Patridioti e patrioti nella conclamata inedia parlamentare

Avere considerazione per la democrazia, in particolare per quella parlamentare, esige una indignazione notevole per un’aula sconsideratamente vuota al momento della presa in carico da parte della Camera dei...

Avere considerazione per la democrazia, in particolare per quella parlamentare, esige una indignazione notevole per un’aula sconsideratamente vuota al momento della presa in carico da parte della Camera dei Deputati della legge sul “Fine vita“.

Su 630 rappresentanti della Nazione, soltanto una quindicina relazionano e ascoltano un dibattito praticamente inesistente. Varrà anche la prassi per cui, se sei consapevole che la legge di bilancio e altre urgenti decretazioni ostruiranno i lavori delle Camere in queste settimane pre-natalizie, eviti di partecipare ad una seduta che certamente sarà rinviata nei successivi primi mesi del 2022, ma non è una buona ragione per creare alibi di qualunque sorta.

La crisi della democrazia è evidente. Da molto tempo. Ma adesso si stanno aggiungendo alcuni tasselli preoccupanti ad un mosaico che ritrae una voglia sempre maggiore di sostituzione del parlamentarismo con una forma presidenziale per la Repubblica.

Il peso delle riforme strutturali imposte dalle concessioni economico-finanziarie dell’Europa attraverso il PNRR si fa sentire in tutta la sua miliardiaria portata, condizionando gli sviluppi di una politica deprimente, ridotta a combriccole di palazzo che sono preda di una sindrome di Stoccolma istituzionalizzante, plaudendo e guardando estasiate all’esecutivo che, con la proroga dello stato di emergenza fino al 31 marzo, si attribuisce pieni poteri per affrontare la pandemia ma, soprattutto, per gestire senza troppi intoppi il collegamento tra questa e le vere ragioni economiche alla base del comportamento governativo.

In tutto questo scenario, davvero sconvolgente, il Parlamento della Repubblica non è nemmeno più un mero ratificatore delle decisioni draghiane: sembra essere caduto in una vera e propria catalessi afasica e abulica. Ogni volta che il governo induce le Camere a discutere di un tema, queste si mostrano sempre pronte a farlo, per obbedire celermente alla volontà della Presidenza del Consiglio.

Ma quando, come è nella sua specifica natura costituzionale, il Parlamento deve iniziare da sé stesso una discussione, ampliarla, produrre emendamenti, aprire varchi critici e quindi stimolare la vera dialettica tra le forze politiche, ecco che la volontà viene meno, l’inerzia prende il sopravvento e tutto langue, si rinvia, si sospende a data da destinarsi.

Perché – si dice – i problemi adesso sono ben altri: la legge di bilancio, la gestione della crisi sanitaria, l’elezione del Capo dello Stato. Sembra non vi sia proprio tempo per poter iniziare – dopo ben sei anni che la proposta di legge giace nelle commissioni della Camera dei Deputati – un aperto, franco confronto sui temi della fine della vita di ognuno di noi qualora ci si trovi nelle condizioni di una sofferenza tale da essere insostenibile la continuità dell’esistenza…

Intanto, mentre soltanto una quindicina di deputati fanno finta di aprire un dibattito sulla legge riformulata sulla base delle indicazioni della Corte Costituzionale, fuori dal Parlamento il clima politico si surriscalda quel tanto da riesumare ferrivecchi patriottardi per provare ad egemonizzare inculturalmente una società che sta perdendo tanti, troppi punti di rifermento. Così, Giorgia Meloni, appagata dalle passerelle di quasi tutti i leader politici alla festa dei giovani del suo partito neonazionalista e conservatore, sovranista e “patriota“, interviene sull’elezione del Presidente della Repubblica reclamando al Quirinale proprio una persona sacralmente fedele alla Patria.

Con un Parlamento in preda all’inedia, il dibattito su cosa e su chi si debba considerare “patriota” è solamente un inutile diversivo per provare a creare una nuova (ma nemmeno poi tanto…) divisione verticale nel Paese: tra chi essendo tale è italianissimamente italiano e chi invece, disdegnando di attribuirsi quell’etichetta, pur volendo bene ad una certa idea dell’Italia, viene considerato un anti-italiano. Che poi, a dirla del tutto apertamente, altro non è se non la nostalgica riproposizione di una indebita, abusiva e irriverente equivalenza tra il termine “patriota” e il termine “camerata“. I fascisti di un tempo e i neofascisti sovranisti di oggi, pur dovendosi mostrare interessati alle ragioni della democrazia e al rispetto formale delle altrui opinioni, quello intendono quando pensano alla Patria.

L’egemonia anticulturale e antistorica della destra quasi sempre sottende un revisionismo becero che si vuole imbellettare con fregi moderni che, abusando proprio della libertà di parola, creano i presupposti per una libertà di inganno verso cui si dovrebbe avere una bella dose di anticorpi prodotti dalla conoscenza della storia del Paese e da quella della sua evoluzione post-bellica, dalla sua Costituzione. Troppe volte la democrazia è stata utilizzata per aumentare il contrappeso dell’a-democraticità delle istituzioni e per diffondere il virus della necessità dell'”uomo solo al comando“, dei “pieni poteri“, del “presidenzialismo” come chiave di volta del futuro di una Repubblica dove il Parlamento deve contare sempre meno.

Il pericolo che ci si abitui progressivamente ad una torsione autoritaria, senza nemmeno intuirne i rischi, è un concreto e reale; per cui occorre mettere in campo quella vigilanza repubblicana che unisca tutte le forze democratiche, sociali, sindacali e politiche, culturali, scolastiche, artistiche e scientifiche per rinsaldare la maggioranza del Paese in un patto propositivo che rinverdisca non soltanto l’antifascismo come religione civile della Repubblica Italiana, ma un più ampio sentimento culturale, storico-attualistico che rifiuti ogni tipo di superamento dell’equipollenza dei poteri dello Stato.

Se la centralità del Parlamento viene subordinata al decisionismo governativo, espresso per giunta da un Presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini, quindi investito di un mandato popolare che ne santifica le funzioni senza renderlo più responsabile davanti al giudizio delle Camere, anche la formazione delle leggi ne subisce un contraccolpo non indifferente.

In questo modo si sposta il cuore delle istituzioni dal legislatore, costituzionalmente predisposto a questo ruolo, all’asse Palazzo Chigi – Quirinale, con il rischio di mettere sotto il controllo del governo tutta una serie di prerogative che sono invece oggi garanzia di terzietà rispetto al potere dell’esecutivo: dalla presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura, quindi al diretto rapporto con essa, al controllo delle forze armate, di cui il Capo dello Stato ha il comando.

Revanchismo patriottardo dei sovranisti, vuoto parlamentare che si rende manifesto in questi giorni in tutta la sua scarna nudità, sommati oltremodo al protagonismo governativo che si attribuisce (previa approvazione di una legge da parte delle Camere, atto dato per scontato, a differenza della discussione sulla legge concernente il “Fine vita“…) i pienissimi poteri per la gestione emergenziale pandemica, ce n’è abbastanza per farsi attraversare da un brivido di avvertimento sulla tenuta della democrazia nell’Italia del prossimo 2022.

I neologismi sono degli utili dispositivi linguistici per ricollocare al loro posto persone, cose, vecchie arnesi del passato che non passa e nuovi strumenti di un futuro che gli vorrebbe adeguare. Qualcuno ha diffuso sui social la foto di Sandro Pertini e ha giustamente reclamato per il Presidente partigiano l’antonomasia del “patriota“. Per una idiosincrasia del tutto oggettiva, non può essere patriota un resistente accanto ad un sovranista. E viceversa. Né storicamente e né tanto meno attualmente parlando.

Ai sovranisti che sostengono di amare la Patria (ma molto poco la Repubblica), spetta una distinzione in tal senso: così come i fascisti di Salò erano spregiativamente definiti “repubblichini” (meschini, piccoli, al servizio di due dittatori), così i neofascisti di oggi possono essere agevolmente chiamati “patridioti“. E non c’è bisogno di spiegare la crasi, si spera… Ma c’è bisogno di attenzione verso il ruolo del Parlamento, verso quello scollamento pericolosissimo tra i bisogni sociali e la percezione istituzionale dei medesimi. L’allarme va lanciato per tempo. E siamo già colpevolmente in ritardo.

MARCO SFERINI

14 dicembre 2021

foto: screenshot

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