In Australia ci sono circa duecento persone accusate dalla polizia di aver appiccato gran parte di quegli incendi che hanno devasto il Nuovo Galles del Sud, contribuito alla morte di centinaia di milioni di animali, costretto allo sfollamento di decine di migliaia di persone, devastato quasi un intero continente, sconvolto l’ambiente, la vita, l’intero ecosistema di una parte importante del pianeta.
E’ un vero e proprio olocausto ambientale, animale, per fortuna non “umano“, almeno non nelle enormi proporzioni in cui si presenta sugli altri versanti.
I venti, il caldo, la pioggia. I vigili del fuoco che danzano sotto l’acqua che scende dal cielo, davvero come la manna, mentre si scopre che gli incendi non sono accidentali, che gli inneschi sono mano dell’uomo, che le mani sono tante e che sono, questo è l’elemento chiave e centrale di questa riflessione, in gran parte mani di giovanissimi.
Quaranta ragazzi minorenni. Un quinto delle persone fermate ha meno di vent’anni. Perché questi giovani sono sfuggiti all’onda verde di Greta, al fluire delle maree umane che prendono un po’ di consapevolezza sull’autolesionismo che infliggiamo a noi stessi e alla casa in cui sopravviviamo?
La domanda è verticale, diretta, priva di alcun pretesto. E per questo rimane senza risposta. Almeno per quanto mi riguarda. Forse bisognerebbe indagare nelle vite di questi ragazzi, conoscerne nel particolare le singole storie. Forse. O forse esiste un collegamento che ci sfugge, un elemento di unione così evidente da essere invisibile agli occhi di chi assiste da migliaia di chilometri di distanza alla tragedia australiana?
Domandiamocelo…
(m.s.)
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