L’impalpabilità dell’egemonia che la forma attuale del capitalismo ha attributo ai grandi “brani” (ne scrive Naomi Klein nel suo ultimo “Shock Politics”) ha reso il tema del Governo questione esclusiva della sovrastruttura.
Una sovrastruttura che si impone nel prevalere della torsione politicista su economia e tecnica, in funzione esclusiva del dominio del marchio di fuoco del capitalismo autoproclamatosi omnicomprensivo della realtà e del futuro. Una questione apparentemente inafferrabile che fa del “governo” un’entità invisibile collocata nell’empireo delle grandi concentrazioni multinazionali. Nell’impossibilità del riformismo (punto vero della crisi della socialdemocrazia) mai come in questa fase vale l’antico motto marxiano: “Il governo qualunque esso sia, è sempre il comitato d’affari della borghesia”.
Per affrontare questo fenomeno, a livello della dimensione dello “Stato – Nazione” serva una un’azione politica fondata sulle concrete contraddizioni reali. Dimensione dello “Stato – Nazione” che per adesso risulta insuperabile perché dalla sua crisi sorgono soltanto ipotesi di spezzoni vieppiù etnicamente identitari, in conflitto con il crescente multipolarismo culturale.
E’ questo il punto di rottura al quale è giunto il sistema mentre si stanno appesantendo e intensificando le forme di sfruttamento dell’uomo, della natura, dell’essenza stessa della condizione umana da parte – appunto – di questi inafferrabili marchi all’interno dei quali occultamente si annidano i protagonisti del potere reale.
Non c’è nessun “complottiamo” nello sviluppare questa affermazione ma soltanto una realistica constatazione nel concreto dell’attualità.
In questo contesto davvero le elezioni possono essere considerate una sorta di “rito”, di celebrazione del potere, di soddisfazione delle ambizioni di singoli che concorrono profondendo ricchezze enormi accumulate – appunto – con l’esercizio sfrenato dello sfruttamento. L’unica possibilità che abbiamo è quella di muoverci sul terreno del recupero d’identità della rappresentanza politica, ed è a questo tema che si cerca di dedicare un avvio di riflessione.
Quali le condizioni materiali che si presentano davanti a chi intende muoversi idealmente, progettualmente, programmaticamente sul terreno delle contraddizioni sociali, non esistendo più la possibilità di competere per il Governo reale nemmeno in una accezione moderatamente riformistica, ma soltanto per la rappresentanza di quelle contraddizioni generate dallo sfruttamento cui si è già accennato?
I barbari non stanno soltanto sulla piazza di Varsavia a testimoniare un’Europa inesistente nelle sue presunte fondamenta culturali ma attiva soltanto nei salotti dei banchieri di Bruxelles e Francoforte. I barbari sono già dentro il nostro recinto e per combatterli non serve neppure l’illusione della democrazia diretta e/o quella del “pubblico”, le nuove leadership e i “partiti personali”.
Non c’è nessun baratro e nessun “salto nel vuoto”, come sostengono autorevoli politologi, non c’è nessun “Annibale alle Porte” rappresentato da più o meno identificati populisti contro i quali tirare la cinghia e fare barriera, non vale alcuna “union sacrèè”: esiste soltanto un’omologazione complessiva di una “politica” che si autodefinisce da sé stessa come entità separata e una società allo stremo delle forze e della ragione.
Un’omologazione al verbo unico del consumatore seriale e al mondo delle illusioni diffuse seminate attraverso i social network. Orwell nel suo celebre 1984 era stato ancora ottimista, siamo ben oltre il “Grande Fratello” ma addirittura “all’immaterialità pervadente” del potere e del controllo sociale.
L’opposizione rivolta a contrastare tutto quanto agisca come fattore di omologazione all’individualismo consumistico e competitivo sul quale si base questa egemonia regressiva, deve rivolgersi verso l’“arretramento storico” in atto individuandone il senso.
E’ necessario quindi porsi “diversi” e “contro” rifiutando questa egemonia soffocante: ancor più soffocante di quel “pensiero unico” che era emerso dalla globalizzazione e di cui si scriveva tempo addietro. La situazione da allora è sensibilmente peggiorata, almeno dal nostro punto di vista di sfruttati.
Restringo il campo di osservazione alle prossime elezioni italiane. Chi intende promuovere e presentare una lista che possa essere percepita come “ di sinistra” a livello di massa ha il dovere, prima di tutto, di verificare la possibilità di riuscire a rappresentare istituzionalmente chi subisce questo vero e proprio “soffocamento”culturale, sociale, economico. Non c’è nessuna unità da ricercare forzatamente “contro”: bensì c’è bisogno di misurarsi con il “per”. Non basta la presentazione di un programma elettorale.
Serve un progetto d’ampio respiro di vera e propria riunificazione tra la “Democrazia costituzionale” e la “Democrazia sociale”. Su questo punto si può realizzare la costruzione di un’identità, nei cui tratti peculiari trovino posto anche gli elementi portanti della tradizione culturale, morale, etica, politica della sinistra italiana, in uno sforzo prima di tutto di aggiornamento e di sintesi al riguardo della nostra storia accanto ad una seria valutazione dei fenomeni emergenti.
La “Democrazia sociale” da intendersi come proiezione e applicazione della “Democrazia Costituzionale”. L’idea dovrebbe essere quella di conseguire un’adeguata rappresentanza istituzionale, da considerare come uno dei punti di appoggio nella costruzione dell’identità e insieme momento di partenza per un progetto politico di lungo respiro.
Ogni ambizione diversa: di contribuire al Governo, di ricostruire il centro – sinistra o di uno schieramento d’altro tipo. rappresenterà soltanto una velleità presto frustrata che, alla fine, lascerà il campo ad altre macerie dopo le tante già lasciate sul campo della sinistra italiana nel corso degli ultimi vent’anni.
Il massimo fattibile (sempre restando dentro il ristretto orizzonte delle prossime elezioni italiane) sarà soltanto, in questa fase, una lista da considerare come simbolo di una proposta di aggregazione di massa critica che si evidenzi anche sul piano politico – istituzionale collegandosi alle istanze di lotta quotidiana sul terreno sociale ed evitando la negativa logica dei “due tempi” e il ritorno al predominio dell’autonomia del politico.
Questa proiezione tra terreno politico – istituzionale e campo di lotta sociale può essere considerata, anzi sarebbe bene fosse considerata, come fatto propedeutico alla costruzione di un’organizzazione politica. Un’organizzazione politica al riguardo della quale i suoi proponenti dovranno essere bravi da subito a definire ambito e possibilità.
L’ambito non potrà che essere quello della rappresentanza politica e istituzionale raggiunta in nome proprio di un progetto di Resistenza fondato sul raccordo tra costituzionalismo democratico e capacità di lotta sociale nel concreto della quotidianità e delle asprezze che in essa si presentano.
Un tema fondamentale questo che mi sono permesso di analizzare in questa occasione, in una maniera sicuramente inadeguata, ma che ritengo dovrebbe essere spunto di attenta riflessione almeno in quei settori della sinistra più determinati nello scegliere con coerenza il terreno dell’alternativa di sistema e di società.
FRANCO ASTENGO
foto tratta da Wikimedia Commons