La Costituzione è stata riposta nel cassetto. Non violata, semplicemente ignorata. L’esultanza di oggi si trasformerà in una condanna domani. La sordità al messaggio chiaramente rivolto alla nazione dal Capo dello Stato ha prodotto un esito paradossale, costringendo Mattarella a smentire se stesso per poter salvare la Repubblica.
È evidente che guardando verso il basso, la rielezione dell’attuale inquilino del Quirinale evita il peggio, infatti tutti esultano. Ma se si alza appena un po’ lo sguardo ci si avvede che essa è il frutto del fallimento.
La prima vittima – come al solito – è il Parlamento balcanizzato, non in grado di svolgere più nessuna delle sue funzioni costituzionali: non legifera, non controlla, non indirizza. Ora dimostra di non riuscire neppure ad eleggere un nuovo Presidente. Ci si appella al precedente di Napolitano, senza rendersi conto che è un antecedente che conferma la débâcle.
Fu, anche in quel caso, a seguito di una gravissima crisi. Fu lo stesso Napolitano a denunciarla senza mezzi termini nel discorso di giuramento seguito alla rielezione. Probabilmente il più sferzante j’accuse pronunciato da un rappresentante dell’unità nazionale nella storia repubblicana.
Dopo aver ribadito che la non rielezione doveva ritenersi la più conforme al nostro modello costituzionale, egli descriveva senza mezzi termini la grave situazione: «Un avvitarsi del Parlamento in seduta comune nell’inconcludenza, nell’impotenza ad adempiere al supremo compito costituzionale dell’elezione del Capo dello Stato», un rischio «senza precedenti». Poi – tra gli applausi degli stessi parlamentari colpevoli del misfatto – venne severamente ricordato l’elenco della «lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità» che stavano mettendo a repentaglio la stabilità del sistema costituzionale.
L’unico che, in questi giorni, è parso ricordare quell’avvilente passaggio e quelle forti parole è stato Mattarella, il quale ha fatto di tutto per evitare il ripetersi di un’analoga situazione. Senza successo.
Non si tratta neppure di un problema di forma costituzionale, bensì di democrazia sostanziale. Infatti, in assenza di un esplicito divieto, la rielezione non può essere esclusa per via interpretativa, e i lavori in Assemblea costituente dimostrano che non fu casuale l’omissione della clausola della non rieleggibilità. Nel silenzio del testo, pertanto, l’opzione della conferma rimane tra quelle possibili.
È un altro allora il rischio: coinvolge il piano inclinato della democrazia sostanziale. È il principio della temporaneità delle cariche politiche di vertice, tanto più se – com’è nel caso del Presidente della Repubblica – queste sono monocratiche e non collegiali. Questo è il tratto che vale a distinguere le democrazie dalle monarchie, i poteri democratici da quelli assoluti. Ciò non vuol dire – ovviamente – che si è andato a mutare d’improvviso la forma del nostro Stato, poiché rimane al Parlamento il potere di (ri)elezione.
Quel che preoccupa è l’affermarsi della “regola” della conferma del mandato settennale dei presidenti. La prossima volta, dopo Mattarella, con un altro Presidente della Repubblica, magari meno sensibile alla Costituzione e alla necessità di esercitare i propri poteri in base ad un rigoroso self-restraint, la pretesa di essere rieletto rientrerà tra le sue legittime aspettative, incrinando fortemente il ruolo, nonché i presupposti di autonomia del Capo dello Stato.
Aspirare alla rielezione non si accorda con i compiti di garanzia che la Costituzione assegna al rappresentante dell’unità nazionale, che rimane imparziale fin tanto che risulta estraneo alla ordinaria dinamica politica dei partiti.
Ormai il dado è stato tratto e non sono immaginabili condizionamenti ulteriori (chi parla di mandato limitato oltraggia la Costituzione, che fissa la durata settennale e rende pienamente legittimato il rinnovo per intero del mandato).
C’è solo un modo per evitare che in futuro ci si debba pentire di quel che oggi appare la soluzione migliore: introdurre il divieto espresso di rielezione in costituzione, magari eliminando anche il semestre bianco. A questo punto è questa una riforma costituzionale che si rende necessaria per salvaguardare i suoi assetti.
Sarebbe buona cosa se Mattarella, nel discorso di insediamento e giuramento di fedeltà alla Costituzione sollecitasse un tale impegno al Parlamento in seduta comune, sarebbe anche un segnale di vitalità residua se le Camere approvassero rapidamente una legge costituzionale in tal senso. Almeno una misura compensatoria che rassicurerebbe per il futuro.
GAETANO AZZARITI
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