Oggi, 10 dicembre, è la Giornata internazionale per i diritti degli animali.
Quelli vivi e quelli macellati. Quelli che possono ancora essere salvati dagli allevamenti intensivi e quelli che ne sono schiavi e imprigionati per tutta la loro brevissima vita.
Quelli che consideriamo intoccabili, i nostri cani, gatti, canarini, tartarughe, pesciolini rossi, pappagalli, furetti e quelli che invece mangiate senza alcun problema perché così è da millenni e millenni, perché saremmo onnivori imperturbabili e destinati ad esserlo anche se la coscienza ci porta verso la considerazione che, in fondo, si può vivere benissimo senza mangiare gli animali.
Perché mangiamo gli animali? La domanda me la sono posta tanto tempo fa. Ho vissuto con la contraddizione di dirmi “antispecista” e mangiare gli animali ancora per molti anni. Poi ho deciso: provo. Elimino la carne propriamente detta. Dunque, niente più cotolette panate alla milanese, niente più petto di pollo, niente più cosce di animali da rosicchiare e nemmeno prosciutto cotto o crudo, salame cotto o crudo, pancetta, lardo, bresaola, cacciatorini, testa in cassetta e così via…
Mangiavo il petto, le cosce, la testa e le frattaglie sfrigugliate e chissà come assemblate in quell’orrore antigastronomico che sono i wurstel e gli altri paté di origine bovina o suina…
Mangiavo gli animali. Mangiavo degli esseri che avevano vissuto e che erano stati allevati tanto velocemente da sovvertire la loro naturale crescita biologica per intensificare la produzione e soddisfare la domanda di carne.
Mangiavo gli animali perché fin da bambino era “normale” che fosse così. Nessun senso di colpa. Lo fanno tutti. Come per le tangenti ai tempi della Milano da bere: era prassi, normalità. L’alibi era sociale, l’individualità era assolta in tutto e per tutto.
Mangiavo gli animali ma lo ritenevo strano: davvero per vivere dobbiamo cibarci di altri esseri viventi, ucciderli e quindi far derivare la nostra esistenza dalla negazione dell’altrui? Oppure è solo una questione di gusto, oggi? Per l’uomo primitivo, senza uno sviluppo adeguato e razionale dell’agricoltura, poteva avere un senso aderire all’istinto inconscio di sopravvivenza mediante la caccia, mediante l’uccisione degli animali.
Lo sarebbe forse ancora oggi per noi, se non avessimo scelta. Ma possiamo scegliere: possiamo riflettere sullo sfruttamento intensivo non solo degli animali ma anche del resto del pianeta e fermarci un attimo e contribuire ad arginare la vera e propria bulimia consumistica iniziando da uno stile di vita salutare per noi e sostenibile per tutti gli altri esseri viventi di cui non siamo i proprietari e sui quali non dovremmo vantare alcun diritto.
L’antispecismo è proprio questo: la legge morale dell’eguaglianza, dentro di noi, dei diritti di esistenza e di libera vita a noi e a tutti gli altri animali. Non solo quelli che ci fanno compagnia a casa, nei nostri giardini, che ci coccolano e che coccoliamo. Tutti, proprio tutti.
Compresi i pesci, perché, nonostante vengano considerati “inferiori” agli animali terresti, che siamo più abituati a vedere e conoscere, soffrono al pari di ogni altro essere vivente: soffocano nelle reti, muoiono assiderati dal ghiaccio di grandi congelatori, vengono amputati di lische, pinne, persino decapitati da vivi e sempre da vivi etichettati con spillatrici, legati e lasciati crepare in lunghe agonie. Come i pesci spada, infilzati con grandi tridenti, boccheggianti sui pescherecci, privi di quell’ossigeno che troverebbero invece nel loro ambiente naturale.
Margherita Hack raccontava spesso che quando, invitata a qualche cena, diceva che non mangiava carne, allora le veniva offerto del pesce, ritenendo che la “carne” fosse soltanto quella di bovini, equini, suini, delle galline, dei conigli e di ogni altro animale zampettante sulla terra o svolazzante nel cielo. No, la carne è anche il pesce. Ma la vulgata comune vuole semanticamente separare le specie e fare dei pesci una “non-specie” di specie, qualcosa di incorporeo e quindi di non sofferente.
Letture consigliate: “Se nulla importa, perché mangiamo gli animali?” di Joanthan Safran Foer
La domanda resta: perché mangiamo, perché mangiate gli animali? Ne abbiamo, ne avete diritto? Gli interrogativi sono molto ecologici, molto antispecisti. Fateveli e scoprirete che sono tutte dicerie e pregiudizi, volutamente creati ad arte, quelli che vorrebbero classificare il vegetarianismo come un impoverimento della dieta alimentare: io sono vegetariano da più di una anno e vi assicuro che non per questo ho perso peso (purtroppo…), non ho mancanza di alcuna vitamina.
Perché mangiamo gli animali? La risposta di ognuno di noi è importante per cambiare punto di osservazione su qualcosa che abbiamo sempre dato per scontato…
Sosteniamo e partecipiamo alle campagne di:
Essere Animali, Lega Anti Vivisezione, Ente Nazionale per la protezione degli animali (ENPA)
(m.s.)
foto tratta dalla pagina Facebook di Essere Animali