Operazione Valchiria

Manca meno di un anno alla fine delle Seconda guerra mondiale in Europa. Si presagisce che i tempi si stanno accorciando, ma non di quanto. L’ostinata fedeltà al Führer...
Claus Schenk Graf von Stauffenberg

Manca meno di un anno alla fine delle Seconda guerra mondiale in Europa. Si presagisce che i tempi si stanno accorciando, ma non di quanto.

L’ostinata fedeltà al Führer da parte dei tedeschi, nonostante una resistenza interna che agisce ma senza un coordinamento tra forze, tra gruppi e tra culture profondamente differenti tra loro ma – questo è uno dei tratti simili a quella dei partiti antifascisti italiani – simili per il loro fervente antinazismo, è tuttavia segnata da un malumore diffuso che fa pensare all’imminenza della catastrofe.

Il sentimento di rassegnazione comune – notano i rapporti di polizia al ministero dell’Interno e alla cricca che sta intorno ad Hitler – si va sempre più allargando, fino al punto di non attaccare più il distintivo dell’NSDAP all’occhiello della giacca per il funzionario governativo, a quello della divisa per il soldato o l’ufficiale della Wehrmacht.

Per tutto il 1943, il secondo anno in cui le potenze dell’Asse registrano sonore sconfitte su tutti i fronti, si susseguono freneticamente incontri clandestini, in particolare all’interno delle forze armate: la Germania sta perdendo la guerra e, ben presto, gli alleati libereranno, pezzo dopo pezzo, tutto il territorio occupato in Europa e arriveranno fin dentro il cuore del Reich. Il timore che siano i russi ad arrivare per primi, mentre gli angloamericani sono ancora alla prese con l’apertura del fronte italiano, è una paura che rasenta la fobia sociale.

Il bolscevismo è stato descritto dal regime hitleriano come la peggiore furia che si possa abbattere sulla grandezza tedesca, sulla sua purezza, sulla sua incontaminazione: con gli occidentali – pensano i gerarchi nazisti – si può ancora trattare, ma con i russi proprio no. E siccome l’Armata rossa avanza a larghe falcate dalle terre dell’Est, il timore si fa di giorno in giorno più concreto e sempre meno aleatorio.

Bisogna fare qualcosa, bisogna agire. C’è chi è antinazista, un po’ della penultima ora, perché comprende che militarmente la guerra la si sta perdendo e in qualche modo bisogna salvare la pelle, salvare tutto ciò che è salvabile e garantirsi un accreditamento nell’era post-hitleriana che verrà.

C’è chi, invece, ritiene che se la Germania cadrà sotto il peso della resa totale ed incondizionata, dando ragione all’ostinazione del Führer, alla proclamazione della “guerra totale” di cui Goebbels diventerà plenipotenziario, dovrà subire una occupazione permanente, una umiliazione sociale, storica, culturale, civile e morale. E’ una premonizione azzeccata.

E se, poi, non si è completamente avverata è anche grazie a quei tedeschi che decisero di farsi largo, pur nella clandestinità totale, attraverso lo Stato del terrore di quella polizia segreta (la famigerata “Gestapo“, “Geheime Staatspolizei“) con azioni che, se indirizzate a mettere fine alla vita di Hitler, fallirono ma ebbero il merito di creare quello scompiglio tipico delle “quinte colonne“, aiutando in questo modo chi combatteva contro il Reich al fronte e mettendo in risalto che non tutti erano asserviti, non tutti erano disposti a farsi completamente assorbire dal demone (comprensibile) della paura.

Celebriamo qui quelle davvero eroiche gesta, perché la Germania era talmente disgraziata da avere bisogno di molti ardimentosi che mettessero in gioco la loro vita per salvarne milioni. E lo facciamo proponendo la lettura di un saggio scritto da uno degli storici internazionalmente riconosciuto come il maggiore studioso del Terzo Reich insieme a Joachim Fest: il britannico Ian Kershaw.

Di lui abbiamo già proposto un altro studio sul potere carismatico di Hitler e la grande biografia del dittatore in due volumi e in formato economico. Se si vuole conoscere tutte le coincidenze storiche, le eterogenesi dei fini ed anche le casualità che aiutarono il Terzo Reich a sopravvivere fino al maggio del 1945, non si può non leggere Kershaw. Così come non si può prescindere da Fest.

Ed ora proponiamo una lettura più leggera ma da trattare con la dovuta attenzione: lo stile del saggio storico non deve ingannare per la sua fluidità e per i facili accostamenti cinematografici a cui registi e sceneggiatori si sono certamente ispirati. “Operazione Valchiria” (Bompiani, terza edizione 2016) si legge d’un fiato, come un romanzo storico con le tinte fosche di un giallo spionistico di grande azione.

Il colonnello Stauffenberg con i figli

Kershaw qui unisce i panni dello storico a quelli del divulgatore ad ampio raggio. Non parla soltanto ad una platea di di studenti, di appassionati della Seconda guerra mondiale o della brutale, cinica, perversa, immorale e omicida parabola del Nazionalsocialismo nell’Europa del primo dopoguerra.

Si rivolge proprio a chiunque e, per fare questo, elementarizza, ma senza mai scadere in una retorica della banalità (e viceversa), concetti molto complessi, vicende accadute in ambienti in cui i tanti nomi di ufficiali tedeschi e di funzionari dello Stato tedesco si perdono per strada ma alcuni rimangono bene impressi in mente.

Perché sono i protagonisti di quella “notte dei generali” che non vide mai la sua alba. A tentare di ammazzare Hitler provarono in tanti: forse il primo attentato (ovviamente non riuscito…) fu quello di Ludwig Aßner, già appartenente al Partito Comunista di Germania. Ebbe l’idea di mandareal neocancelliere tedesco, in quel febbraio del 1933, una sorta di lettera avvelenata che però fu intercettata. Pare per una soffiata e così non se ne fece nulla.

Poi, nel 1934, fu la volta di un gruppo non ben noto di opposizione al nazismo: quello guidato da Helmuth Mylius, un industriale che aveva fondato il Radikale Mittelstandspartei. Il tentativo di uccidere Hitler fallisce e i congiurati vengono arrestati. Di loro si perde qualunque traccia e la storiografia sembra avere rinunciato a studiare questo episodio pure importante nell’elencazione degli attentati subiti dal cancelliere.

Sempre nel 1934 un altro piano per far fuori Hitler fu studiato da Edgar Julius Jung che scriveva discorsi per l’allora vicencancelliere Von Papen.

La sua prossimità al dittatore gli avrebbe permesso di studiare meticolosamente le dinamiche per metterlo fuori gioco, ma si venne creando una corrente di pensiero (definiamola un po’ approssimativamente ed eufemisticamente così…) che riteneva imprudente assassinare Hitler per ragioni di opportunità politica: se ne sarebbe fatto un martire e il Nazionalsocialismo si sarebbe rafforzato, secondo questa tesi alquanto opinabile. E così, anche in questo frangente, la congiurà evaporò come neve al sole.

Per alcuni anni, dal 1935 al 1938, il regime visse senza alcuna apparente e pratica opposizione: nazificando tutte le istituzioni e adeguando la vita dei cittadini al nuovo ordine politico e sociale. Il consenso per Hitler è pressoché totale: le masse partecipavano ai grandi raduni e la ferocia brutale contro le opposizioni, il crudele razzismo e antisemitismo del regime veniva in qualche modo tollerato e assolto nel nome della ritrovata grandezza di una Germania umiliata dal Trattato di Versailles.

La “cospirazione Oster” (tra i cui congiurati spiccava già il generale Ludwig Beck), nata in conseguenza della crisi dei Sudeti, non ebbe seguito per il risolversi “pacifico” (molto, ma molto tra virgolette) della crisi internazionale che si era aperta; mentre lo svizzero Maurice Bavaud non riuscendo ad avvicinarsi sufficientemente ad Hitler durante una parata, non potè sparargli de visu.

Certamente, tra gli attentati messi in essere contro Hitler, quello di Georg Elser è tra i più noti. Dalla storia di questo clamoroso gesto isolato è stato tratto un interessante film diretto da Oliver Hirschbiegel con Christian Friedel nella parte del taciturno carpentiere che aveva a cuore gli interessi della classe lavoratrice, che votava per il Partito Comunista ma che era anche un devoto protestante.

La bomba che preparò e che mise nella storica birreria “Bürgerbräukeller” dove Hitler aveva tenuto i suoi primi grandi discorsi come leader dell’NSDAP, scoppiò regolarmente ma purtroppo Hitler era già uscito dal locale da tredici minuti. Si può dire, senza ombra di dubbio, che questo attentato è il primo che, per gli effetti provocati (e che avrebbe potuto realmente provocare), ebbe una risonanza mondiale e scosse il regime. Esisteva una opposizione al nazismo in Germania? Oppure, come piaceva ripetere al cerchio magico del Terzo Reich, nello Stato esistevano solo apolitici o sostenitori del partito?

Fu la domanda che iniziò a farsi largo tra le segrete opinioni che ogni tedesco teneva un po’ per sé, perché, anche solo lasciar balenare dubbi di questa natura, si rischiava di finire tra le grinfie della Gestapo.

La Rosa bianca: da sinistra Christoph Probst, Sophie ed Hans Scholl

Fu la domanda che ci si rifece quando i giovani della “Rosa bianca” vennero scoperti e la loro attività di diffusione di opuscoli e volantini, di scritte notturne sui muri di Monaco e di altre città tedesche, contro Hitler e contro il governo nazista, fu classificata ovviamente non come “legittima critica” o “opposizione” ma come “alto tradimento in tempo di guerra“. Il che significava, come significò, la pena di morte per Sophie ed Hans Scholl, per Christoph Probst e per tanti altri appartenenti all’organizzazione.

Una storia emblematica, rivalutata recentemente dalla storiografia e trasposta cinematograficamente nel bel film di Marc Rothermund “La rosa bianca. Sophie Scholl“.

Kershaw, nel narrare per filo e per segno la storia della congiura guidata dal colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, sottolinea un aspetto interessante delle congiure contro Hitler: un prima e un dopo. Prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale furono soprattutto i civili a ideare una opposizione al Terzo Reich ed a mettere in pratica anche attentati dinamitardi come quello di Elser. Dopo questo rapporto statistico si invertirà.

Nonostante la resistenza tedesca abbia continuato a formarsi e a smembrarsi, a rinascere a dissolversi nuovamente, saranno principalmente i militari, visto l’andamento della guerra stessa, a preoccuparsi anzitutto di loro stessi, poi anche del popolo tedesco e della Germania. L'”operazione Valchiria” viene, infatti, suggerita da un militare (Stauffenberg) che però partecipa ad una congiura che ha due braccia: ed una di queste è politica e fa capo a Carl Friedrich Goerdeler.

Già sindaco di Lipsia, è un conservatore come lo sono gli altri nazionalisti che compongono quella che Hitler definirà “la cricca“: l’idea di Germania che questi militari e politici hanno è di un regime che «deve ristabilire la giustizia e la rispettabilità della Patria». I congiurati non vogliono lasciare alle generazioni future l’onta del nazismo come sola coscienza politica del tempo. Tresckow, Beck, Olbricht e lo stesso Stauffenberg sono militari che, sostanzialmente, si ribellano al giuramento fatto ad Hitler ma non a quello fatto alla Germania a suo tempo.

Vogliono che siano gli stessi tedeschi a giudicare il regime e inorridiscono al pensiero che possano essere gli angloamericani o i russi a farlo. L’orrore del nazismo deve essere preso in carico da una nuova coscienza civile, politica e sociale e deve poter così contribuire ad evitare al paese un destino di occupazione, divisione, colonizzazione estera.

«Non è più una questione di obiettivi pratici, ma di dimostrare al mondo e alla storia che, a rischio della propria vita, il movimento resistenziale tedesco ha avuto il coraggio di affondare il colpo decisivo. Tutto il resto non conta». C’è in queste parole di Tresckow una necessità imprescindibile di rivolgersi prima di tutto ad una umanità dispersa dal nazismo, ad una comunità terrorizzata e annientata nei suoi più alti valori storici.

C’è la voglia di rifare della Germania la terra di Lutero, di Goethe, di Wagner e, da buoni conservatori, anche di Bismarck.

Ma c’è prima di ogni altra cosa la volontà di dirlo a tutto il mondo, per evitare che la nazione resti per sempre e soltanto la “Germania nazista“. Kershaw non risparmia ai golpisti tutte le sottovalutazioni e le approssimazioni con cui il colpo di Stato è divenuto azione concreta: errori ne sono stati compiuto a decine. A cominciare dalla non distruzione della centrale di comunicazione della Tana del Lupo, da una mancata occupazione delle radio nazionali, da un permettere a Goebbels di agire indisturbato.

Ma lo storico britannico riconosce che organizzare un colpo di Stato in regime come quello hitleriano, un regime totalizzante, di spietata repressione poliziesca, di negazione totale di qualunque anche blanda critica, era (e rimarrebbe tutt’oggi) una impresa alle soglie della disperazione.

20 luglio 1944. Adolf Hitler e il colonnello generale Alfred Jodl (con la testa fasciata)

Ed è proprio questa che spinge politici e militari ad unirsi e ad assestare quel “colpo decisivo” che, purtroppo, per una serie di circostanze forse imprevedibili (come lo spostamento della riunione dal bunker in cemento alla sala con le pareti in legno per via del caldo in quella fine di luglio), non ottenne lo scopo prefisso: la morte di Adolf Hitler. Tranne qualche bruciatura sui pantaloni e i timpani perforati, il Führer se la cavò e, come era prevedibile invece che la sua megalomania gli avrebbe suggerito, interpretò quello scampato pericolo come un segno, niente di meno, della Provvidenza stessa.

Un segno del destino, se più laicamente lo si vuole appellare. Ma un segno che gli permise di autorizzare, ora anche con l’approvazione di una parte dell’esercito che gli era sempre stata ostile, una repressione terribile. Le cifre degli assassinati dopo il colpo di Stato fallito non sono precise: si parla di migliaia di arresti e di condanne a morte improvvisate, oltre di quelle comminate dalla voce tonantemente distorta dall’ira del Presidente del Tribunale del Popolo: il servilissimo ex commissario sovietico Roland Freisler.

In appendice al saggio di Kershaw si possono trovare le istantanee di quei giorni e una serie di documentazioni davvero interessanti per capire la frenesia e la concitazione della giornata del 20 luglio 1944. Una data che andrebbe ricordata come il tentativo di rinascita di una Germania soffocata dall’ambizione di una cricca di spietati assassini, privi di empatia e tronfi, supponenti teorizzatori della superiorità di un popolo stanco dell’asfissia illiberale e totalitaria, esangue per una guerra che sarebbe finita con 54 milioni di morti e tanti sopravvissuti comunque morti dentro. Per sempre.

OPERAZIONE VALCHIRIA
IAN KERSHAW
BOMBIANI
€ 11,00

MARCO SFERINI

5 luglio 2023

foto: particolare della copertina del libro / altre foto tratte da Wikipedia


Leggi anche:

categorie
la biblioteca

altri articoli

  • Demetrio Pianelli

    Rileggere dopo trent’anni il “Demetrio Pianelli” di Emilio De Marchi (edizioni varie, tra cui Oscar Mondadori con introduzione di Giansiro Ferrata) è fare un tuffo nei propri studi liceali...
  • Canne al vento

    Là sulla costa tirrenica della Sardegna guarda al mondo che le si prospetta innanzi una giovane ragazza. La sua fuga dalla benestante famiglia nuorese è un volo pindarico, un...
  • La morale anarchica

    Sia permessa una premessa. Di carattere un po’ personale. Ma, come per molti giovani studenti universitari, c’è stato un tempo in cui anche io ero stato piuttosto affascinato dall’ideale...
  • Nexus

    Yuval Noah Harari aveva già sorpreso con “Da animali a dei. Breve storia dell’umanità” (2014), sempre edito da Bompiani. Ora torna a sorprenderci, per la chiarezza della sua esposizione...