Da subito, a partire dal programma, la nuova maggioranza di governo ha cercato di caratterizzarsi in senso sociale: salario minimo, periferie, casa, servizi pubblici, economia verde. Restano fuori da questo quadro, come sempre nei sistemi politici occidentali, i rapporti di lavoro, cioè il problema della precarietà e i temi legati a garanzie, diritti e condizioni del lavoro.
I problemi legati al rapporto tra impresa e lavoro non riescono mai a entrare in un’agenda di governo, mentre è proprio da questi problemi che deriva gran parte della rabbia sociale contemporanea. D’altra parte, il nuovo governo nasce con il placet di Ue, Trump e Confindustria, e Pd e 5 Stelle si sono sempre mostrati equidistanti tra impresa e lavoro (l’equidistanza tra il forte e il debole implica sempre vicinanza al più forte). Non è un governo che nasce per trasformare la realtà.
Tuttavia è un fatto rilevante anche che il Pd, per dar vita al governo e cercare di rilanciarsi, abbia dovuto stabilirsi per la prima volta, almeno sul piano della retorica, sul terreno del riformismo sociale. Il terreno discorsivo dei democratici è sempre stato quello degli equilibri di bilancio e delle compatibilità economiche, su cui si è basata fino all’ultimo anche la sua opposizione al governo giallo-verde. Oggi i leader Pd insistono invece nel dire che «bisogna capire il disagio sociale e dare risposte concrete». Le classi popolari tornano a essere presenti nel discorso politico. A cosa è dovuto questo cambiamento nella retorica politica dei democratici?
A tre fattori: i lunghi effetti della crisi economica; la sconfitta grave del 2018; l’alleanza con il populismo «sia di destra che di sinistra» del M5S. Bisogna riconoscere al M5S, anche senza provare alcuna simpatia per questo partito, di essere riuscito a condizionare il centro-sinistra molto più di quanto abbia fatto la sinistra radicale. Con tutte le ambiguità che contengono, provvedimenti e proposte come il reddito di cittadinanza, il salario minimo e il Decreto dignità sono stati accompagnati da una retorica di giustizia sociale e difesa dei settori popolari. Si deve quindi anche ai discorsi e alle azioni del populismo camaleontico dei 5 Stelle il ritorno dei temi sociali nell’agenda politica.
È sempre importante, soprattutto in fasi di crisi permanente dei sistemi politici (quello italiano lo è dal 2011), cercare di capire come si scompongano e riconfigurino i terreni egemonici su cui poggia il consenso politico. Il terreno egemonico su cui agiva il governo giallo-verde, e a cui si devono le punte elevatissime di consenso che ha raggiunto, può essere metaforicamente sintetizzato in tre parole: Hobbes, Rousseau e Stato sociale. La Lega interpretava il polo hobbesiano, la richiesta di obbedienza in cambio di sicurezza. Il M5S interpretava il binomio Rousseau (democratizzazione dei processi politici)-Stato sociale, cercando di caratterizzarsi come forza democratizzante che difende gli interessi popolari. Questi tre poli rappresentano in forme diverse un ritorno alla centralità (concreta o immaginaria) dello Stato, esigenza sentita dalla maggioranza dei cittadini, che leghisti e 5 Stelle cercavano di interpretare. La nuova maggioranza, rispetto a questo terreno egemonico, alleggerisce il polo-Hobbes (senza abbandonarlo) e cerca di caratterizzarsi sul piano della giustizia sociale.
Manca Rousseau, cioè il cambiamento delle forme e dei processi politici: deriva anche da questo la minore fiducia di cui gode rispetto all’esecutivo precedente?
Le tensioni che il nuovo governo presumibilmente vivrà, deriveranno soprattutto dalla distanza tra ciò che il Pd è stato fino a un mese fa e il terreno su cui cerca di attestarsi oggi: quanto ci metteranno gli equilibri di bilancio, le compatibilità economiche e la vicinanza alle imprese a creare cortocircuiti tra le retoriche e le politiche effettive?
C’è da capire anche cosa sarà della sinistra in questo contesto. Quella parlamentare è tutta nel governo. Quella extra-parlamentare è invisibile. Il governo Pd-5S-LeU ha solo un’opposizione di destra. Potrebbere nascerne una di sinistra? Sì, se non si opporrà al governo parlando da postazioni aliene linguaggi che raggiungono solo minoranze iper-politicizzate, ma lo incalzerà sul suo stesso terreno, chiedendo che sia realizzato bene quanto promesso (politiche sociali, svolta verde), e che sia incluso ciò che è stato escluso (il nodo dei rapporti di lavoro e la democratizzazione dei processi politici). Per essere credibile, questa critica potrà essere avanzata solo da un progetto interamente nuovo che si proponga di essere duraturo, che non potrà quindi essere lanciato da nessun partito attualmente esistente.
LORIS CARUSO
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