L’obiettivo? Che il protagonismo di chi ogni giorno vive sulla propria pelle la società che il neoliberismo ha creato si traduca nella necessità di rimettere al centro dell’agenda politica non solo le esigenze ed i bisogni reali di una generazione, ma la connessione tra i momenti più avanzati delle lotte sociali da nord a sud della penisola.
La missione? Far comprendere che sussiste un filo conduttore che lega i luoghi, le soggettività sociali, gli spazi di conflitto, le ragioni di chi ancora urla dei forti NO per renderli tanti SÌ.
La scommessa? Quella di riuscire a trasmettere agli studenti e alle studentesse il fatto che la battaglia contro il caro libri nelle scuole è la lotta per la copertura di tutti gli aventi diritto ad una borsa di studio. Spiegare loro perché la cancellazione dell’alternanza scuola lavoro e l’innalzamento dell’obbligo scolastico sono facce di una stessa medaglia. Per noi si chiama processo di precarizzazione e mercificazione non solo dei saperi, ma delle nostre vite.
La grande opposizione trasversale alla Buona Scuola, che sta crescendo,è insufficiente se e quando non cammina a fianco della rivendicazione sull’abolizione di Job Act e Riforma Fornero, elementi indispensabili oggi per riattivare una visione del lavoro che torni a parlare di diritti e non di braccialetti elettronici, di articolo 18 e non di voucher, di contratti e non di elemosina.
E’ sulla zona grigia rappresentata dall’immissione nel mondo del lavoro che si disegna lo sguardo che abbiamo sulla società del domani.
E’ sul terreno dell’idea che il precariato, sotto le mentite spoglie della “flessibilità necessaria” è diventato regola politica, che è irrinunciabile dare battaglia.
Abbiamo deciso di candidarci per tenere insieme chi ha in mente l’alternativa e chi la pratica, per chi sogna, chi spera, chi perde e si rialza.
Oggi avere la testa e il cuore rivolti a un’ Italia che smetta di privatizzare i settori strategici e far fuggire i giovani laddove invece si punta sui saperi e la ricerca qualificata è il senso del nostro agire.
Ciò ci indica la rotta, quella di un Paese che investa (strutturalmente) sui saperi e non sulla Tav, che ripensi a una politica industriale degna di questo nome e non alle grandi opere che devastano il territorio: tutto ciò significa voler ribaltare lo status quo? Sì, ed è un orgoglio, è una disobbedienza civile del buon senso, di chi è convinto che l’uguaglianza sostanziale valga più di Fiscal Compact, vincoli di bilancio e patti di stabilità. E’ la spontanea direzione collettiva di chi vuole rompere la logica della “scelta del meno peggio”.
Di chi scende in piazza perché non ha dubbi sul fatto che la dignità di un’esistenza e la possibilità di autodeterminarsi in essa siano prioritarie rispetto ad ogni trattato europeo o internazionale che quell’esistenza la soffocano, la limitano, la calpestano.
Oggi immaginare un Paese che finanzi la sanità e il trasporto pubblico, e non le banche d’affari è quindi forse utopistico (nel contesto dato) ma certamente necessario per “rovesciare il tavolo”.
Oggi lottare per redistribuire la ricchezza mentre i governi di “centrosinistra” detassano gli yacht significa da un lato equità, giustizia sociale ma dall’altro significa porsi in antitesi a un modello sociale ed economico idoneo solamente a una gestione recessiva e liberista dell’esistente.
Oggi riprendere per mano il tema dell’universalità dei diritti come presupposto politico e non come boutade elettorale è l’impulso per alimentare una riflessione sulla necessità di essere argine all’inesorabile processo di riduzione degli spazi, dei luoghi e dei tempi della formazione (e della vita stessa) : un concetto da riconquistare declinandolo come opportunità di emancipazione collettiva, sganciato dall’ossessione della produttività, della competitività sfrenata. Qui si radica l’esigenza di essere ancora argine, ora ad una visione intenta a rendere il profitto elemento ineliminabile della nostra esistenza, ora per opporsi alla competizione che diviene parametro di costruzione dei rapporti umani, in luogo di quel tessuto fatto di collaborazione e di solidarietà ormai raffigurato come desueto, lontano.
La decomposizione lenta e inesorabile dei corpi intermedi ha favorito in questo senso un distacco tra il popolo e chi lo rappresenta. Rappresentanti e rappresentati sono oggi categorie a sé stanti, con il vuoto del dibattito politico odierno a fare da spartiacque.
Potere al popolo vuole rimettere in campo energie, volti, storie di lotta. Il senso della nostra partecipazione significa aggregazione di conflitti, radicalità e nettezza.
Riattivare e vivere l’opposizione a questo modello di sviluppo, non solo rappresentarla.
Ed in una campagna elettorale che diventa gara d’appalto tra supermercati che si scontrano per l’offerta migliore, tra promesse improbabili e pulpiti poco credibili (per non dire imbarazzanti ), il senso della nostra candidatura trova il suo impulso e la sua ragione in due assi portanti : il protagonismo delle lotte come strumento per il miglioramento delle condizioni materiali delle nostre vite, e la “bussola” dell’attuazione della Costituzione. Riappropriarsi dei suoi contenuti, metterli a sistema e renderli programma vivente significa ricostruire linguaggi e pratiche politiche perdute.
Significa fare la Sinistra e non una recita già vista. Significa individuare la barricata e non avere dubbi sulla propria collocazione. Organizzare la rabbia, rompere la gabbia.
Con rabbia e con passione.
FILIPPO VERGASSOLA
Esecutivo Nazionale Giovani Comunisti/e