Un altro spot elettorale per le Europee dell’8 e 9 giugno è stato servito. Ieri, a 44 giorni dalle elezioni, il governo e la maggioranza hanno giocato la carta dell’aumento dell’occupazione attestato dall’Istat nell’ultimo anno. Nella più classica delle speculazioni sui dati dell’occupazione, già vista con i governi di tutti i colori, le destre hanno voluto così mostrare quanto la ditta Meloni & Co. sta facendo bene.

Se a marzo 2023 la crescita dell’occupazione dei lavoratori dipendenti e di quelli autonomi ha segnato il record di 425mila unità in più in un anno, mentre i precari sono diminuiti di 180mila, allora questo dimostra che «il governo Meloni funziona», «ha raggiunto un traguardo» e ha sconfessato «la propaganda della sinistra». Stanno parlando di una «sinistra» che compulsa con acrimonia le tabelline dell’Istat in attesa che spunti qui o lì qualche segno «meno».

Un’attività straziante, in effetti. Ieri le opposizioni, solitamente ciarliere, sono rimaste in silenzio. Avranno incassato l’attacco ai «gufi». Da Renzi in poi, è una caricatura sempre verde. Figuriamoci in periodo elettorale.

La commedia è sempre la stessa: si prende la quantità e la si spaccia per qualità. Si guarda il segno «più» vicino al numero e non al contenuto, e tanto meno al contesto. Storicamente questa attitudine è tipica della cultura capitalista abituata a pensare al lavoro come una quantità astratta e mercificata, un mero dato statistico al quale è attribuito un significato universale.

Se i posti di lavoro aumentano questo significa che i lavoratori staranno meglio. È una fandonia creata dal feticismo che confonde il lavoro con la forza lavoro, la merce con la persona. Di «robinsonate» come queste, così le chiamava Marx, è piena l’economia.

I dati che hanno allietato il fine settimana delle destre ieri non spiegano il problema più evidente: perché l’occupazione aumenta dal Covid e i salari non tengono il passo? Per rispondere a questa domanda si dovrebbero compulsare i numeretti contenuti nell’indice delle retribuzioni contrattuali orarie del primo trimestre 2024.

Si scoprirà che l’indice complessivo è cresciuto del 3% nell’ultimo anno, solo poco più dell’aumento dell’inflazione. Questo significa che si lavora collettivamente di più, ma si guadagna sempre di meno.

L’andamento è indirettamente proporzionale. Un’idea sconosciuta per la politica in Italia. Dov’è Valditara quando serve per «istruire» i suoi colleghi? Tutto questo implica che la produttività del lavoro cala. E il rifiuto del governo Meloni di discutere seriamente del salario minimo orario non aiuta i lavoratori sempre più impoveriti.

Ma aiuta moltissimo una parte influente del suo bacino elettorale: quelle imprese che hanno tutto l’interesse a conservare per l’eternità quella straordinaria «moderazione salariale» che è il marchio di fabbrica del capitalismo straccione italiano. Non tutto, ovviamente, è farina del sacco dell’esecutivo.

Quello Meloni, come gli altri dal 1991, sono l’espressione organica di una politica di classe che ha imposto la più violenta repressione salariale nei paesi Ocse. Negli ultimi trent’anni i salari reali in Italia sono rimasti fermi con una crescita simbolica dell’1% a fronte del 32,5% registrato in media nell’area Ocse.

La costosissima pioggia di bonus e incentivialle imprese – e servono altri 10 miliardi nella legge di bilancio di quest’anno per dare 100 euro ai dipendenti poveri – serve a nascondere che i contratti nazionali in attesa di rinnovo a marzo 2024 erano 36. Circa 4,6 milioni di dipendenti, il 34,9% del totale, lavorano con salari inadeguati, devastati dall’inflazione.

E dovrebbero avere il «posto» di cui ieri le destre gorgeggiavano. Nemmeno questo dato è possibile «vedere» se si legge solo il «commento» nel riquadro grigio del report sull’occupazione pubblicato ieri dall’Istituto di statistica.

Non vanno trascurate le analisi che, negli ultimi mesi, hanno cercato di capire le origini dell’aumento del lavoro povero in Italia, frutto di un’economia che cresce sempre di meno e destinata a restare così molto a lungo. Dall’analisi settoriale emerge il fatto che l’aumento occupazionale è dovuto in parte al recupero delle attività dei servizi, in particolare del turismo. Com’è noto, il turismo è un settore con basso valore aggiunto e alta precarietà e stagionalità.

Proprio il settore che, tra Expo Giubilei Saloni, Airbnb dappertutto e altri intrattenimenti, riceve le attenzioni della politica, di destra e di sinistra. Questo è il simbolo di un’economia predatoria «made in Italy». I dati sull’occupazione sono uno dei suoi effetti.

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto.it

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