La provocazione attuata dal Governo nella stesura del testo del quesito da apporre sulla scheda referendaria (reso noto tra l’altro a referendum ancora formalmente da convocare) rappresenta soltanto un passaggio nell’insieme delle formidabili pressioni che i sostenitori del “NO” dovranno fronteggiare nelle prossime settimane e delle quali abbiamo già avuto larghe avvisaglie: ambasciatore USA, minacce di disastro economico, disimpegno di investitori stranieri, ecc, ecc., partigiani veri e partigiani finti.
Indicativa, sotto questo aspetto, la questione riguardante il testo del quesito da sottoporre alle elettrici e agli elettori, che segna sicuramente il carattere meramente propagandistico dell’operazione segnalando, però, anche un ritardo evidente dell’incerta opposizione parlamentare.
Non è questo però il punto.
Il punto risiede nella necessità che lo schieramento del NO, almeno dal punto di vista dei riferimenti ideali, culturali e politici posti nel solco della migliore tradizione della sinistra italiana, sia posto in grado di esprimere il massimo della forza morale, dell’autorevolezza del pensiero.
Serve un elemento fondativo: quello dell’affermazione (non della difesa, beninteso: difesa è un termine da abbandonare) del concetto di Democrazia Repubblicana, in piena sintonia e continuità con il lavoro dell’Assemblea Costituente che disegnò appunto una repubblica fondata sulla centralità di un parlamento che rappresentava “lo specchio del Paese”.
Questo concetto fondamentale deve essere contenuto, assieme ad un giudizio netto e senza equivoci sul degrado della qualità nella vita democratica avvenuto nel corso di questi anni, in un Manifesto della Sinistra per il NO sul quale dovrebbero convergere tutti i principali esponenti dei diversi comitati.
Per dirla in soldoni: un vero e proprio CLN.
Deve essere chiaro che questa contesa politica non serve agli interessi di corrente o al rilancio di questo o quell’esponente politico, ma serve a fare in modo che l’Italia esca dal pericolo concreto di una “recessione autoritaria”.
Si tratta di un giudizio morale prima ancora che politico?
Certo, perché fu un giudizio morale quello che mosse i nostri Padri sulla via della montagna, a scrivere l’epopea della Resistenza.
C’era anche la politica beninteso e in seguito diede frutti dolci e amari, ma prima veniva la “qualità morale” e la Repubblica fu l’esito di quell’affermazione di moralità.
FRANCO ASTENGO
redazionale
24 settembre 2016
foto tratta da Pixabay