Un articolo di Claudio Tito apparso su Repubblica il 7 febbraio ha affrontato il tema dell’alleanza di governo definendola “senza identità” e assegnando la responsabilità di questa carenza al M5S.
L’articolo così si conclude: “L’esecutivo Conte, per andare avanti, ha bisogno di un’anima, L’M5S ce l’ha ? Ora deve scegliere. Ricordando quel che disse Benito Mussolini nel 1922: “Noi ci permettiamo di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti e illegalisti, di destra o di sinistra a seconda delle circostanze di tempo, luogo e ambiente”. Non un bel precedente”.
Un richiamo secco quello di Tito che deve essere rivolto anche a quella parte di PD e di sinistra che pensa a fare del M5S un alleato organico anche per ipotesi di governo non solo a livello nazionale ma anche nelle Regioni e negli Enti Locali.
Se si analizzano compiutamente i fattori di nascita e di crescita del MoVimento ci si accorgerà che, dati per concessi i mutamenti storici avvenuti nel frattempo, gli accostamenti con il fascismo non sono difficili da trovare.
Così mi sono rifatto ad un testo redatto personalmente nell’ottobre 2013 nel quale si cercava già di sintetizzare alcuni elementi di comparazione tra il fascismo e il M5S.
Il MoVimento in allora era ancora dominato dalla figura di Beppe Grillo ma già aveva avuto nelle elezioni svoltesi in quell’anno un risultato rilevantissimo al punto da costringere PD e Forza Italia ad un governo di unità nazionale: il governo Letta precedente all’avvento di Renzi.
Il primo punto che si segnalava già a quel tempo era quello dell’esasperazione nel meccanismo della personalizzazione della politica. Fenomeno già portato avanti da Silvio Berlusconi, creatore di una “forma – partito” assolutamente inedita anche nel panorama internazionale, quella del “partito – azienda” retto – ovviamente – da un solo “dominus”, il padrone.
Una personalizzazione della politica poi estesasi a tutti i livelli centrali e periferici e alimentata a sinistra dal micidiale meccanismo delle cosiddette “primarie”. “Primarie” vissute esclusivamente attraverso il meccanismo dell’individualismo competitivo. “Individualismo competitivo” che successivamente ha costituito l’elemento di sviluppo nella struttura politica del MoVimento.
Strada facendo il meccanismo della personalizzazione della politica si è intrecciato con la vera e propria “desertificazione” del sistema politico (fenomeno verificatosi non solo a sinistra, attenzione!). Una desertificazione già avviata a suo tempo con la liquidazione del PCI. Grillo, così come Renzi (qualcuno, in verità, ci aveva già provato prima di loro compreso lo stesso Vendola) e poi Salvini sono stati il prodotto di questa situazione che ha ridotto i partiti e segnatamente il PD a vivere esclusivamente della “volontà di potenza”.
Personalizzazione e volontà di potenza, quindi, il mix utilizzato da Grillo e anche da Renzi e poi da Salvini: un intreccio che ha finito con il produrre il ritorno ad un ruolo, nel sistema politico italiano, del “Führerprinzip”. Grillo, Renzi, Salvini hanno finito tutti e tre con l’esprimere una filosofia del tipo “o con me o contro di me” (“Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi”);
Il terzo elemento che mette assieme l’analisi sul fascismo e sul M5S (e ancora sul PdR e poi sulla Lega) è quello del richiamo alla piccola borghesia consumista sollecitandone le pulsioni più immediate come era avvenuto attraverso il Vday, poi con la “rottamazione” e ancora con il nazionalismo di un “prima gli italiani” abbondantemente venato di razzismo. Piccola borghesia consumista dagli appetiti magari malsani che, in una società complessa come l’attuale, può ben ricoprire il ruolo di rompere (agitando anche falsi obiettivi) la forza dei ceti subalterni.
Naturalmente questa piccola borghesia consumista dagli appetiti malsani non approderà mai alla gestione effettiva del potere, ma sarà portata a spasso dai diversi “pifferai di Hamelin” che via via hanno cercato e cercheranno di carpirne il consenso. Nella realtà, coperta dall’illusione mediatica e del web, tutti sanno bene che l’antica dittatura della grande finanza – in particolare in questo momento – appare del tutto inscalfibile così come il peso del quadro di relazioni internazionali retto dal cozzo di reciproci enormi appetiti da parte delle apparentemente “grandi” potenze;
Come accadde più di novant’anni fa con il fascismo (quello arditesco, agrario, nazionalista) le diverse anime del M5S si sono saldate nel nome della comune avversione verso il mondo del lavoro e del rifiuto di una rappresentanza politica a esso collegata nell’espressione di bisogni e di idealità poste nel quadro di una proposta di trasformazione (eguale accostamento vale per Renzi e la Lega di Salvini).
Il M5S invece è stato finora in piedi nell’espressione di una politica di potenza appoggiata indistintamente da soggetti opachi dal punto di vista degli intendimenti democratici come ha dimostrato la costante ostilità verso il Parlamento espressa soprattutto nell’occasione della riduzione del numero dei parlamentari.
Questo scenario, del tutto disastroso, presenta già tratti di un’involuzione di tipo sostanzialmente autoritario attraverso lo scostamento progressivo dal dettame costituzionale ed è ben presente nelle possibilità di sviluppo della nostra situazione politica.
Naturalmente esistono margini per aprire una fase molto più complessa rispetto al possibile ruolo del M5S ma eguale discorso può valere anche per la Lega, a partire dal tema del governo delle autonomie locali e del richiamo all’antica vocazione autonomista, pur essa malamente declinata nel corso del tempo.
Modificare il quadro presente potrà essere probabilmente l’avvio di un processo graduale di disarticolazione ma per avviare un processo positivo la condizione rimane quella di investire l’intero sistema politico di una presenza di sinistra d’alternativa capace di una propria autonoma progettualità sistemica: purtroppo una soggettività utilizzabile in questo senso appare ancora lontana da costruire e/o ricostruire.
FRANCO ASTENGO
8 febbraio 2020
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