Ancor prima del crollo del ponte Morandi di Genova, l’Istituto di tecnologia delle costruzioni del Cnr dava conto di una serie viadotti stradali e autostradali che preoccupavano per le loro condizioni generali, segnalando non soltanto quello, poi collassato, sul Polcevera. Ma è soprattutto dopo il disastro dell’agosto 2018 che è stata fatta una mappatura delle opere a rischio. E un dossier dell’Unione delle province italiane, che pur tecnicamente de-finanziate dovrebbero in teoria gestire oltre 100mila chilometri di strade della penisola, compresi 30mila tra ponti, viadotti e gallerie, ha registrato la necessità di intervenire su quasi 6mila (5.931) strutture, di cui 1.918 avrebbero bisogno di interventi urgenti.
Ne emerge un quadro drammatico da un capo all’altro della penisola, visto che il rapporto dell’Upi segnala 328 criticità in Piemonte, 334 in Lombardia, 171 in Campania, 174 in Calabria e 153 in Puglia, indicando poi ben 14mila opere da sottoporre a indagini tecnico diagnostiche.
Dal canto suo Spea Engineering, la società che nel Gruppo Autostrade ha compiti di controllo e monitoraggio delle infrastrutture, poche settimane fa ha reso noto che nelle rete autostradale controllata dal Gruppo ci sono alcune opere “a basso tasso di conservazione”, e quindi a rischio. Fra queste il viadotto Coppetta sulla A7, pochi chilometri fuori da Genova, considerato in particolare stato di degrado, e a seguire il Bormida e il Gargassa sulla A26, il Busalla sulla A7, il Ponte ad Archi sulla A10, il Velino e il Bisagno sulla A12. Ancora, il viadotto Moro sulla A14 all’altezza di Pescara, e il Paolillo sulla A16 Napoli-Canosa, a pochi chilometri dalla cittadina pugliese.
A ben guardare, la radiografia fatta da Spea Engineering ricalca sul fronte autostradale quella fatta dall’Istituto di tecnologia delle costruzioni del Cnr, che occupandosi anche delle strade statali e provinciali ha segnalato poi anche altri viadotti in stato di degrado più o meno accentuato, e che necessitano interventi. Fra questi il Manna (SS90) in Campania, l’Akragas (SS115) in Sicilia, il Cannavino (SS107) in Calabria, e quelli sulla Milano-Meda (SP35) in Lombardia.
Un ulteriore problema emerso dopo la tragedia di Genova è che alla necessità di interventi infrastrutturali di messa in sicurezza e recupero dei viadotti più a rischio, si accompagnano problemi e disagi alla mobilità nei territori interessati dai lavori, con polemiche che spesso e volentieri finiscono con l’oscurare la priorità della sicurezza dei trasporti delle cose e soprattutto delle persone.
Un caso da scuola è quello del completo stop alla circolazione nel gennaio scorso al viadotto Puleto della E45, la superstrada che è l’unica trasversale est -ovest, da Orte a Ravenna, che faccia da alternativa all’Autostrada del Sole nel tratto appenninico. I lavori più urgenti al viadotto, lungo 200 metri e realizzato tra il 1994 e il 1995, situato al confine fra la Toscana (provincia di Arezzo) e la Romagna, sono durati sei mesi, e a tutt’oggi permane il restringimento nelle due più solide corsie centrali, una per senso di marcia, con conseguenti, generalizzati, rallentamenti della circolazione.
Dopo il disastro di Genova, anche le Regioni si sono messe in azione per esaminare ponti e viadotti, e ad esempio in Toscana sono stati individuati 164 ponti che, in base a criteri oggettivi come l’anno e il tipo di tecnologia di costruzione usata, le dimensioni, e l’usura a cui sono quotidianamente sottoposti, saranno controllati da una task force di ingegneri appositamente formati.
RICCARDO CHIARI
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