Dal tempo del Protocollo di Kyoto (1997), il mondo antimilitarista non ha smesso di chiedere che il settore militare e le sue operazioni vengano inclusi negli impegni sul clima, anziché rimanere in un limbo di privilegio e opacità. Al tempo, gli Stati uniti imposero l’esclusione come conditio sine qua non per la firma – senza poi concederla.
Parallelamente allo spreco mondiale di denaro pubblico (arrivato a due milioni di miliardi di dollari nel 2020), grava sul pianeta una elevatissima una «carbon bootprint», letteralmente «impronta climatica degli scarponi» – hanno tentato di calcolarla il progetto Cost of War e l’International Peace Bureau, soprattutto in riferimento al bellicoso e tentacolare Pentagono.
Malgrado ciò, anche l’accordo di Parigi del 2015 lasciò alla discrezione dei vari paesi i tagli alle emissioni di gas climalteranti relative al militare e perfino il suo inserimento nell’inventario nazionale che gli Stati sono obbligati a redigere.
E poi, precisa il centro di ricerche Conflict and environmental Observatory, «anche quando le emissioni vengono riportate, in genere non comprendono la parte relativa alle forniture e alla catena di approvvigionamento, né quella relativa alle operazioni di guerra e alla distruzione che provocano».
Alla vigilia della Cop26 e su impulso della rete World Beyond War, una miriade di gruppi e istituti (dal Canada alla Micronesia) ci riprova con una petizione rivolta alla Conferenza delle parti (per trovarla e aderire online qui), basta digitare su un motore di ricerca «Stop Excluding Military Pollution from Climate Agreements»).
Nel testo si legge: «Chiediamo alla Cop26 di stabilire rigidi limiti alle emissioni di gas serra senza eccezioni per il complesso militare, e un sistema di reporting trasparente e verificabile. Le emissioni delle attività militari di un paese fuori dai suoi confini devono essere riportate per intero e messe a carico del paese stesso». E «senza ricorrere a meccanismi di offsets» (compensazione).
Greenwashing in vista. Lo scorso giugno, la Nato – annusando i nuovi tempi – ha accettato di «verificare la fattibilità delle emissioni nette pari a zero nel 2050» per le proprie attività: ricorrendo a quali offsets? I suoi membri, poi, parlano di «ridurre le emissioni delle attività e installazioni militari senza nuocere all’efficacia e alla deterrenza»: supersonici bombardieri fotovoltaici crescono? Forse solo la pace e il disarmo possono essere amici anche del clima.
MARINELLA CORREGGIA
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