Le accuse di “passatismo” e di “residualità” hanno colpito, nel corso di questi ultimi anni, i sostenitori di una “qualità dell’agire politico” basata su di un’idea di rapporto con le concrete contraddizioni sociali, privilegiando un corretto intreccio tra rappresentatività e governabilità, basando l’azione sulla capacità organizzativa di partiti fondati sul radicamento di massa, l’agire collettivo, la democrazia interna, prediligendo un sistema elettorale proporzionale e un’idea “redistributiva” delle politiche pubbliche basata sull’intervento pubblico in economia e il “welfare state” di tipo universalistico.
Tutte idee che vengono da lontano, appartengono alla storia e alla tradizione della sinistra europea (ricordiamoci sempre del livello europeo, facendo attenzione però a non fare dell’eurocentrismo una sorta di feticcio) nel quadro di un pensiero “forte” di stampo occidentale.
Idee sulla base delle quali andrebbe proposta la ricostruzione di una soggettività politica che superi arcaiche divisioni a sinistra, com’è nell’intento dell’apertura di confronto che si propone con il “Dialogo Gramsci /Matteotti”.
A guardare le dinamiche che percorrono il sistema politico italiano sia nei luoghi del potere sia in improvvisati raduni di piazza la modernità sembra, invece, essere incarnata da una sorta di “Razionalismo astratto”.
I risultati concreti paiono non interessare, li si mistifica sotto il velo di una propaganda anche grossolana in presenza di movimenti e di soggetti politici costruiti esclusivamente in funzione del meccanismo dell’“individualismo competitivo”.
Così sono stati distrutti i corpi intermedi e il governo, al di là dei colori di riferimento, sta svolgendo, in sostanza, une funzione di tipo neo-corporativo.
Poco si riflette su di un percorso compiuto dall’insieme delle forze politiche nel pensiero teorico, partendo dal rapporto stilato da Francois Lyotard nel 1979 per conto dell’Unesco (“La condizione postmoderna”), laddove si sosteneva come fossero giunte al capolinea le metanarrazioni che nella modernità avevano cercato di dare un senso unitario alla realtà: l’illuminismo, l’idealismo, il marxismo.
Jurgen Habermas si accorse subito della china che avrebbero preso le cose e avanzò una critica serrata al “pensiero debole” individuandone gli obiettivi che erano quelli della superficialità culturale e del disarmo etico.
Quanto abbia pesato il prevalere di questo “pensiero debole” post-moderno sulla realtà politica, in particolare all’interno del “caso italiano” è sotto gli occhi di tutti e non vale la pena di soffermarsi più di tanto.
Anche a sinistra, però, il “pensiero debole” ha sfondato sulla qualità dell’agire politico dei soggetti apparentemente schierati da quella parte all’interno del sistema politico italiano, dando origine, sia a un tipo d’ibridazione della soggettività che appare del tutto paralizzante sul piano pratico, come dimostra la scelta fatta del governo assieme al M5S.
Movimento 5 stelle che rappresenta l’espressione compiuta di un “relativismo politico” appoggiato proprio sul “pensiero debole” (non a caso con un ricasco sull’idea della “decrescita felice”
Il “relativismo politico” fondato sul “pensiero debole” è il punto di comunanza tra M5S e “sardine”.
Non a caso le “sardine” sono appoggiate da un lato da forze residuali di settori del cattolicesimo democratico e dall’altro – neppure troppo paradossalmente – da fautori del pensiero sulle “moltitudini” e da movimentisti ex-Lotta Continua.
Dal nostro punto di vista si tratta, allora, di individuare prima di tutto in una ripresa del “pensiero forte” un filone di razionalità concreta e di realismo storicista.
Proprio che da lì si dovrebbe ripartire quando si pensa al “ricominciamo” a sinistra.
La prima proposta che, si può avanzare sul piano teorico, è quella del passaggio dal “pensiero debole” al “pensiero forte”.
Serve una nuova concezione dell’ideologia, da cui non scaturisca né una teoria della dittatura, né una teoria contrattualistica della democrazia, ritornando all’idea che la politica non debba avere come “oggetto” soltanto il potere.
Un’ideologia che proponga, invece, una critica della concezione della politica quale mera sfera della mediazione e della rappresentatività con un’interpretazione attiva del rapporto tra struttura e sovrastruttura.
Un rapporto,quello tra struttura e sovrastruttura profondamente modificatosi, in questi ultimi tempi, soprattutto a causa dell’innovazione tecnologica sul terreno della velocizzazione dell’informazione e, di conseguenza, di profondo cambiamento dell’antico meccanismo della globalizzazione economica, culturale, sociale.
Il cambiamento nel meccanismo della globalizzazione e l’entrata in scena di nuovi attori sul piano mondiale ha così provocato la reazione isolazionista fondata sul rifiuto della cessione di sovranità da parte dello “Stato Nazione” e la (stupida) riaffermazione identitaria.
Deve essere introdotta, a questo proposito, una nuova concezione della soggettività “non presupposta ma posta; non individuale ma collettiva”, puntando alla costruzione di un “blocco storico”, da realizzarsi proprio attraverso le categorie d’uso della politica (dizione riunificata, a livello europeo, delle tre versioni anglosassoni di policy, politcs, polity), allo scopo di esprimere l’unità di un processo storico reale, quale soluzione non speculativa del rapporto d’implicazione tra economia, politica e storia realizzando così il momento egemonico della volontà politica.
Un filone colpevolmente trascurato nell’itinerario teorico e politico della sinistra italiana fin dalla fine degli anni ’80 e che, invece, proprio in questa fase vale la pena di riprendere appieno.
FRANCO ASTENGO
19 dicembre 2019
[Questo intervento è propedeutico al seminario che si terrà sabato 28 dicembre 2019 con inizio ore 10,30 presso la sede del Circolo “Aldo Capitini – Guido Calogero” in Vico Sant’Antonio 5/3A, Genova (traversa Palazzo Reale – Via Balbi): “IN NOME DELLA COSTITUZIONE, DIALOGO GRAMSCI-MATTEOTTI: Manifesto politico per un nuovo ordine economico e sociale” su iniziativa di Franco Astengo e Felice Besostri]