Sta messo davvero male l’Occidente se è costretto a rilanciare la guerra fredda solo per trovare legittimità a se stesso, come fa la premier britannica May dopo il disastro della sua leadership e del suo governo a seguito della scellerata Brexit; e come si atteggia il presidente Usa Donald Trump nel caos del cambio di casacca con i tanti ministri buttati via mentre resta sotto tiro manco a dirlo proprio del caso Russiagate, vale a dire l’accusa della presunta influenza russa sulla sua vittoria e quindi sulla debacle dei democratici che invece deriva dai fallimenti americani nelle troppe guerre mediorientali ancora in corso.
I fatti: a due settimane dalle presidenziali in Russia dove resta vieppiù – dopo questi fatti – scontata la vittoria di Putin, esplode il caso avvelenamento da gas Sarin per un vecchio arnese dello spionaggio russo condannato in patria 12 anni fa e scambiato con dieci agenti di Mosca; le immagini delle indagini parlano chiaro: tute marziane iperprotette – a fianco a dire il vero di poliziotti (bobby) non protetti e più tranquilli che mai – in un quartiere di Salisbury dove potrebbero essere centinaia i contaminati; dopo il caso Litvinenko la premier May non ha dubbi, accusa Mosca ma a richiesta delle prove, le nega e invece caccia 23 funzionari dell’ambasciata russa a Londra, e convoca il Consiglio di sicurezza dell’Onu dove l’Occidente tutto – compresa l’Ucraina che di imbrogli se ne intende – si schiera al suo fianco dimentico del fatto che il gas Sarin, com’è già accaduto per la Siria nel 2013 quando si ventilava l’intervento Usa ancora con Obama, non è appannaggio esclusivo dei laboratori russi; e con un roboante Trump che non vede l’ora di dimostrare la sua innocenza sul Russiagate e avvia nuove sanzioni; tra gli effetti collaterali della mossa di May, resta nell’angolo perfino Jeremy Corbyn – l’unico che ha avuto il coraggio ai Comuni di ricordare che la Gran Bretagna ha con piacere accolto una montagna di capitali degli oligarchi in fuga dalla Russia e in guerra fra loro – accusato dalla stampa di destra e non solo (v. L’Independent ora di proprietà di un oligarca russo anti-Putin) di essere stato una spia del Cremlino.
A ben vedere non è il rilancio della guerra fredda, è molto peggio. Lo stesso avvenimento storico, ricordava Carlo Marx, non si ripete due volte nello stesso modo, la seconda volta è farsa. Di farsa si tratta, ma pericolosissima.
Perché se fosse vero, vista la sostanza impiegata capace di mettere a repentaglio la vita stessa dei cittadini, sarebbe senza dubbio un attacco armato ad un Paese sovrano. Non un attentato qualsiasi, ma una tentata strage di massa. E non c’è davvero bisogno di sentire il parere dello scrittore dissidente Limonov come già il Corriere della Sera per porsi la domanda lancinante: ma a chi può convenire un tale scenario che supera di gran lunga le spy story fin qui raccontate. Perché la deflagrazione che annuncia è davvero storica. E dimostra che, pur non esistendo più l’impero del male di reaganiana memoria, l’Unione sovietica che ha ammainato la bandiera l’ultimo giorno del 1991, c’è l’urgenza esiziale di trovare un nemico per continuare la storia, quella unica del neoliberismo e delle sue appendici istituzionali.
Altro che democrazia: la crisi del 2008-2009 è tutt’altro che superata, i paletti che vengono messi soccorrono la prepotenza del finanz-capitalismo dove il welfare è solo un residuo, l’Unione europea fin qui realizzata è uno specchio rotto, dalla secessione della Brexit, dalla xenofobia di sistema del Gruppo di Visegrad, dall’incerto status della Spagna; sorretta solo da chi, come la Grecia, ha creduto nel diktat eterodiretto dei bilanci statali. La natura della democrazia europea è al collasso: alla prova della conferma ed estensione dei suoi diritti fondanti con il nodo delle migrazioni, vacilla aprendo ovunque le porte a dinamiche identitario-autoritarie che ne minano ormai la ragione d’esistenza. Unico strumento esistente, che gestisce il militarismo democratico, resta la Nato che schiera armi e missili allargandosi irresponsabilmente a Est, ai confini della Russia.
Dove il modello della devastazione jugoslava, favorito dall’Europa che si unificava, già ammiccava ma alla fine non c’è stato; e dove Putin ha avuto il solo merito di risollevare dalla fame del periodo di Eltsin un Paese intero che era in preda agli apparati di partito diventati padroni delle privatizzazioni e alla nuova classe degli oligarchi, in una chiave non più socialista ma iper-nazionalista grande-russa. E che per questo torna a giocare un ruolo, a volte risolutivo nelle crisi internazionali (Iran e Siria) e, con la Cina, nell’economia globalizzata. Così stavolta il conflitto da ideologico diventa pratico, strumentale.
Peggio della guerra fredda si riattivano le guerre commerciali, torna la parola dazio, tornano i muri e le frontiere. E piovono spie da “fuoco amico”, come nel caso delle esplosive rivelazioni sullo spionaggio a danno dei leader europei, Hollande e Merkel, da parte dell’intelligence Usa. Senza dimenticare il doloroso caso Snowden originato, è bene ricordarlo, dalla denuncia del nuovo sistema di controllo e spionaggio informatico pervasivo dell’intera società occidental-orwelliana. E noi, a partire dall’Europa, siamo i protagonisti di questa barbarie. Peggio, molto peggio della guerra fredda, torniamo sull’orlo del conflitto atomico. E senza sapere perché.
TOMMASO DI FRANCESCO
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