«Amate chi volete» twitta il presidente francese Emmanuel Macron in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e bifobia che si è celebrata ieri. Più articolato, e senza dubbio più deciso, il messaggio che arriva invece dal Quirinale.
Pur non prendendo posizione nel dibattito in corso nel Paese sul ddl Zan contro omotransfobia, bloccato ormai da mesi al Senato, il presidente della Repubblica fa capire chiaramente che le violenze compiute contro le persone per le loro scelte sessuali sono una ferita inferta a tutta la società. «Le attitudini personali e l’orientamento sessuale – è il messaggio di Sergio Mattarella – non possono costituire motivo per aggredire, schernire, negare il rispetto dovuto alla dignità umana, perché laddove ciò accade vengono minacciati i valori morali sui cui si fonda la stessa convivenza democratica».
E ancora: «Disprezzo, esclusione nei confronti di ciò che si ritiene diverso da sé rappresentano una forma di violenza che genera regressione e può spingere verso fanatismi inaccettabili».
Basta sfogliare i giornali per rendersi conto di quanto le parole di Mattarella siano attuali. Ogni tre giorni, denuncia un rapporto presentato sempre ieri da Arcigay, una persona omosessuale o transessuale viene aggredita, 120 casi nell’ultimo anno e si tratta, come riconoscono gli stessi autori del rapporto, di una stima per difetto, calcolata solo sugli articoli usciti sulla stampa. Come accade per le donne, anche per persone lgbt la pandemia ha rappresentato un’occasione di discriminazione in più. «Con il lockdown i casi più drammatici arrivano dai contesti familiari, in particolare ragazze e ragazzi cacciati di casa che fortunatamente hanno spesso trovato fuori reti informali pronte a sostenerli», spiega il segretario generale di Arcigay Gabriele Piazzoni.
Una violenza domestica che finisce inevitabilmente per estendersi anche al quartiere: «Le persone lgbt nei contesti di vicinato sono prese di mira – prosegue infatti Piazzoni –, la violenza non è per loro un’esperienza eccezionale, episodica, bensì ricorrente. Spesso le persone lgbt sono costrette a cambiare casa per scappare dai contesti ostili».
Veri e propri drammi che dovrebbero spingere il Senato ad accelerare la discussione sul ddl Zan per arrivare quanto prima alla sua approvazione.
E invece proprio oggi si rischia di rallentare ulteriormente – se non addirittura di bloccare – il percorso del provvedimento, già frenato dall’ostruzionismo messo in atto dalla Lega. In commissione Giustizia arriva infatti l’annunciato ddl del centrodestra, tre articoli a firma Ronzulli, Salvini, Binetti e Quagliarello, che modificano norme penali già presenti e che, come già accaduto in passato con altri quattro disegni di legge, potrebbe essere congiunto con il ddl Zan.«Sì a una legge che introduce subito pene più severe per chi discrimina, insulta o aggredisce in base a sesso, etnia o religione. No a una legge che introduce bavaglio e carcere per le idee (punire chi non condivide le adozioni gay o l’utero in affitto è una follia) e vuole portate nelle scuole di bombi di 5 o 6 anni la teoria gender», ha spiegato ieri il leader leghista parlando di questioni che la legge non tratta. E la ministra per gli Affari regionali Mariastella Gelmini parla della necessità di «intervenire contro ogni forma di intolleranza, ma senza inutili forzature».
La replica a certe affermazioni arriva però dall’interno dello stesso centrodestra: «Eh niente, persino oggi, 17 maggio, bisogna ricordare l’ovvio a colleghe e colleghi – scrive su Twitter il deputato di Forza Italia Elio Vito -: il ddl Zan non prevede reati di opinione e non prevede indottrinamento gender nelle scuole. #Forza Italia, #Basta bugie». Interessante ricordare come, secondo un sondaggio, sette elettori di Forza Italia su dieci siano favorevoli al ddl Zan.
Sempre oggi, infine, il presidente della commissione Giustizia, il leghista Andrea Ostellari, dovrebbe annunciare i nomi delle persone che verranno ascoltate, più di cento, su un totale di 210, proposte dalla Lega. Tra questi ci sarebbero il presidente della regione Calabria Nino Spirlì, Platinette, il segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo, il leader del Family Day Massimo Gandolfini, insieme a esponenti femministe, giornalisti e giuristi. La strada, come si vede, è ancora molto in salita.
CARLO LANIA
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