Piero Gobetti e quell’elogio «storico» di un sistema elettorale

«Difesa della proporzionale», a cura di Francesco Pallante, edito da Aras. Il volume comprende ventisei articoli sul tema pubblicati sulla rivista «La Rivoluzione Liberale», ricostruendo il dibattito che si svolse tra il 1922 e il 1925

«Il mussolinismo è più violento del fascismo, è più illegale perché si nasconde dietro la legalità delle forme. Se il fascismo fosse soltanto dittatura si farebbe presto a liquidarlo con le barricate: ma la sua forza è specialmente presidiata dall’esistenza di un consenso. Ora Mussolini deve la sua forza a Farinacci ma il consenso alla propria ambiguità».

Con queste parole, scritte all’indomani delle elezioni del 6 aprile 1924, le prime – e le ultime – svolte con la famigerata legge Acerbo, Piero Gobetti mostrava di aver colto molto bene la peculiarità della (resistibile) ascesa di Mussolini, sostenuta da una vasta rete di complicità. La marcia su Roma è alle spalle, il manganello e l’olio di ricino hanno, apparentemente, lasciato il posto alla scheda elettorale e a operazioni trasformistiche di cooptazione del ceto politico liberale (nel «listone» fascista – ricordiamolo – trovano posto personaggi come Orlando e Salandra). Eppure il regime che si sta edificando non è meno «violento» e «illegale» del movimento che lo ha generato.

Come ben documenta il volume curato da Francesco Pallante (Piero Gobetti e i suoi collaboratori, Difesa della proporzionale. Il dibattito ne ‘La Rivoluzione Liberale’ 1922-1925, Aras. pp. 316, euro 16), sulla stessa rivista gobettiana compaiono analisi discordanti. Il 6 giugno 1923 Armando Cavalli può ancora parlare di «pseudo-dittatura fascista che con più volgarità perpetua la dittatura vera», quella di Giolitti.

Il 26 febbraio 1924 Novello Papafava azzarda che «rassegnandosi alle elezioni, l’‘élite’ fascista ha rinunziato per tre quarti alle sue velleità dittatoriali», salvo il rischio di qualche «mattana», che va scongiurato difendendo lo Statuto e la monarchia. Ben più radicale la posizione di Gobetti e della maggior parte dei suoi collaboratori che, prima e dopo l’approvazione della legge Acerbo, riflettono sul significato, e sugli effetti, dell’abbandono della legge proporzionale adottata nel 1919.

Tra i più lucidi c’è Luigi Sturzo, per il quale l’attacco alla proporzionale è, puramente e semplicemente, un attacco alla democrazia: «Veramente, in fondo in fondo, l’elemento reazionario nostrano avrebbe voluto colpire il suffragio universale: ma purtroppo si trovava di fonte a un pericolo: – la sensibilità delle masse, che ormai hanno acquisito questo loro diritto; – e allora la proporzionale, – la quale incanala le forze democratiche e valorizza il suffragio universale – ne ha subito tutte le conseguenze».

Quali le ragioni a sostegno di un simile giudizio? Ragioni di «giustizia» per Francesco Ruffini, che riprende gli argomenti di John Stuart Mill contro la dittatura della maggioranza. Ragioni di opportunità per Salvemini, che enfatizza come «la proporzionale» abbia offerto al malcontento del dopoguerra uno sbocco non rivoluzionario. Di diverso avviso Gobetti, per il quale «Non si deve dire che la rappresentanza proporzionale abbia avuto il merito di funzionare come strumento di conservazione per evitare la rivoluzione comunista. L’utilità della proporzionale consistette invece nel creare le condizioni della lotta politica e del normale svolgimento dell’opera dei partiti», superando il modello feudale di rappresentanza proprio del sistema inglese.

È, alla fin fine, il pluralismo di idee e di interessi connaturato alle società di massa a rendere necessario il sistema proporzionale. «Quando un paese è diviso in molte opinioni – scrive Guglielmo Ferrero, nel criticare il ritorno al collegio uninominale ventilato dopo le elezioni del 1924 – ogni tentativo di costringerlo con mezzi artificiali a governarsi come se ne avesse soltanto due è funesto».

La proporzionale spinge i cittadini a «sostituire i partiti alle persone» (Monti), li obbliga a «battersi per un’idea» (Gobetti), a non consegnarsi a improbabili «unti del signore» (Cavalli). Ancora Gobetti: «L’importanza dell’opera moralizzatrice della proporzionale si riconobbe appunto, negli esperimenti italiani, nella sua attitudine a liquidare i governi di maggioranza», comodo paravento di «un’oligarchia larvata», frutto di «transazioni e di equivoci» tra forze politiche interessate a spartirsi i seggi prima del voto.

«La vita moderna si nutre – invece – di antitesi e contrasti non riducibili a schemi», che creano le condizioni per «un governo di coalizione (valorizzato dall’influenza dei partiti che vi collaborano anche quando si contrastano), eliminando ogni possibilità di patti Gentiloni». Una visione che apprezza il conflitto, ma anche la capacità delle forze politiche di stringere accordi, in un Parlamento non ridotto a camera di registrazione della volontà del governo.

Difficile, nello scorrere queste pagine, non sentirsi interpellati. Se, a cent’anni esatti dalla marcia su Roma, «gli eredi degli eredi di Mussolini» sono tornati al governo, è anche perché chi avrebbe dovuto presidiare il campo democratico a un certo punto ha perso la bussola, lasciandosi sedurre dal miraggio della governabilità. Lo ricorda Francesco Pallante nell’Introduzione, ripercorrendo le tappe che hanno condotto, a partire dal 1993, all’adozione di leggi elettorali sempre più distorsive della volontà popolare, culminate nell’attuale progetto di premierato, «il cui fulcro è la certezza che a una delle forze politiche in competizione (ma meglio sarebbe dire: in guerra) sia assegnata la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari».

Vale la pena, allora, tornare a Gobetti che, nel porre come pregiudiziale di «qualsiasi opposizione seria» la richiesta della proporzionale, mette in guardia dal volto «paterno» e «bonario» del fascismo, affermando (è la vigilia dell’assassinio Matteotti): «non crediamo a questa pace, che ci viene come soppressione della lotta politica. Il compito delle opposizioni nel prossimo decennio – mentre il movimento operaio si verrà maturando – deve essere quello di esasperare la lotta, di non venir meno all’intransigenza, di provocare il regime senza concedergli tregua».

VALENTINA PAZÈ

da il manifesto.it

foto: screenshot Wikipedia

categorie
Analisi e tesi

altri articoli