La “prima volta” arriva per tutti e così, senza neppur pensare per un attimo a esercitare un minimo senso del pudore, Movimento 5 Stelle e PD si sono trovati, in Parlamento, a ruoli rovesciati: i parlamentari del M5S a votare la fiducia al governo su di un classico decreto “mille proroghe” (un momento topico sul quale, indipendentemente dalla denominazione del provvedimento, tutti i governi da Cavour in avanti hanno posto la questione di fiducia) e quelli del PD a occupare l’aula gridando alla “morte della democrazia”.
Insomma, davvero l’assunzione di un modello insuperabile nella vita parlamentare.
Tutto questo in attesa dell’avvento di un despota illuminato cui consegnare attraverso il web i nostri “like” evitando la fatica delle lunghe e noiose sedute nelle aule sorde e grigie di Montecitorio e Palazzo Madama.
Dedico a quest’avvenimento, vera e propria pietra miliare nella storia del Parlamento Italiano, una rielaborazione tratta da un testo che mi era capitato di compilare nel lontano 2007, scusandomi per l’autocitazione (sia pure parziale) al riguardo della quale convengo circa l’assoluta ineleganza. Tant’è, con buona pace del governo del cambiamento e ricordando anche il Marx del “governo qualunque esso sia è sempre il comitato d’affari della borghesia”.
Ecco di seguito:
“In questi giorni (2007 n.d.r) si discute molto di politica e antipolitica, si definisce il mondo politico come “casta”, emergono orientamenti dell’opinione pubblica di pressoché totale sfiducia nelle istituzioni, nel Parlamento e nel governo: l’andamento del dibattito è quello tipico dei cicli della moda.
Probabilmente se ne parlerà ancora per qualche giorno, poi il tutto sarà gettato alle spalle e si affronterà, con lo stesso tono e lo stesso piglio, qualche altro argomento.
Vale la pena, però, di aggiungere a tutto questo tramestio (oppure di cercare di mettere da un lato, quasi come promemoria) alcuni spunti di riflessione.
La politica e l’antipolitica: due termini quasi complementari, di cui è difficile fornire definizione. Nella vulgata corrente, come ha già fatto notare qualcuno, paiono appoggiarsi entrambe l’una all’altra per sopravvivere nel gran circo mediatico: perché questo appare essere il punto, quello delle visibilità nel gran calderone dell’immagine.
All’altare dell’immagine sono stati sacrificati i principi di fondo sui quali si basava la politica, come concezione del governo della “res publica” nelle sue diverse forme.
Forme diverse per diverse ideologie e per differenti schieramenti: questo è lo schema definitivamente saltato, almeno all’interno del sistema politico italiano, per far posto a una intercambiabilità che appare evidente.
Sono scomparsi gli “ismi” classici, sostituiti da altri più pericolosi: oggi ci accorgiamo di aver forse sbagliato a formulare giudizi fondati sull’assunzione piena del concetto di “governabilità” (ricordate? In molte nostre critiche aleggiava l’idea di un esaurimento della politica all’interno del concetto di governabilità.). Ebbene non si tratta neppure di questo: il dibattito di questi giorni (sempre quello del 2007 n.d.r.) mostra come, per l’appunto in forma trasversale, politica e antipolitica si muovano in sintonia realizzando il ritorno dell’antico “sovversivismo delle classi dirigenti”: classi dirigenti che stanno in tutti i luoghi, dalla politica, all’economia, all’informazione.
Non sono, dunque, i privilegi di una casta l’obiettivo cui riferirci, ma – davvero – l’idea (forte) di governare la società imponendo, nella logica del post- moderna del dialogo diretto tra il capo e la folla (un capo plurale, ovviamente, che agisce attraverso l’uso dei media), una chiusura drastica di qualsiasi possibilità di trasformazione sociale, o soltanto, d’intervento della collettività nelle scelte politiche.
Insomma: forse Orwell si impone ancora come il profeta più lucido che il ‘900 abbia espresso.
Siamo a una crisi più profonda di quanto anche i politologi più accorti stiano avvertendo: una crisi di prospettiva, di valori, di concezione del futuro.
Se si pensa a una sinistra, coerente e determinata, sarà necessario, usando il massimo possibile di pessimismo dell’intelligenza, cercare di muoverci su questo terreno senza farci ingannare da scadenze apparentemente più vicine e invitanti, ma in realtà illusorie.”
FRANCO ASTENGO
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