Operazione nazional-popolare

L’operazione è tutta “nazional-popolare”: non c’è che dire, magari non la si potrà definire proprio “un colpo di genio”, ma di sicuro contenendo qualche sregolatezza eppur vero che si...
Lino Banfi e Luigi Di Maio

L’operazione è tutta “nazional-popolare”: non c’è che dire, magari non la si potrà definire proprio “un colpo di genio”, ma di sicuro contenendo qualche sregolatezza eppur vero che si porta dietro anche una mezza genialata.

Scavalcare la propaganda leghista sui migranti con il reddito di cittadinanza non è facile, soprattutto se attorno all’idea che ci si sta collettivamente facendo in merito alla misura introdotta dal governo giallo-verde girovaga lo spettro dei tanti paletti che devono essere evitati per arrivare ad usufruire della carta prepagata con sopra l’agognato reddito.

Così, affiancare Lino Banfi a questo evento, presentarlo come testimonial del governo italiano per l’Unesco, fa prendere due piccioni con una fava: amplia mediaticamente l’attenzione sull’evento e diventa redditizio (in tutti i sensi) anche per rilanciare l’immagine del Movimento 5 Stelle come forza popolare, per provare ad arginare l’emorragia di consensi che quei cattivoni dei sondaggisti attribuiscono a quella che oggi è ancora la prima forza politica italiana.

Non credo ci sia nulla da ridere, anche se satira e ironia fanno parte del carattere umano e quindi è impossibile frustrarle nel cantuccio ed impedire loro di esprimersi anche quando magari si dovrebbe provare ad essere un po’ più seriosi.

Non c’è nulla da ridere prima di tutto perché è tutto vero e non siamo in un film come “Il commissario Lo Gatto” o “Spaghetti a mezzanotte”: del resto la figura dell’attore pugliese, da sempre dichiaratamente di destra e moderato, pur avendo fatto una battuta infelice sui “plurilaureati” (che non si capisce perché mai dovrebbero essere contrapposti a coloro che sorridono…), ha mostrato un volto umano parlando di nonni come “patrimonio dell’umanità”, aggiungendo alla già inflazionata etichetta di “governo del popolo” un tratto molto familiare, quasi da focolare domestico.

Nemmeno Renzi era arrivato a queste pensate: alla Leopolda si dava il palco a giovani studenti, precari, a sindacalisti e ogni tanto veniva fuori qualche intervento “fuori dalle righe” e faceva un po’ di clamore ma nulla di nazional-popolare. Non è, in effetti, nelle corde del renzismo affiancarsi anche solo metaforicamente o virtualmente troppo ai sentimenti popolari, ma fermarsi alla demagogia spicciola, quella che prima o poi viene scambiata giustamente con l’arroganza e messa da parte con l’arma del voto popolare.

L’errore della cosiddetta “sinistra”, di un PD che ha perso l’anima della sinistra e che ha funzionato come destra economica per molti anni, è proprio questo: essere stato ed essere così proteso nei confronti del sistema capitalistico (dalle banche alla finanza mondiale) e tentare al contempo di riunire in sé gli opposti per un mero gioco di tenuta di un consenso veramente popolare (quindi dei più deboli di questa società) a politiche veramente impopolari (quindi di tutela e protezione dei più forti di questa società).

L’operazione è tutta “nazional-popolare”: non c’è che dire, magari non la si potrà definire proprio “un colpo di genio”, ma di sicuro contenendo qualche sregolatezza eppur vero che si porta dietro anche una mezza genialata.

Scavalcare la propaganda leghista sui migranti con il reddito di cittadinanza non è facile, soprattutto se attorno all’idea che ci si sta collettivamente facendo in merito alla misura introdotta dal governo giallo-verde girovaga lo spettro dei tanti paletti che devono essere evitati per arrivare ad usufruire della carta prepagata con sopra l’agognato reddito.

Così, affiancare Lino Banfi a questo evento, presentarlo come testimonial del governo italiano per l’Unesco, fa prendere due piccioni con una fava: amplia mediaticamente l’attenzione sull’evento e diventa redditizio (in tutti i sensi) anche per rilanciare l’immagine del Movimento 5 Stelle come forza popolare, per provare ad arginare l’emorragia di consensi che quei cattivoni dei sondaggisti attribuiscono a quella che oggi è ancora la prima forza politica italiana.

Non credo ci sia nulla da ridere, anche se satira e ironia fanno parte del carattere umano e quindi è impossibile frustrarle nel cantuccio ed impedire loro di esprimersi anche quando magari si dovrebbe provare ad essere un po’ più seriosi.

Non c’è nulla da ridere prima di tutto perché è tutto vero e non siamo in un film come “Il commissario Lo Gatto” o “Spaghetti a mezzanotte”: del resto la figura dell’attore pugliese, da sempre dichiaratamente di destra e moderato, pur avendo fatto una battuta infelice sui “plurilaureati” (che non si capisce perché mai dovrebbero essere contrapposti a coloro che sorridono…), ha consentito ai Cinquestelle di

a quando invece mostrava tutta la sua trasformazione in partito votabile da due categorie di cittadini: i padroni, i confindustriali, diciamo i “borghesi” e tutti coloro che, sfruttati e opposti ai primi, convinti da un reale spauracchio delle destre erano ancora una volta convinti dalla giaculatoria del “voto utile”.

Il vuoto a sinistra è diventato voragine, ma riempita dal populismo e da sentimenti di avversione verso la politica che per troppo tempo aveva e ha abbandonato le classi popolari, quelle modernamente proletarie e anche sottoproletarie.

Così, ecco che Lino Banfi porta con sé una eredità di immaginario collettivo che richiama non una figura nobilmente sfigata come quella di Fantozzi, ma tanti personaggi che sono traghettati dalle pulsioni eroticheggianti degli anni ’70 e ’80 fino al più rassicurante tuttofare in “Un medico in famiglia” con un nonno Libero che dedica la sua vita ai nipoti e ad una famiglia allargata che non piacerebbe al senatore Pillon: matrimoni, divorzi, tradimenti, figli naturali e così via.

Da serie nazional-popolare a palco nazional-popolare. Fa parte anche questo di una nuova cultura politica che si innesta nella quotidianità di un Paese lasciato orfano di valori che un tempo avrebbero fatto rovesciare un governo come quello giallo-verde con gli stessi metodi di sollevazione della piazza davanti a Tambroni.

Ma Tambroni, i vecchi assetti parlamentari, le care vecchie ideologie non ci sono più e nemmeno più dunque c’è quella piazza pronta a diventare essere sociale, collettivo che si esprime con la protesta e che è capace di mandare a carte e quarantotto un esecutivo democristiano sostenuto dai fascisti.

Per questo ripeto sovente che il problema è prima di tutto culturale pur essendo consapevole che è, al contempo, sociale e che senza un inizio da qualche parte, sarà molto difficile riuscire a smontare i capisaldi su cui si fonda l’esecutivo attraverso i quali può dire di essere “popolare” in quanto a consenso e in quanto a missione politica.

Dobbiamo separare questo cane che si morde la coda da sé stesso. E’ l’impresa più dura da mettere in campo.

MARCO SFERINI

23 gennaio 2019

foto: screenshot

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