La pace non fine a sé stessa? E a cos’altro dovrebbe servire? La pace si fa per la pace e non per fingere di smettere combattimenti che poi riprenderanno in altri modi, in altre maniere. La pace è pensabile soltanto se asseconda il pragmatismo delle politiche dei governi? Se comprende la politica internazionale fino in fondo, lasciando perdere le utopie di quegli strani marziani che sono i nonviolenti?
Caspiterina! Se siete nonviolenti, allora dovreste rinnegare la lotta partigiana, la guerra giusta. Nessuna guerra è giusta e i partigiani, di certo, avrebbero preferito vivere senza il fascismo alle spalle delle loro giovani esistenze; senza imbracciare dei fucili e uccidere un nemico che aveva fatto dell’Italia un grande, immenso cimitero di coscienze, di sopravvivenze e di vite trascinate ai bordi di strade lastricate di botte e reprimende.
Gli altoparlanti annunciavano, come le veline hitleriane, che la guerra si andava programmando per poter poi sedere ai tavoli della pace. La pace, ancora. La pace, sempre. La inflazionano nei loro discorsi soprattutto gli autocrati più pericolosi. Ma non di meno i presidenti democratici, quelli dal piglio argutamente liberale e liberista: quelli che si affannano ad esacerbare i toni antidiplomatici, che rivendicano un ruolo per un’Europa che non ha la più pallida idea da dove proviene e dove va.
La pace della piazza che inneggia a questa Europa è una pace non finta, ma almeno un po’ ipocrita: riesce ad essere bugiarda nella bugia, perché non può confessarsi di predicare bene e razzolare male. Oggi sventola l’arcobaleno e domani vota i crediti di guerra. Per metà. Perché l’altra metà del PD si astiene: la complessità della politica è oggettiva e naturale. Ma non dovrebbe mai tradursi nel discapito, nel nocumento, quanto, semmai, nel cercare di semplificare l’intricato.
Tagliare i nodi gordiani è facile, ma non risolutivo. La piazza non sarà quindi una soltanto. Saranno le piazze per la pace. C’è chi punta comunque sul valore della partecipazione, quasi a prescindere. Non c’è che dire: in tempi di disaffezione esponenziale, dove non si vede la fine del tunnel del disprezzo per la delega democratica, si inizia da qui per sincerarsi che, tutto sommato, l’eco del richiamo girotondino abbia un qualche riscontro.
Serra chiama, la piazza risponde. La pace, come la vergogna, sono concetti che si utilizzano a buon mercato: vanno bene un po’ sempre, stanno bene su tutto. Chi rivendica il diritto dell’Ucraina di difendersi finge (ma poi finge davvero?) di non aver capito che la guerra è della NATO ed era degli Stati Uniti di Biden contro Putin che ha dato una svolta orrorifica al già orribile conflitto decennale in Donbass.
Chi spaccia tutto questo come “aggressione russa“, semplifica molto, banalizza tanto, disconosce il pregresso attualistico-storico degli eventi. L’Alleanza atlantica avanza ad est e l’est dovrebbe stare a guardare? Azione e reazione sono fattori naturali del comportamento della Natura con la enne maiuscola: figuriamoci se non possono esserlo dell’essere umano come ultima, notevole evoluzione della materia che si mortifica nel cattivo utilizzo della grande mente che ha sviluppato.
Ma l’Occidente si racconta la favola bella del mondo dei buoni contro quello dei cattivi: di buoni se ne vedono pochissimi e di cattivi tantissimi. L’ultimo rimasto era il papa: una voce davvero di pace. Una voce importante. Adesso non può parlare, ma almeno sappiamo che c’è. Però, chi può cannoneggiare lo fa, chi può spadroneggiare lo fa, chi può permettersi tutto e il contrario di tutto, se lo permette.
Trump rovescia i tavoli dei risiko di un multipolarismo che vorrebbe ricondotto alla ragione dell’unipolarismo a matrice statunitense. Un progetto di neoimperialismo globale in cui la contesa è tra Washington e Pechino. La piazza della pace di Serra plaude ad una Europa che si riarma e che intende inserirsi in questo scontro con ottocento miliardi di euro in cannoni, carri armati, droni di ultima generazione.
L’Italia fa la sua parte: cinquanta miliardi di euro. Pronti, pronti. Il ministro Urso ci mette del suo: se la produzione metalmeccanica non può ritornare a fare macchine, automobili e quant’altro, allora si riconverta bellicamente. Nell’economia di guerra potevano mancare le industrie di guerra? Certo che no. Putin riconquista intanto il Kursk e consente a Trump di rinfacciare a Zelens’kyj che non ha le carte da dare, che non può trattare in prima persona.
La guerra è sfuggita di mano a tutti: l’autocrate russo che all’opinione pubblica in qualche modo deve rendere conto della lungaggine bellica; il presidente ucraino che sembra avere sempre meno il controllo della situazione e l’appoggio popolare (di quello militare non si sa…); il presidente americano messo alla riserva: il bidenismo è già un vecchissimo ricordo di un’America logorata dalla sua sete di farsi sempre più grande.
Le piazza della pace avrebbe dovuto essere unica ed avere come piattaforma il disarmo. Invece quella di Serra è una genericissima, ruffiana piazza “per l’Europa”. L’Europa di von der Leyen? Non può essere la piazza della pace quella: potete portarvi tutte le bandiere arcobaleno che volete, ma il sostegno a questa gestione dell’Unione è direttamente uno schierarsi con una idea di controffensiva bellica che viene posta a fondamento del prossimo futuro del Vecchio continente.
Perché non si ha il coraggio di dire che riarmo e pace sono incompatibili? Nel nome della difesa comune si afferma che invece sono quasi sinonimi. Siamo ad aberrazioni di questo tipo perché la menzogna diventa cifra di governo quando è necessaria la confusione dell’opinione pubblica che non deve poter distinguere nettamente tra un futuro di stabilità sociale e una economia di guerra che serve ai traffici internazionali.
Questa nemmeno tanto sottile ambiguità è la demoralizzazione di un progressismo che si autoconsola pensando ad un futuro ruolo di governo al posto del melonismo: faranno politiche di guerra compatibilmente con lo standard del ReArm, nel nome della difesa comune, magari pensando di richiamarsi all’articolo 11 della Costituzione repubblicana. Non ci si può mica più stupire di nessun paradosso, visto che non esiste una verità condivisa.
Ognuno interpreta la realtà non secondo i fatti storici, ma secondo l’ambizione politica di poter essere il nuovo esponente di un centrosinistra di governo che gestisca anche questi sporchi affari. Tutto questo, è evidente, non può essere condiviso da una sinistra invece che dell’internazionalismo fa ancora oggi una delle sue cifre fondanti: la pace per la pace e non come assenza di guerra.
La pace come fine dell’economia di guerra e non come riconversione industriale parziale o totale da una produzione civile ad una militare. La pace come progetto di governo su cui far crescere una nuova giustizia sociale. Ma se la mettiamo così, l’accusa di idealismo, di utopizzazione della realtà, di sogni ad occhi aperti è bella e servita dai benpensanti che calcano palcoscenici, fanno comparsate un po’ ovunque per spiegare le ragioni delle contraddizioni che non negano.
Lì, nelle contraddizioni più eclatanti vive la fervida ragione dell’ambiguità che è NECESSARIA. A caratteri cubitali. Niente mezze misure, dunque? Tutt’altro. Solo mezze misure: perché il compromesso è un gradino più in basso di una compromissione letta ed enunciata come l’essenza di una politica vera e non come il rincorrere gli acquiloni arcobaleno che non si prenderanno mai.
Utopia aveva, del resto, una sorella maggiore – cantavano I Nomadi – che si chiamava “Verità senza errore“. Mica vorrete dire al PD che il travaglio che sta vivendo è colpa della sua stessa essenza bipolare e bipartitica, erede di un sincretismo tra socialdemocrazia e popolarismo unico nel panorama europeo! Però, sapete com’è… in quella piazza di Michele Serra si rischia il compiacimento fine a sé stesso, la convivenza non con il tormento dell’oggi, ma con un ansia del domani affidata al peggioramento delle politiche attuali.
Riarmarsi per difendersi dalla minaccia russa? E da quella trumpiana chi ci difende? L’Europa male in arnese, priva di una vera politica estera, tutta euro, dollari e produzione bellica? Niente stato sociale, niente difesa dai dazi astronomici che il magnate presidente MAGA sta per imporci? Michele Serra rivendica una “ingenuità” della sua manifestazione. E fa bene. Perché ingenua lo è, ma è sconfortante più che altro.
Chi da sinistra vi partecipa pensando di portare lì una voce, un emblema, un presidio di pace per la pace, in mezzo a tanta pace per il riarmo, non crede di essere la quintessenza della scioccante scellerataggine dell’Arlecchino servo di due padroni? Già il Vangelo diceva e dice che non si possono servire Dio e il denaro. Si possono servire al contempo la pace e l’Europa dell’aumento delle spese militari al 5% come vuole Trump o della costruzione di armi pesanti?
Ha notato con particolare acume Piergiorgio Odifreddi che persino il generale Eisenhower metteva in guardia l’Occidente e il mondo intero dal pericolo dell’espansionismo militare e del riarmo a tutto spiano:
«Dobbiamo evitare che il complesso militare-industriale. volente o nolente, acquisti un’influenza ingiustificata nelle sedi governative. C’è già oggi, e ci sarà ancora più domani, la possibilità che aumenti disastrosamente il suo mal riposto potere. Ma non dobbiamo mai permettere che il suo peso arrivi a mettere in pericolo le nostre libertà o il processo democratico. Non dobbiamo mai dare niente per scontato».
Ed Ike non era certo quello che può definirsi un “pacifista“. Per di più, da militare, aveva anche una vena conservatrice di tutto punto. Sapeva, nonostante questa sua postura bellica e politica, discernere tra conservazione della democrazia (almeno formale, ma pure sostanziale) e sviluppo delle armi a tutto spiano. Un governo che diventa produttore di armamenti e fa dell’economia di guerra il suo punto di rinforzo attuale, trovandosi in una oggettiva condizione di inferiorità e debolezza (s’è capito che parliamo della UE?), prepara inevitabilmente altre guerre.
Perché non pensa in termini di difesa, pur proclamandosi il migliore amico della pace, ma di offesa preventiva. Ottocento miliardi di euro sono una cifra esorbitante da investire in armamenti. Basti pensare che, quanto meno fino a due anni e mezzo fa, l’intera spesa mondiale in questo campo ammontava va duemila miliardi di dollari… È chiara la proporzione? La Russia impiegava nel comparto di difesa/offesa sessanta miliardi, aumentanti del doppio con l’invasione dell’Ucraina.
Gli Stati Uniti mettevano nel loro bilancio trecento miliardi di spese militari. L’Europa, oggi, ne mette ottocento. Questa è l’Europa che Michele Serra ritiene capace di essere unita e unitaria in termini di pace? Fatevi la domanda, datevi, se potete, una risposta.
MARCO SFERINI
15 marzo 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria