Per Emmanuel

“Eh, ma non siamo mica tutti quanti così!”. Mi apostrofa in questo modo un signore che stamane incontro nel mio consueto giro mattutino con Bia che scodinzola incurante delle...

“Eh, ma non siamo mica tutti quanti così!”. Mi apostrofa in questo modo un signore che stamane incontro nel mio consueto giro mattutino con Bia che scodinzola incurante delle questioni razziali, della politica. Lei vede solo qualche praticello dove odorare fiori, erba e accucciarsi a fare i propri bisogni.
Sto discutendo in riva al mare, in una bella mattina di luglio. Tutto sembra molto pittoresco: la riviera ligure, l’isolotto di Bergeggi in lontananza, la statua di Garibaldi alle nostre spalle che guarda sempre verso Nizza.
Dall’Eroe dei due mondi agli eroi del razzismo di casa nostra.
Ho “La Stampa” tra le mani e mostro al mio interlocutore la foto di Emmanuel Chidi Namdi e di sua moglie. Lui ormai è morto. Le notizie di ieri sera che lo davano ancora vivo, in lotta in una gravissima condizione per poter continuare la sua tormentata esistenza, si sono trasformate in notizie definitive, senza speranza alcuna.
Emmanuel e sua moglie stavano camminando nel centro di Fermo. Passano davanti ad una panchina in un giardino, proprio come quello dove mi trovavo io stamane. Due italiani li apostrofano: “Scimmia africana!”, rivolgendosi alla moglie. Il marito ovviamente reagisce, ma a parole. Va a chiedere spiegazione.
Per risposta riceve una gragnola di colpi, pugni e calci che lo lasciano quasi privo di sensi a terra. Poi uno dei due italiani prende un palo della segnaletica, uno di quelli mobili, e glielo scaraventa addosso.
Finisce così la vita di Emmanuel, fuggito dalla Nigeria dove Boko Haram aveva distrutto il suo villaggio, fatto saltare in aria la chiesa cristiana dove pregavano lui e la sua famiglia. Rimasero uccisi in tre: i suoi genitori e la sua giovane figlioletta.
Poi fugge con la moglie, lascia quel luogo di orrore che è diventato il suo paese. Si imbarca con la moglie su un gommone dopo diverse traversie in Libia. Nella traversata la moglie abortisce. Aspettava un altro bambino e il sogno di vedere nascere una loro creatura libera in una terra libera e democratica, svanisce.
Finalmente giunge a Fermo e qui l’arcivescovado gli trova un posto dove poter alloggiare. Arrivano le prime pratiche per i documenti e sembra che ci siano quasi, che la meta sia a disposizione: finalmente avranno tutti i diritti legali per rimanere nella civile, democratica, stupenda Italia.
Ma la civile, democratica, stupenda Italia produce anche stupendi razzisti che si divertono ad uccidere, che provano soddisfazione nel tormentare le persone che sono diverse da loro. E uccidono. Uccidono spietatamente, proprio come i terroristi di Boko Haram, proprio come il Daesh (cui, del resto, la fazione nigeriana è affiliata da tempo).
Sono italiani come me e come voi. E questa volta, davanti a tanta barbarie, anche i giornali non tentennano e scrivono etnicamente, come spesso fanno con i migranti. Oggi sui giornali non campeggiano titoli del tipo: “Un albanese uccide una donna”; oppure: “Un marocchino stupra una ventenne”.
Oggi i titoli sono: “Due italiani massacrano un nigeriano”. Tutto sul piano dell’etnia. Sempre. Ne abbiamo bisogno per sentirci forse un po’ colpevoli. Oggi. Domani tutto sarà passato e torneremo a leggere i soliti titoli, le consuete argomentazioni sul fatto che il terrorismo arriva in Italia mediante la disperazione che viaggia sui barconi nel Mediterraneo.
Ma Emmanuel non era un terrorista, era un uomo stanco di soffrire, così come sua moglie; era un uomo stanco di dover vagabondare per trovare un luogo su questa terra dove poter vivere senza intralciare la libertà di nessun altro.
Ha invece trovato la morte, una morte senza senso, come bene scrive Massimo Gramellini, una morte che chiude la non-vita di Emmanuel, dalla Nigeria alle Marche.
“Eh, ma non siamo mica tutti quanti così!”, mi ripete il mio interlocutore del mattino nella passeggiata con Bia che, ormai, s’è allontanata verso dei cespugli fioriti e sembra felice come nessun altro.
No, non siamo tutti quanti così, come quegli italiani, quegli esseri umani che hanno brutalizzato e ucciso Emmanuel. Ma quando generalizziamo in senso contrario? “Loro” invece sono tutti quanti come gli stupratori e i ladri o sono tutti come Emmanuel. Non si è mai tutti uniformi nei comportamenti.
Lo dovreste sapere. Le condizioni sociali, l’istruzione, l’ambiente in cui si cresce e vive, miseria, povertà, frustrazioni, tutto contribuisce a creare l’odio gratuito verso chi identifichiamo come il nostro nemico o, più semplicemente, come colui che è “inferiore” a noi.
E’ una scala di disvalori e di valori che produce il razzismo. E’ una distorta visione della società e del singolo che autoalimenta l’odio. E chi vive di odio è già morto non una ma cento, mille volte. Purtroppo muore restando in vita e chi muore continuando a vivere come esempio di martirio di una ingiustizia senza alcun senso è proprio chi, invece, dovrebbe rimanere vivo. Ciao Emmanuel e, se puoi, non pensare che siamo tutti come i due italiani che ti hanno ucciso. Qualcuno buono, onesto e civile, democratico, antirazzista e magari anche cristiano in Italia c’è ancora. nonostante le campagne di odio che vengono mostrate in tv, che si propagano da Internet…
Qualcuno, forse, che riconosce nell’altro da sé un suo simile, forse in Italia c’è ancora… Forse…

MARCO SFERINI

7 luglio 2016

foto tratta da Pixabay

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