Sarà forse per festeggiare i suoi primi dieci anni. Sarà forse per riaffermare che poi, tutto sommato, ambientalismo dal lato progressista, democrazia dell'”uno vale uno“, parte meno intransigente del precedente governo Conte, i pentastellati hanno pubblicato in questi giorni una immagine tronfia e trionfante: quella di un migrante che viene rimpatriato e accompagnato all’aereo – rigorosamente Alitalia – da due poliziotti.
Si parla di rimpatri esclusivamente riferibili ai delinquenti, a coloro che un po’ genericamente vengono definiti “irregolari“, come se un essere umano potesse essere “regolare” in alcune parti del mondo e “irregolare” in altri: similmente, dunque, alle merci che patiscono i prezzi dei dazi doganali, le vendette da un continente all’altro sulla base di guerre commerciali che dimostrano tutta la disperazione di un capitalismo che, come diviso in grandi zolle tettoniche, si incontra e si scontra nelle diverse polarizzazioni che ha assunto in questi ultimi decenni di ristrutturazione globale dell’economia.
I migranti, le merci, il profitto: in fondo tutto si lega: un governo liberista e con una smaccata tendenza autoritaria durato un anno ha lasciato il passo ad un suo simile, sempre accondiscendente verso l’impostazione economica di protezione degli assi portanti del mercato privato, provando a ricostruirsi una verginità nell’ambito dei diritti civili legandoli ad un pallido tentativo di riconduzione di larghe masse di probabili elettori ad una timida speranza di vedere un poco di diritti sociali essere messi al primo posto dell’agenda dell’esecutivo.
O Speranza, ultima dea! L’esclamazione viene spontanea perché, davvero fino ad ora, dopo un mesetto di calibratura delle dinamiche del governo tanto interne quanto esterne, non si vede traccia di niente altro se non di una stabilizzazione dei rapporti commerciali con l’Europa e grandi strette di mano con i più ingombranti (anche fisicamente) esponenti del governo americano che, “That’s amore!“, mangiano in ristoranti della nostra bella Italia, la magnificano e poi esprimono giudizi e danno consigli che, come al solito, sono ordini: non entrare nell’orbita gravitazionale cinese, rimanere fedeli alleati di Washington e, per quanto riguarda tutto il resto, migranti compresi, l’ammonimento è: “Cavatevela da soli“.
Vi si potrebbe aggiungere: “Voi e l’Unione Europea” che ha tentato mosse azzardate nei confronti di grandi aziende di trasporti yankee.
Ma il governo rassicura la popolazione: ai lavoratori vengono promessi non soltanto la diminuzione dell’IVA (ci vorrà un mago per riuscire a realizzare un simile proposito) e 40/50 euro in più in busta paga (con un rimbrotto di Conte a Renzi, secondo cui quest’ultimo irriderebbe a ciò visto il suo tenore di vita), ma pure i “rimpatri sicuri”, ossia – al di là delle tanto odiate e odiose “ideologie“, disprezzate da Di Maio e da molta parte dei Cinquestelle – di tutti coloro che minano la sicurezza delle persone e, giura il ministro degli esteri, senza mettere in scena quei palcoscenici cui si era ormai tristemente abituati col governo precedente.
La foto, però, colpisce più del testo: qualunque cosa abbia fatto quel migrante. Colpisce perché, nel voler per l’appunto comunicare fortemente l’azione dello Stato, somiglia tanto ad una deportazione, con un uomo dal capo abbassato e due rappresentanti delle forze dell’ordine che lo introducono alla salita della scaletta dell’aereo che lo ricondurrà là da dove era partito.
Siccome l’Italia ha accordi bilaterali sui rimpatri solo con pochi Stati come Egitto, Marocco, Tunisia e Nigeria, è del tutto evidente che la destinazione sarà uno di questi paesi africani. Si ritorna sempre nel solito giro: molti degli espulsi sono i “migranti economici“, quelli che avrebbero l’ardire di pretendere di trovare un po’ di inquieta sopravvivenza nel presunto opulento occidente europeo.
Indubbiamente i toni sono molto più bassi di prima e le piazzate leghiste piene di odio, rancore e rabbia nei confronti delle “diversità” sembrano lontane rispetto all’estate appena trascorsa. Eppure non c’è molto da rallegrarsi perché la linea del governo tanto sul piano economico quanto su quello sociale non sembra evolvere su un terreno di giustizia sociale che garantisca anche i diritti civili.
Dalle dichiarazioni sul mantenimento della linea generale dei decreti-sicurezza fino all’affermazione dello stop ad una misura parzialmente sociale (nel suo volerlo almeno essere) come la progressività dei tickets sanitari (che una vera sinistra, anche di governo, dovrebbe chiedere venissero definitivamente aboliti in virtù del principio costituzionale per cui la Repubblica si prende carico della tutela della salute di tutti i cittadini, comprendendo questa tutela nelle tassazioni già previste sul complesso del reddito), ormai si può affermare che risulta abbastanza evidente la condotta antisociale di questo governo.
Un governo indubbiamente rispettoso delle formalità istituzionali, meno sregolato del precedente dove erano evidenti le tracotanze di una parte e le sottomissioni dell’altra a comportamenti che oltrepassavano la costituzionalità nei suoi più elementari, e per questo importanti, fondamenti di vita della Repubblica.
Ma sempre davanti ad un esecutivo antisociale ci troviamo: a parole vuole garantire i diritti dei più deboli e ha, anche qui indubbiamente, un maggiore rispetto delle forme assicurandosi ciascun ministro di non eccedere in atteggiamenti tanto unilaterali quanto oltranzisti che screditino la buona fama che vuole farsi il “Conte 2” a Bruxelles ed a Washington.
Per la Cina ci sarà tempo. L’Africa non fa testo: lì la parola d’ordine è una sola, anzi tre: “Piano rimpatri sicuri” con tanto di striscetta tricolore a sottolineare il concetto e la foto che, se ancora non lo si fosse capito, ripete il mantra dell’applicazione dei decreti salviniani tutt’ora in vigore.
MARCO SFERINI
5 ottobre 2019