Nel Libro I de “Il Capitale”, Karl Marx sintetizza così la tremenda condizione del lavoro dei fanciulli filatori di seta: “Si macellavano fanciulli interi per averne solo le dita delicate, come nella Russia meridionale si macella il bestiame ovino e bovino solo per averne la pelle e il sego.“.
Non esiste moralità nelle leggi del mercato, ma soltanto l’ovvia necessità strutturale di fare profitto e per raggiungere lo scopo non si bada a nessun grado di umanità, non si ascolta nessuna motivazione che si rifaccia al diritto elementare di preservare non solo i ragazzi ma qualunque operaio, qualunque lavoratore da una condizione di asservimento tale da disumanizzarlo all’ennesima potenza, privandolo di una minima volontà di riscatto, di rivendicazione dei diritti.
La resa in schiavitù del salariato è maggiore quanto più si fa sentire la condizione di necessità che lo spinge a sottostare a regole che, rispetto ad oggi, sarebbero sembrate impensabili pochi decenni fa quando le forze sindacali e politiche del movimento operaio avevano creato una rete sociale di difesa, una protezione fatta di diritti che sembravano incontrovertibili.
Invece, oggi, nell’epoca del liberismo moderno, della precarizzazione estrema, mentre i padroni vengono sempre chiamati nobilmente “imprenditori”, gli affaristi del profitto “investitori” e gli sfruttati “dipendenti”, scopriamo che non esiste mai un limite all’eccesso di controllo del lavoro e che l’asticella di tolleranza viene sempre più abbassata e a molti sembra normale ciò che avviene in grandi gruppi aziendali.
Un braccialetto messo al polso dei “dipendenti” è l’ultima trovata per controllare tutti i movimenti di chi deve svolgere la sua mansione: ripetitiva, incessante, dove l’alienazione si esprime nella peggiore ipotesi della catena di montaggio che smonta l’umanità del lavoratore, che sfrutta la forza-lavoro senza sosta, priva di qualunque soluzione di continuità in forma di diritto nei confronti di chi indossa il braccialetto.
Un braccialetto che, nell’intento dei grandi gruppi aziendali, avrebbe come scopo l’ottimizzazione del lavoro stesso e non violerebbe alcuna norma del diritto del lavoro.
Tutto è automatizzato e computerizzato: macchine e programmi che controllano le mosse della merce prenotata su Internet e presto inscatolata dai lavoratori con al polso una specie di ricetrasmittente che segnala ciò che devono fare e, al tempo stesso, controlla se lo fanno.
Non c’è dialogo con la macchina che ti controlla, c’è solo recepimento degli ordini. Siamo oltre l’affermazione di Derrida secondo cui “L’animale ci guarda e noi siamo nudi davanti a lui. E pensare comincia forse proprio da qui.“.
La decostruzione è impossibile perché l’alienazione è già in atto e, verrebbe da dire, che siamo davvero in una forma di nichilismo inconcepibile per lo stesso Derrida.
Ma è compito del liberismo sfrenato moderno mettere in pratica ogni forma di controllo possibile su un proletariato disadorno di coscienza, privo di rabbia collettiva perché privo di aggregazione, di condivisione dello sfruttamento che subisce, quindi ancora senza coscienza: per l’appunto “incosciente”.
La presunta fine del collegamento tra corpi intermedi e corpo sociale, fisicamente presente nelle fabbriche e nelle altre aziende di produzione delle merci, quindi lo scollamento creatosi tra sindacato, partito e forza-lavoro è uno degli elementi di forza del nuovo capitale che è conscio della debolezza dei lavoratori davanti alle rinnovate esigenze del profitto, della lotta concorrenziale.
Trionfa così qualunque spregiudicatezza, come il braccialetto elettronico che fa muovere da automa il lavoratore e lo costringe a sottomettersi alla volontà totale dei tempi e dei modi del complesso aziendale. Senza se e senza ma. Non c’è possibilità di fiatare, di riprendersi un attimo per pensare, per capire a che punto lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo è arrivato.
Tutto è oltre: oltre ogni previsione, oltre ogni umanità, oltre ogni possibile difesa.
Sembrerebbe non esservi via d’uscita. Ma questa invece esiste sempre: bisogna ricostruire l’anticapitalismo come critica necessaria, senza appello di un sistema economico che dall’alienazione ottocentesca e novecentesca è passato alla neo-schiavizzazione dei lavoratori salariati.
Bisogna ricostruire quindi una coscienza individuale e collettiva dell’azione di sfruttamento, rispondendo ai padroni che invitano i giovani a “diventare operai”, ma non con insulti. Non servono reazioni di sola rabbia. Questa va conservata e utilizzata per capire, conoscere, informarsi e allearsi in un nuovo patto sociale e politico che punti ad allargare la coscienza critica, la consapevolezza del fatto che le classi sociali esistono e che dovrebbero essere in lotta fra loro.
Ecco cosa manca: la lotta non di classe, ma fra le classi.
MARCO SFERINI
2 febbraio 2018
foto tratta da Pixabay