settembre.
Poi ancora l’annuncio della sperimentazione della riduzione di un anno nel percorso di licei e istituti tecnici. Anche in questo caso una scelta, motivata dal così fa l’ Europa e dal fatto che questa misura favorirebbe l’ entrata nel mondo del lavoro. Imprecisa la prima affermazione , utopistica la seconda. Perché da una parte in Europa ci sono sistemi assai diversi e percorsi scolastici di diversa lunghezza e dall’altra, in Italia, il tasso di disoccupazione dei diplomati è sempre più alto.
E d’altra parte come si possono proporre meno anni di scuola, senza aver prima lavorato a rafforzare saperi e competenze di base, quelli necessari appunto per continuare ad imparare; senza aver garantito a tutte e tutti il diritto alla scuola dell’infanzia dove si possono davvero colmare le diseguaglianze di partenza; senza aver investito in un serio programma di lotta alla dispersione scolastica? E soprattutto senza aver ripensato il sapere della scuola? Perché non funziona, come si è fatto nella precedente sperimentazione, affastellare in quattro anni quello che prima si faceva in cinque.
Di ieri un nuovo annuncio, quello della necessità di portare l’obbligo scolastico ai 18 anni. Un ampliamento di un diritto costituzionale, peraltro sempre sostenuto dalla sinistra. E di ripensare l’intero percorso di studi. Certo, belle petizioni di principio.
Ma tutto questo quando si dovrebbe fare e chi lo dovrebbe fare? Siamo a un passo dalla fine della legislatura,
Per elevare l’obbligo occorrerebbe una legge da promulgare dopo l’approvazione della legge finanziaria, nella quale dovrebbe inoltre essere previsto un impegno finanziario su questo come sull’aumento degli stipendi dei docenti. E ci sarebbero la volontà dell’esecutivo e i tempi per la realizzazione di tutti questi bei propositi, prima della fine della legislatura?
Ecco, su temi importanti e decisivi, direi di civiltà, non solo per la scuola, ma per il Paese, come quelli degli stipendi dei docenti e dell’elevamento dell’obbligo scolastico, ci aspetteremmo da un Ministro della Repubblica non degli annunci ma piani operativi, leggi e individuazione di risorse. Subito.
Altrimenti non si tratta di buona politica, ma di cattiva demagogia e di demagoghi ne abbiamo già abbastanza
ALBA SASSO
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