Per una sinistra di opposizione, senza se e senza ma

Risoluzione politica del Comitato politico nazionale di Sinistra Anticapitalista, Roma, 21/22 settembre 2019 Approvata a larghissima maggioranza con un astenuto 1. La formazione del secondo governo Conte sostenuto dal PD,...

Risoluzione politica del Comitato politico nazionale di Sinistra Anticapitalista, Roma, 21/22 settembre 2019

Approvata a larghissima maggioranza con un astenuto

1. La formazione del secondo governo Conte sostenuto dal PD, M5S e Leu, apre nel nostro paese un incerto periodo di transizione, le cui dinamiche e possibili sbocchi saranno ben presto caratterizzati dall’evoluzione della situazione economica, dalle politiche europee, dai contenuti della legge finanziaria, dalla forza sociale dell’opposizione delle destre reazionarie e dalle capacità o meno del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori e dei movimenti sociali di giocare un proprio ruolo autonomo e indipendente.

Se il sospiro di sollievo che settori importanti della società hanno espresso di fronte alla caduta di Salvini e della Lega e del venir meno nell’immediato dei loro progetti antidemocratici è comprensibile, tuttavia sarebbe un grave errore pensare che l’attuale governo possa dare risposte positive alle classi lavoratrici e subalterne in discontinuità e rottura con le politiche dell’austerità e anche solo operare per una reale e piena riattivazione del quadro democratico e sociale.

Come sarebbe un grave errore vedere solo la sconfitta tattica della Lega e non il peso politico e ideologico che le destre hanno nella società e le loro potenzialità elettorali e quindi la loro possibilità di una pericolosissima rivincita se venisse lasciata ed esse l’opposizione politica e sociale al governo PD/M5S.

2. La crisi italiana è parte di una crisi più complessiva che attraversa tutti i paesi dell’Europa e la stessa Unione Europea e che si manifesta sia sul piano politico che su quello istituzionale, di cui le vicende inglesi costituiscono un elemento centrale, caratterizzata dalle difficoltà della borghesia di darsi governi “coerenti” con i loro disegni e capaci di esercitare una reale ed ampia egemonia nella società. Il violento attacco economico e sociale che le classi dominanti hanno portato alla classi lavoratrici in tutti i paesi con l’aperto intento di modificare storicamente i rapporti di forza maturati dopo la seconda guerra mondiale, sono andati di pari passo con i progetti di controriforma istituzionali, con la sempre più accentuata prevalenza dell’esecutivo sul legislativo, con misure repressive sempre più ampie e fortemente antidemocratiche volte a limitare l’attività della classe lavoratrice e a contenere le lotte sociali.

È in questo contesto che le forze della destra e dell’estrema destra hanno potuto avere spazi politici ed ideologici sempre più ampi e svilupparsi con estrema virulenza e pericolosità.

3. Le crisi politiche in atto avvengono in un quadro economico che appare di giorno in giorno sempre più deteriorato. Nessuna delle contraddizioni di fondo che hanno caratterizzato la grande crisi del 2008 è state superata e oggi all’orizzonte si manifesta la possibilità di una nuova forte recessione economica, ben segnalata da quanto avviene in paesi trainanti, come la Germania, gli Stati Uniti e anche la Cina. Il settore industriale principale del capitalismo mondiale, quello dell’auto, sembra essere l’antesignano della crisi che si preannuncia. Questo pericolo di recessione globale è ben presente nelle preoccupazioni e nelle dichiarazioni degli esponenti economici che contano e nei dirigenti europei, a partire dal Presidente della Banca Centrale Europea e dalla sua decisione di aprire una nuova fase di quantitative easing nel tentativo di rilanciare lo sviluppo economico. Solo che questa nuova grande disponibilità di denaro non sembra essere utilizzata per un rilancio degli investimenti e delle produzioni. In gergo si usa l’espressione “il cavallo non beve” per descrivere questa situazione. La realtà capitalista è molto semplice, nessuna banca, nessun padrone, nessuna azienda rilancia gli investimenti se non ha reali prospettive di mercato e di profitto. A tal riguardo, sembra esserci un consenso piuttosto ampio tra gli economisti borghesi riguardo alla necessità di relativizzare la politica monetaria per concentrarsi su una politica fiscale che possa dare margini per favorire gli investimenti produttivi e rilanciare così la “crescita”: una sorta di “keynesismo liberista” che punti sulla domanda interna dopo decenni di mercantilismo e di politiche orientate all’esportazione, dettate dalla borghesia tedesca e dai rapporti di forza che, in alleanza con quella francese, era riuscita a imporre nell’Unione Europea. Ora, la recessione incipiente impone alle borghesie europee di riflettere sull’opzione alternativa, ma le differenze emerse tra i diversi governi all’ultima riunione dell’Ecofin mostrano che la ricomposizione degli interessi delle classi dominanti dei diversi paesi europei, per sostenere la competizione globale con USA e Cina, non è certo agevole, né priva di asperità. È la stessa natura contraddittoria dell’Unione Europea, costruita sulla base dello sviluppo ineguale dei diversi paesi che la compongono, a essere foriera di questa impasse. Certo un forte rilancio dei salari e della spesa sociale, come sarebbe necessario, potrebbe favorire il rilancio economico, solo che questo significherebbe anche una riduzione dei profitti, una nuova accresciuta forza della classe operaia, rimetterebbe cioè in discussione i risultati ottenuti dai capitalisti con le politiche dell’austerità e del liberismo.

Queste sono le contraddizioni di questo ingiusto sistema; per questo serve un progetto anticapitalista.

L’Unione Europea, cioè le borghesie europee, sotto la direzione della nuova Presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen, sembra volersi muovere in questo difficile contesto moltiplicando le dichiarazioni sulla necessità di contenere le diseguaglianze sociali, di favorire l’inclusione, ma nello stesso tempo non ha nessuna intenzione di modificare gli assi di fondo dei trattati e delle politiche fino ad ora condotte. Quello che appare evidente è solo un approccio più pragmatico ai problemi, la possibilità di introdurre qualche flessibilità al fine di poter gestire al meglio le situazioni di crisi, di contenere le spinte populiste di destra, ma in totale continuità con il passato. Basta vedere cosa sta facendo il governo francese con il suo progetto sulle pensioni o le dichiarazioni del governo italiano sul rispetto degli equilibri di bilancio. Nessuno settore borghese vuole o pensa di ridare ai lavoratori quei diritti che si erano conquistati con le lotte del passato e andati persi negli ultimi due decenni attraverso una serie di sconfitte ed arretramenti. Si rafforzano invece le correnti padronali, vedi Inghilterra, ma non solo, che vogliono una disfatta ancora più profonda del movimento dei lavoratori.

4. La caduta del governo giallo verde è stato il frutto delle sue crescenti contraddizioni interne e dei mutamenti dei rapporti di forza tra le sue componenti che hanno spinto la Lega di Salvini ad operare una forzatura al fine di conseguire l’intera posta nelle elezioni anticipate per portare fino in fondo il suo progetto autoritario e reazionario.

La costituzione di un nuovo governo basato su due formazioni che da anni erano in forte contrapposizione è il frutto di plurimi elementi:

In primo luogo, l’avversione della grande borghesia italiana e quindi della Confindustria, verso le elezioni politiche anticipate alla vigilia di una complicata manovra finanziaria e in contesto economico di crescente difficoltà congiunta alla volontà di dotarsi di un governo borghese più “tradizionale” e più consono ai suoi interessi complessivi, cioè più interno al quadro europeo.

In secondo luogo, le analoghe e convergenti preoccupazioni delle forze politiche ed economiche dell’establishment europeo, volto a contenere le spinte centrifughe e desideroso di avere un governo italiano (il governo Ursula, cioè composto dalle forze che hanno contribuito ad eleggerla) integrato nelle logiche delle istituzioni politiche europee dovendo fronteggiare la Brexit e la sempre più acuta concorrenza internazionale.

In terzo luogo, la reazione di autodifesa di forze come il PD e il M5s, comprese delle loro componenti interne che le hanno spinte a costruire questa inedita coalizione di governo, resa possibile per altro sul piano politico, dal fatto che su alcune questioni di fondo, cioè sulla preservazione dei meccanismi del capitalismo e sulle sue modalità, non hanno divergenze insuperabili.

In quarto luogo il fatto che ci fosse una certa pressione sociale e preoccupazione democratica di diversi ambiti della società che spingeva in questa direzione per impedire che il progetto reazionario di Salvini potesse andare in porto.

In quinto luogo, molto importante e significativa è stata l’azione delle organizzazioni sindacali ed in particolare della CGIL che hanno agito con molta determinazione perché questa soluzione si realizzasse. Sono state così ricostruite ed attivate le cinghie di trasmissione tra politica e vertici sindacali confederali e si delinea una non inedita consonanza di intenti tra Confindustria, governo, CGIL/CISL/UIL. E proprio in questi giorni ci sono i primi segni visibili di una nuova fase di concertazione sociale a 3 tra Governo, Sindacati e Confindustria (e le altre associazioni padronali). Va da sé che il combinato disposto di questi fattori produrrà molte difficoltà alla mobilitazione sociale.

5. Il programma della Confindustria, cioè quanto essa chiede al nuovo governo è molto chiaro: A) riduzione del cuneo fiscale B) Infrastrutture C) Salario minimo e legge sulla rappresentanza sindacale. Traduzione: A) “aumentare” i salari con la leva fiscale consentendo ai padroni di non tirar fuori un euro e scaricare il costo di questo “aumento” sul già traballante welfare pubblico; inoltre senza una riforma fiscale fortemente progressiva la riduzione del cuneo aumenterebbe le disuguaglianze già elevatissime. B) TAV, TAP, Gronda, allacci autostradali e ogni sorta di grandi opere che servano a migliorare la malandata logistica del paese a esclusivo vantaggio delle imprese e a detrimento dell’ambiente C) i padroni non sono contrati al salario minimo. Semplicemente vogliono legarlo ai minimi tabellari dei singoli contratti nazionali di categoria, sterilizzandone gli effetti, a una legge sulla rappresentanza sindacale che “pesi” (nelle parole dello stesso Boccia), la rappresentanza sindacale; la democrazia sindacale, che già non gode di buona salute, sarebbe fortemente a rischio.

Su questi temi c’è una perfetta sintonia di imprese, governo e parti sociali, e vale la pena sottolineare che il programma di governo in 29 punti che puntella la coalizione PD-M5S-LeU si apre, non a caso, con l’affermazione della necessità di salvaguardia degli “equilibri di finanza pubblica”. In tutta evidenza, questa è l’architrave su cui si regge l’intero impianto del programma di governo e sarebbe un grave errore fare lo “spezzatino”, cioè considerare i singoli punti di programma come parti separabili dalla logica di insieme che li sorregge. È forse curioso che tutte le petizioni di principio e le buone intenzioni (un Green New Deal che non sia “capitalismo verde”, investimenti pubblici, prevenzioni degli infortuni sul lavoro ecc…) siano irrealizzabili considerando gli ingenti investimenti necessari, incompatibili con gli attuali “equilibri di finanza pubblica”, mentre i punti effettivamente realizzabili siano quelli contro la classe lavoratrice: spending review, revisione delle detrazioni fiscali, autonomia differenziata, solo per citarne alcuni. Persino sul piano democratico, il governo lascia trapelare una semplice modifica dei decreti sicurezza per evitare di incorrere nel giudizio negativo della Consulta (quindi, per salvarli!).

Sul piano degli assetti democratici se si è aperta una discussione su un nuovo sistema elettorale, ma essa non deve trarre in inganno; si discute di un sistema proporzionale con un forte sbarramento tra il 3% e il 5% nel contesto di una riduzione del numero dei parlamentari che ha già, di per sé, una logica anti-proporzionale per impedire la rappresentanza in primo luogo delle forze della sinistra di classe o di un loro assoggettamento.

Infine, occorre rilevare che il nuovo governo si presenta non solo con un profilo “europeista”, ma anche molto “filoatlantico”, con tutte le implicazioni che da questo posizionamento possono derivare nel clima assai perturbato dello scacchiere internazionale.

Questo governo nasce con alcune carte da giocare che non sono trascurabili. In primo luogo, esso segue l’esperienza del governo gialloverde, e le terribili performance di Salvini, che avevano causato, a giusta ragione, sconcerto e paura in un settore forse non maggioritario ma importante della società. Il governo M5S-PD è visto positivamente da questi settori e godrà pertanto per qualche tempo di una cambiale in bianco, tanto più che dispone del sostegno delle forze sociali ed economiche che ne hanno favorito la nascita, almeno in prima battuta.

Resta tuttavia un governo pieno di contraddizioni obbiettive e posto di fronte a scelte su cui potranno esprimersi opzioni diverse. La formazione del partito di Renzi con un suo proprio progetto politico introduce ulteriori elementi contradditori e pesanti ipoteche, che, se possono forse essere superati nei prossimi mesi di fronte all’impellenza della finanziaria e al rapporto con la UE, torneranno ben presto a manifestarsi. Renzi avrà una carta importante per condizionare ulteriormente a destra un governo che è già orientato a una posizione liberista ed è parte dei processi di rimescolamento politico che la nuova configurazione di governo sta producendo. Impossibile pensare che ci possano essere ripensamenti sulle leggi che hanno colpito i diritti dei lavoratori, dal Jobs Act alla legge Fornero.

Per questo bisogna prepararsi a nuovi scossoni e soprattutto occorre lavorare perché ci sia una presenza autonoma e di lotta delle classi lavoratrici e dei movimenti sociali.

6. Sinistra Anticapitalista ha espresso soddisfazione per la sconfitta e il passo falso di Salvini, che ha fortemente sottovalutato l’insieme dei fattori in campo, la fine di un esecutivo che fino all’ultimo giorno ha prodotto leggi infami come i due decreti sulla sicurezza, che ha portato all’estremo la scelta di far morire in mare i migranti, criminalizzato chi porta aiuto, che ha fatto  dell’inumanità la sua bandiera, avvelenando a fondo in senso antidemocratico e razzista l’intera società e che si apprestava a realizzare altre misure vergognose come la divisione del paese con la cosiddetta autonomia differenziata (che anche l’attuale governo conferma, seppure in forma “soft”, ma senza che la sostanza di fondo cambi) e la rimessa in discussione dei diritti delle donne con il ddl di Pillon sulla famiglia, ma al tempo stesso ha espresso chiaramente la necessità di porsi, sin da subito, in opposizione a un governo del liberismo “europeista”, che, con le sue politiche di austerità, rischia di riportare alla ribalta gli epigoni del liberismo “nazionalista”. Salvini e la Lega hanno ancora molte carte sia nella società che nelle istituzioni per costruire la loro rivalsa insieme alle altre forze dell’estrema destra. Sarebbe un errore capitale lasciare alle destre il monopolio dell’opposizione politica e sociale al nuovo governo!

Questa situazione molto complessa ed anche contraddittoria ha prodotto anche in forze della sinistra cosiddetta radicale non solo una discussione difficile, ma anche molti elementi di smarrimento (presenti in molte organizzazioni), quasi una voglia di delega, l’attesa messianica di elementi di discontinuità che, però, non sono certo nelle posizioni politiche e nella collocazione di classe del PD e del M5S. Il fallimento e la scomparsa della aggregazione “La Sinistra”, già certificati subito dopo le elezioni europee, sono ora manifesti con la disastrosa scelta di Leu e di SI di entrare nel nuovo governo.

La strada da percorrere è un’altra! Per sconfiggere le voglie di rivalsa delle destre populiste, occorre battere tutte le politiche di austerità che hanno fin qui prodotto un drammatico deterioramento delle condizioni di vita di milioni di lavoratrici e lavoratori, disoccupate e disoccupati, giovani e donne in questo paese, spianando la strada al consenso a soluzioni reazionarie. Nessuno sconto e nessuna apertura di credito al nuovo governo, dunque, ma costruzione dell’opposizione politica e sociale. Per farlo, occorrerà innanzitutto che le forze della sinistra di classe, politica, sociale e sindacale, senza alcuna ambiguità, costruiscano l’unità d’azione la più ampia possibile attorno a pochi e chiari obiettivi democratici e sociali in grado di favorire le condizioni per una ripresa delle mobilitazioni e, in prospettiva, per la decisiva ricostruzione di un nuovo movimento delle lavoratrici e dei lavoratori.

7. La condizione della classe lavoratrice resta drammatica dal punto di vista dell’occupazione, dei salari e delle condizioni di lavoro e di sfruttamento nei luoghi di lavoro. I dati dell’Istat ancora una volta documentano la dimensione della disoccupazione ed anche e soprattutto l’area di coloro che hanno ormai rinunciato a cercare un lavoro. Impressionante e tragica è la curva degli incidenti e degli omicidi sul lavoro che ha ripreso a salire. La ripresa dell’occupazione salutata da alcune forze dell’ex governo sulla base di una falsa interpretazione di alcuni dati dell’Istat, non esiste; esiste solo nella forma che lo stesso giornale confindustriale ha definito “un boom di contratti meno tutelati e del calo della flessibilità garantita”. Al ministero del lavoro sono aperte oltre 150 vertenze occupazionali, da tempo irrisolte, mentre altre si profilano all’orizzonte e la cassa integrazione straordinaria è tornata ad esplodere resta molto alta anche quella ordinaria. Soprattutto il dato di fatto essenziale è che dall’inizio della crisi del 2008 sono andate perse oltre un miliardo di ore lavorate e che il saldo negativo tra l’occupazione del 2008 e quella di oggi si può calcolare tra 800 mila e un milione di posti di lavoro persi.

Così come è continuato la perdita dei salari, quella che un economista ha chiamato la slavina dei redditi da lavoro dipendente. Contratti nazionali sempre più poveri e perdenti, sempre più finalizzati alla produttività delle imprese a scapito dei diritti retributivi dei lavoratori, contrattazione integrativa che copre meno del 30% delle aziende ed infine il dilagare del part-time involontario, della cassa integrazione e di ogni forma di lavoro precario e mal retribuito hanno prodotto una vera e propria crisi salariale che oggi le stesse direzioni sindacali, fortemente responsabili del degrado prodotto, devono registrare, anche se non hanno saputo, né voluto, produrre una risposta e tanto più una mobilitazione.

Oggi queste organizzazioni sindacali, a partire dai metalmeccanici, dicono che è necessario intervenire nuovamente sui contratti di lavoro per difendere i salari. FIOM, FIM e UIL hanno varato una piattaforma contrattuale un poco diversa dal recente passato. Ma il nodo resta che ancora una volta la ripresa dei salari dovrebbe essere determinata da una riduzione delle tasse e non da soldi freschi che i padroni dovrebbero mettere sul tavolo. Ricompare sotto questa forma la famigerata politica dei redditi.

Va da sé che ogni riduzione degli introiti fiscali comporterà nuove pesante riduzioni della spesa pubblica sociale, poco visibile agli inizi perché spalmata in diverse forme, ma che i lavoratori si troveranno poi a fronteggiate nella riduzione dei servizi a partire da quelli sanitari.

Per questo noi chiediamo che sia aperta una grande vertenza come quella di 50 anni fa intorno allo slogan più salario, meno orario.

Per questo svilupperemo nei prossimi mesi una campagna su questo tema politico rivendicativo e articoleremo in tutte le forme possibili la battaglia per una radicale riduzione dell’orario a parità di salario e un nuovo forte intervento pubblico per creare posti di lavoro.

8. L’unità della sinistra di classe va ricercata per favorire in ogni modo possibile lo sviluppo di un movimento di massa contro tutte le politiche di austerità, per ricostruire il protagonismo di lavoratrici e lavoratori e l’unità con i movimenti di lotta ecologista e femminista, sulla base di una piattaforma con pochi obiettivi chiari e coerenti con i bisogni e le rivendicazioni dei settori sfruttati e oppressi della società: riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, appunto; aumenti salariali uguali per tutte e tutti; parificazione salariale tra donne e uomini; abolizione vera della legge Fornero; nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia; forti investimenti pubblici per la creazione di nuovi posti di lavoro; stop alle privatizzazioni in corso e ripubblicizzazione dei servizi già privatizzati; interventi unilaterali di riduzione delle emissioni nocive per l’ambiente. Occorrerà disporre di una massa critica sufficiente a intervenire, su questa base, nei luoghi di lavoro, di studio e nei quartieri, ma anche sul terreno mediatico e della comunicazione. Occorre sostenere e partecipare ad esperienze territoriali che consentano un nuovo radicamento sociale e una riconoscibilità politica delle forze che si battono per un orizzonte radicalmente alternativo al capitalismo, in grado anche di connettersi alle esperienze quotidiane, al vissuto e all’immaginario delle giovani generazioni.

Per questo riteniamo non solo utile, ma necessaria un’assemblea generale delle lotte e della sinistra di classe, in questo autunno, che favorisca le condizioni per questa necessaria convergenza, in cui, democraticamente, con regole certe e con pari dignità si stabiliscano metodi e contenuti di questa opposizione. Per questo proponiamo a tutti i collettivi, i sindacati e i pezzi di sindacato, le associazioni, le organizzazioni politiche della sinistra di classe, a partire dalle forze con cui abbiamo già avuti incontri, di essere collettivamente promotori di questo appuntamento autunnale per impedire che l’unica opposizione sia quella della Lega e di F.d’I. E’ questa la strada più utile anche per riuscire ad essere preparati in tempo e con modalità socialmente credibili per poter affrontare anche un eventuale nuova crisi di governo in tempi non lontanissimi, e la possibilità di elezioni.

Con questo spirito, Sinistra Anticapitalista, che è già stata presente ad alcune scadenze sociali parteciperà delle prossime settimane alle plurime iniziative di movimento: gli appuntamenti proposti dall’assemblea nazionale di Energie in Movimento; lo sciopero del clima del 27 settembre; l’assemblea nazionale del Si Cobas a Napoli il 29 settembre; l’assemblea nazionale contro ogni regionalismo differenziato del 29 settembre a Roma, l’assemblea nazionale del forum indivisibili del 6 ottobre, la manifestazione nazionale a Milano contro l’apertura dei CPR del 12 ottobre, lo sciopero generale del 25 ottobre indetto dai sindacati di base, ancora una volta però non tutti quanti uniti. Esprimiamo la nostra totale critica alla scelta di quelle forze che hanno voluto far saltare la manifestazione nazionale femminista del 28 settembre a Roma e proprio per questo riaffermiamo il nostro sostegno alla mobilitazione internazionale per il diritto d’aborto del 28 settembre.

9. Questo percorso di unità d’azione e di lavoro pensiamo sia la strada migliore per affrontare un nodo politico che certo esiste, quella della formazione di una più forte organizzazione politica radicale e di classe o per usare una ulteriore specificazione “anticapitalista e rivoluzionaria”, ma che non può essere né risolta, né tanto meno affrontata in forme enunciative meramente propagandistiche o con formule improprie e del tutto inefficaci del tipo “l’unità dei comunisti”.

Come già scrivevano nel nostro primo congresso del 2016, poi riverificato nel congresso del febbraio di quest’anno Per un reale processo di ricomposizione politica, cioè per la costruzione di una forza politica anticapitalista effettivamente utile, c’è bisogno quindi di ben altri sviluppi politici la cui precondizione rimane la crescita di reali processi di massa e di nuovi processi di radicalizzazione”.

Aggiungevamo anche, sempre nel primo congresso, che ogni ipotesi di aggregazione per noi significava una forma di fronte o di federazione con il mantenimento della nostra organizzazione indipendente; questa modalità di impostazione e di lavoro è quella che abbiamo espresso e praticato nella costruzione e poi nella discussione e nelle dinamiche politiche ed organizzative di Potere al Popolo.

Alla luce degli avvenimenti e davanti alla conferma dei caratteri del quadro politico delle forze della sinistra nel congresso del 2019 confermavamo la necessità di un percorso di forum politico e sociale, aperto alle organizzazioni della sinistra di classe così come alle/ai singole/i lavoratrici e lavoratori, alle studentesse e agli studenti, un movimento plurale in cui si potesse avanzare insieme sui punti comuni e continuare la discussione su ciò su cui non si concorda, senza forzature ma garantendo pari dignità alle diverse opzioni politiche di cui è composto oggi il quadro frammentato della sinistra, dando cioè piena cittadinanza sia alle organizzazioni politiche e sociali che ai singoli che vogliono partecipare alla costruzione di un quadro comune della sinistra di classe.[i]

È questo il percorso che crediamo possa favorire a termine processi di ricomposizione più profondi di cui non c’è per ora traccia nelle posizioni politiche e nelle pratiche delle organizzazioni della sinistra. Ripartire dall’unità d’azione è il terreno obbligato per qualsiasi passo avanti. All’interno dello spazio ampio che proponiamo sarebbero infatti possibili convergenze sui singoli temi e quindi la costruzione di iniziative comuni con settori diversi e potrebbero svilupparsi in prospettiva alleanze stabili che potrebbero portare in seguito alla formazione di organizzazioni politiche con una maggiore massa critica, capaci di intervenire con maggiore efficacia nel quadro politico e sociale.

La Direzione Nazionale ha il mandato di operare per costruire tutte le interlocuzioni e l’unità d’azione possibili tra le diverse forze della sinistra politica e sociale di classe sulla base di questi contenuti.

SINISTRA ANTICAPITALISTA
COMITATO POLITICO NAZIONALE

Roma, 21/22 settembre 2019

da Sinistra Anticapitalista


[i] Su questa problematica c’è un forte convergenza con le compagne e i compagni dell’NPA (Nuovo Partito Anticapitalista, ndr.) francese che parlano di “un coordinamento permanente della sinistra di lotta, un luogo “democratico” a livello locale e nazionale, dove ci si possa trovare regolarmente per fare il punto e discutere liberamente di strategie e dell’attività. Non si tratta di creare un’ennesima coalizione che cerchi di sostituirsi ai partiti esistenti, sindacati, movimenti o collettivi”.

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